I Film (quasi) più Razzisti della Storia

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Nei cinema arriva Scappa – Get Out, un thriller/horror che ha fatto il botto in USA grazie ad una sceneggiatura che mischia in modo sapiente paranoia e terrore, usando come substrato lo strisciante razzismo che in America non solo è duro a morire, ma sembra ben in salute.

Jordan Peele, lo scrittore e regista di questa pellicola prodotta dal sagacissimo Jason Blum, ha dichiarato che l’ispirazione arriva soprattutto da film horror e fantasy degli anni sessanta e settanta.

Ma è innegabile che, come persona di colore, abbia tratto ispirazione per creare il clima che si respira nella pellicola, dai più recenti fatti di cronaca e dalle tensioni che la presidenza Trump ha portato con sé.

Il risultato stratosferico della pellicola in patria parla da solo: Get Out ha incassato già in sala oltre trenta volte quello che è costato e ha un numero impressionante di recensioni positive.

Ho visto il film e l’ho trovato onestissimo, teso, ben girato e furbo. Qualità che gli stanno regalando lo stesso successo vissuto in terra americana anche nel resto del mondo.

 

 

Se il tema del razzismo è davvero caldo e ancora oggi è un tasto dolente (ma fecondo per l’arte), non possiamo che ripercorrere un po’ di storia e di esempi “notabili” che il cinema ci ha regalato dalla sua nascita ad oggi.

Ecco selezionati, in ordine rigorosamente sparso e senza pretesa di completezza, alcuni dei film più controversi e (in)consapevolmente vittime della propria messa in scena di questioni o stereotipi razziali.

 

Ci sono film noti, meno noti, ambientati in epoche storiche discutibili e in mondi lontani. Ci sono allegorie presunte e teorie forse campate in aria.

Per un motivo o per l’altro questi film hanno fatto incazzare gente tranquilla, polemici di professione, spiriti liberal, minoranze, buonisti e persino qualche razzista.

Perché il vero genio sta nel riuscire a far impazzire tutti senza neppure rendersene conto.

 

 

 

Mandingo

(1975)

Film sicuramente amato da Tarantino, che lo ha un po’ riversato nel suo Django Unchained, Mandingo narra le vicende di Ganymede detto Mede, possente schiavo di razza mandingo, e dei personaggi che gli ruotano attorno, dai violenti schiavisti Maxwell ai poveri compagni di sventura nelle piantagioni.

 

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Sobrietà

Tra lotte a mani nude con altri schiavi, lavori umilianti e punizioni corporali, c’è anche il tempo di spupazzarsi la donna del figlio dello schiavista. Finirà malissimo (per tutti o quasi).

 

Richard Fleischer, grande mestierante (suoi il bellico Tora! Tora! Tora! e la fantascienza di Soylent Green) ce la mette tutta per far incazzare chiunque, dai liberal ai conservatori, e colpisce qua e là le varie sensibilità senza schierarsi troppo, lavorando su un romanzo che fece furore negli anni ’50, ben prima del movimento per i diritti della gente di colore.

Sesso e violenza in quantità moderata ma ben studiata alzano l’asticella dell’exploitation e titillano il senso del pubblico per il pruriginoso.

 

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Once you go black.

 

Il risultato fu un successo al botteghino che però non face clamore a livello sociale.

Dibattuta tra i critici la natura più o meno consapevolmente razzista dello script, che denuncia sì con energico vigore le angherie perpetrate dagli schiavisti (e ci mancherebbe) ma riduce anche spesso gli schiavi a macchiette e fa largo uso di stereotipi.

 

https://www.youtube.com/watch?v=LRoryeI0Tqk

 

Per non parlare della love story interrazziale con toni Harmony che rendono preferibile un colpo di padella in testa.

Tutto sommato un film ancora da consigliare, perché simbolo di un’epoca e di un modo di fare cinema “provocatorio” con certo mestiere e sfacciataggine, mille volte meglio di un inutile Cinquanta Sfumature di Grigio odierno…

 

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Il protagonista è Ken Norton, 191 cm per 100 Kg, pugile che nel 1973 sconfisse Muhammad Alì fracassandogli pure la mascella. Lo avremmo potuto vedere nei panni di Apollo Creed in Rocky, ma alla fine fu scelto Carl Weathers (probabilmente per le doti attoriali leggermente superiori)

 

 

 

Via Col Vento

(1939)

Beh, come non citare il classico dei classici, il film di maggior successo della storia del cinema, il più iconico e fonte di una delle citazioni più famose del mondo? (No, non è “Dammi un po’ di zucchero, baby”)

 

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Un film dove la gente degli stati Confederati è bella, ricca, eroica, più o meno spensierata, fieramente opposta al progresso e alla democrazia, protagonista di storie amorose e litigi furibondi e, incidentalmente, schiavista?

La condizione degli schiavi non viene che superficialmente lambita e trattata senza alcuna problematizzazione dal film, come fosse la cosa più naturale del mondo. Probabilmente la questione non era così liscia neppure all’epoca in cui è ambientato il film…

 

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A ciò si aggiunge l’infame doppiaggio che il film ha ricevuto in prima battuta in Italia: quando c’è da creare imbarazzo, non siamo secondi a nessuno.

Ecco quindi che Mamy e gli altri schiavi, che pure in lingua originale l’inglese lo masticano benino, nel nostro paese parlano un grottesco linguaggio alla “Zì buana, io usare verbi all’infinido gosì bubbligo gapisce bene ghe sono uno sghiavo ignorande”.

 

 

Insomma, un film talmente banale, didascalico, fuori dalla storia, xenofobo e moralista da diventare immediatamente un cult indimenticabile per tutti.

E anche a vederlo oggi fa tenerezza più che stizza. A meno che uno non sia studioso di storia americana, allora c’è di che impazzire.

 

 

 

La Piccola Ribelle

(1935)

I bambini non possono essere razzisti, non percepiscono le differenze e non gli importa un fico secco del colore della pelle, no?

A meno che non sia l’angioletto che risponde al nome di Shirley Temple.

The Littlest Rebel 1935 film posterLa piccolina interpreta Virginia, testarda e sorridente figlia di un noto e ricco possidente terriero che ha tipo mille schiavi.

Quando il dolce paparino viene chiamato alla guerra dai Confederati, succede un casino: i cattivissimi nordisti le invadono la casa e fanno ammalare e morire la mamma.

Quando l’eroico papà torna per salvare la situazione, viene però sgamato e condannato a morte.

Ma la piccola, che si diverte quotidianamente con l’amichevole e totalmente insensibile alla schiavitù propria e altrui “Zio Billy” (uno degli schiavi della mamma), riuscirà a salvare il paparino andando a parlare nientemeno che con il Presidente Abramo Lincoln in persona, per fargli perdonare i peccatucci.

Gli schiavi sono talmente “ben” rappresentati che sembrano quasi tristi di abbandonare l’idea di stare in catene.

La cosa buffa è che in America alcuni spettatori degli stati del Sud criticarono duramente la pellicola fin quasi a boicottarla. Ritenevano inaccettabile che la piccola Shirley qua e là tenesse per mano lo Zio Billy (interpretato dal re del tip-tap Bill “Bojangles” Robinson)

 

 

Sul tema del razzismo non si sa neppure da che parte iniziare; è il probabilmente il film per famiglie più “Sudista” che la storia ricordi.

E riccioli d’oro è il demonio che indora la pillola, LOL.

 

 

 

Avatar

(2009)

Non ricordo se volevo inserire Avatar o Pocahontas, ma visto che sono essenzialmente lo stesso film, metto qua quello più fantascientifico (sì, lo so, fracciatina OLD. Ma sempre valida)

Dove sta l’elemento razzista?

Nelle storielline più o meno pericolosamente razziste il “bianco” arriva nella civiltà straniera, dimostra la propria superiorità e diventa un leader con tutto quello che comporta (figa, figaggine, potere e potenza).

 

avatar razzista

 

In Avatar succede tutto questo, con l’aggravante che oltretutto il protagonista non è il bel John Smith, coraggioso e moralmente sensibile; è un soldatino sfigato considerato un rifiuto della società terrestre e spedito via a calci in culo.

Quindi la morale è che la bellissima e adorabile popolazione indigenza di Pandora, nessuno escluso, è inferiore al peggior esponente della nostra Terra, che se ne arriva, combatte meglio, conquista gli animali super-epici, convince pure il loro Dio a fare qualcosa che per la sua gente non ha mai fatto.

YAY, white terrestrial.

 

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“Mi stai dando dello scarso?”

 

 

 

Star Wars Episodio I – La Minaccia Fantasma

(1999)

Ormai dobbiamo rassegnarci. Episodio I sarà sempre ricordato nel bene e nel male per i suoi atroci difetti.

Il merito di farlo rientrare in questa bellissima lista è di (manco a dirlo) Jar Jar Binks.

Mentre in italiano il buon vecchio gungan parla come un qualsiasi sempliciotto strafatto di qualche sostanza, in originale è scandalosamente la caricatura del centroamerican/giamaicano visto dagli yankee.

 

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“Ehi, ma porque niun grassotto si èse offiso per messer Jabba DEAT?”

Oltretutto i Gungan sono la classica popolazione povera ma stupida in attesa dei salvatori (o comunque dei leader) di una razza superiore.

Se a questo aggiungiamo Watto, che da buon mercante avido e senza scrupoli viene dipinto come praticamente ebreo (naso grosso, parlata, barba e “cappello”), siamo a cavallo.

 

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Nota di cronaca, secondo il suo doppiatore l’accento di Watto sarebbe “più o meno italiano”.

BOOM MOTHERFUCKER!

 

 

 

King Kong

(1933)

In un’epoca dove la discriminazione razziale era accettata (se non addirittura incoraggiata) e i cittadini di colore erano visti come di seconda categoria, sfruttati e sottopagati, a New York arrivava pure King Kong a fare la bella metafora dell’invasore pericoloso e selvaggio.

 

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“Ahò, Mandingo questo non lo sa fare!”

 

In anni in cui le offese e i paragoni ai primati si sprecavano, le leggi “Jim Crow” dei singoli Stati acuivano la separazione tra razze in ogni settore e il Ku Klux Klan spadroneggiava, potendo ancora impiccare gente di colore in pieno giorno facendola franca… uno dei maggiori successi del cinema fantastico parla di un minaccioso scimmione prelevato dalla sua Isola, tratto in schiavitù e vogliosissimo di donne bianche.

Tranquilli, alla fine lo ammazzano! (Azz, spoiler?)

Persino la fisiognomica del nostro antieroe, per alcuni, è stata chiaramente modellata per ricordare in modo distorto e malizioso le fattezze delle persone di colore.

 

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Nascita di una Nazione

(1915)

Capolavoro del cinema dal valore storico inequivocabile e innegabile, ma al tempo stesso espressione del più bieco razzismo programmatico, veicolo di propaganda per il Ku Klux Klan.

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“Eureka! Ho inventato il Ku Klux Klan” (applausi in sala)

 

Un bel casino, eh?

D.W. Griffith entra nei libri di storia con una produzione che fa impallidire i perfezionismi e gli sforamenti di budget odierni, viene da una famiglia che ha combattuto la Guerra di Secessione, rappresenta Abramo Lincoln come un quasi-salvatore.

Non risparmia nessuno: nordisti e sudisti hanno i loro difetti bene in evidenza, ma nonostante tutto tra loro ci sono elementi che si salvano e sono pure eroici.

La storia di due famiglie opposte e complementari lo dimostra.

 

Locandina nascita di una nazione

“Andiamoci piano con la locandina, ok?”

 

Poi però rappresenta ogni singolo personaggio di colore come subdolo, viscido, violento e violentatore. E questo nel migliore dei casi. Senza contare la leggendaria cavalcata “arrivano i nostri” del KKK che interviene per salvare i bianchi dagli schiavi cattivissimi e incazzati.

Oh, e ad interpretare i neri, a parte qualche comparsa afroamericana, sono tutti attori bianchi “colorati”. KA-BOOM, BRO!

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