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L’Homo Oeconomicus

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Uno dei concetti che si pone a cardine fondamentale della teoria economica classica è quello dell’Homo Oeconomicus: un individuo che fa della razionalità e della cura esclusiva dei suoi interessi le caratteristiche fondanti la propria persona. Cerchiamo di dare uno sguardo d’insieme a questo modello.

L’homo oeconomicus è un modello interpretativo che muove la sua realtà in particolar modo nell’ambito economico, nonostante sia stato materia di studio anche di altre scienze sociali. Con questa espressione si va ad intendere l’agente economico razionale, il quale è considerato quasi come una successione evolutiva dello stesso Homo Sapiens, e che, a partire dalla pienezza di informazioni a disposizione e dalla sua capacità decisionale, tenta di massimizzare il proprio benessere (o vantaggio) non tenendo conto del contesto sociale, morale o relazionale.

Una prima interpretazione dell’agente così come inteso sopra la si può rintracciare negli studi di John Stuart Mill, nello specifico nel saggio Sulla definizione di economia politica (1836). Il modello assumerà poi una forma più concreta quando gli economisti neoclassici, in particolar modo Léon Walras (1834-1910) e Vilfredo Pareto (1848-1923), ne faranno una esplicita teoria trattando gli studi della scuola marginalista.

Nell’analisi dell’homo oeconomicus ci si addentra in un intricato labirinto a base concettuale che comprende diverse discipline, poiché considerare questo modello come esclusiva proprietà dell’ambito economico rischierebbe di andare a collidere con l’effettiva realtà di un contesto aperto nel quale l’economia si pone a stretto contatto con modelli etici, morali e sociologici.

Il concetto di razionalità che viene preso in considerazione nella teoria è, però, scollegato dalle classiche implicazioni filosofiche ed etiche che normalmente il termine va a richiamare. L’homo oeconomicus è considerato come “razionale” nel suo tentativo di massimizzare il proprio benessere economico, il quale è definito da una specifica funzione matematica che si chiama funzione di utilità.

 

In economia l’utilità è la misura della felicità o soddisfazione individuale. Un bene è dunque utile se considerato idoneo a soddisfare una domanda. Secondo l’utilitarismo la massimizzazione dell’utilità sociale dovrebbe essere il fine ultimo della società, che dovrebbe quindi tendere ad ottenere “la felicità maggiore per il maggior numero di individui” (maximum felicitas).

Wikipedia.org

Grafico generico della funzione di utilità

Grafico generico della funzione di utilità

 

Questi individui cercano di perseguire degli specifici obiettivi in modo che sia massimo il benessere ricavato.

Quindi, sostanzialmente, questi individui cercano di perseguire degli specifici obiettivi in modo tale da far sì che la massimizzazione dell’operato finale sia la più ampia possibile e, di conseguenza, sia massimo anche il benessere ricavato.

È da evidenziare che l’atteggiamento razionale dell’agente economico non interessa la specificità dell’obiettivo, ovvero che non è importante quale sia la natura del bene che si va a ricercare. Va tenuto in considerazione solamente il fatto che l’ottenimento di quel determinato obiettivo permette all’agente di aumentare il proprio benessere individuale.

Della razionalità che viene attribuita all’homo oeconomicus sono da mettere in risalto nello specifico tre punti:

  • Che l’individuo ha determinate preferenze le quali è in grado di disporre in modo sequenziale: quindi l’assunto ammette la proprietà transitiva, in quanto se il bene A {\mathcal {P}} (preferito) B e a sua volta il bene B {\mathcal {P}} C, di conseguenza A {\mathcal {P}} C.
  • Che l’individuo è in grado di massimizzare la sua soddisfazione utilizzando le risorse al meglio delle sue capacità: egli tenderà quindi ad ottenere la massimizzazione della propria utilità (e non del suo profitto).
  • Che l’individuo è in grado di analizzare e prevedere nel migliore dei modi gli eventi e le situazioni che vengono a verificarsi nel contesto all’interno del quale si pone come agente, al fine di operare la scelta più corretta nel tentativo di massimizzare l’utilità.

Abbiamo già detto che la nozione di utilità nella terminologia economica è associata al concetto di benessere, quindi è normale conseguenza che la somma delle singole utilità degli individui di una specifica comunità/società venga considerata come una sorta di “benessere sociale“.

 

L'Homo Oeconomicus

 

Se si attribuiscono a tutti gli agenti economici operativi queste caratteristiche a base razionale, in accordo con il modello preso in esame, si può pervenire ad una sintesi di strutture economiche che tendono alla massimizzazione delle utilità di ciascun agente. In questo modo si giunge alla conformità con l’ipotesi di efficienza del mercato, assumendo che quest’ultimo sia interamente libero ed aperto.

 

 

 

Critiche al modello

 

Individualismo

Il concetto di homo oeconomicus, proprio per aver rappresentato un tassello fondamentale nella formulazione della moderna teoria economica, non è stato esente da accese critiche.

Analizzando più a fondo la natura che caratterizza l’agente economico così come inteso nel modello proposto, si sintetizza una figura prettamente orientata all’individualismo.

Viene posto al centro dell’attenzione l’individuo, unità singola ed impermeabile, votata all’autorealizzazione, della propria persona e dei propri interessi. Egli è giudice di sé stesso e percepisce le influenze degli altri alla stregua di un’azione di disturbo e distoglimento dal “focus” sul proprio obiettivo.

Questa concezione dell’individuo è antropologicamente pregna di una dimensione di asocialità, dove egli è una cellula isolata e votata unicamente al proprio interesse personale, privo di ogni legame dal punto di vista relazionale.

 

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Zerocalcare sull’Homo Oeconomicus

 

 

[Quella che segue è una mia considerazione personale, quindi da prendere come tale]

In un certo qual modo la visione dell’homo oeconomicus si allaccia alla concezione della condizione umana sintetizzata nell’espressione latina di “Homo homini lupus” (l’uomo è lupo per l’altro uomo). Bisogna riconoscere che il modello posto in analisi trova terreno fertile per atticchire solo nel momento in cui vengono a crearsi dei presupposti evolutivi del contesto nel quale l’uomo si pone.

Infatti, nello stato di natura, concetto approfonditamente studiato ed analizzato dal filosofo inglese Thomas Hobbes nel XVII secolo, non vi sono leggi o limitazioni, quindi si viene a creare un quadro ideale per l’esplodere dell’intrinseca natura egoista e violenta dell’uomo, che tende a sopraffare il prossimo in virtù dell’eliminazione di un possibile ostacolo ai propri interessi.

Ognuno percepisce gli altri individui come un potenziale nemico e da ciò deriva una posizione perenne di conflittualità, un continuo bellum omnium contra omnes (guerra di tutti contro tutti).

Hobbes nega che l’essere umano possa essere spinto ad avvicinarsi ad un suo simile in virtù di un amore naturale. Piuttosto, temendosi reciprocamente, gli uomini si legano in società e comunità regolando i loro rapporti con leggi e regole.

Il singolo si trova favorevole a ridurre la propria propensione all’istintuale violenza in favore di una più equilibrata razionalità.

Ed è in questa fase del contrattualismo, o contratto sociale, che l’homo oeconomicus si manifesta. Riconoscendo l’agire dell’individuo in un contesto circoscritto e posto sotto l’attenzione delle autorità, il singolo si trova favorevole a ridurre la propria propensione all’istintuale violenza, sicuro di una protezione derivante da mutuo accordo, in favore di una più equilibrata razionalità.

Accertato di non dover più temere l’aggressione altrui, l’uomo converte la pulsione animale in raziocinio (da considerare sempre in ottica economica), pur continuando a conservare la sua natura egoistica e volta al raggiungimento del personale obiettivo.

[Ecco, fine considerazione]

 

 

Empatia

L’homo economicus basa le sue scelte unicamente su di un impianto utilitaristico, attraverso il quale tende a leggere ogni singolo comportamento, anche al di fuori della sfera prettamente economica. Egli diviene amorale, in quanto ignora qualsiasi valore sociale, o vi aderisce solo nel momento in cui può trovarvi un personale interesse.

Ovviamente questa visione è ritenuta da molti non solamente irrealistica su di un piano pratico e reale, ma anche fortemente immorale.

Le ricerche in ambito psicologico e il continuo sviluppo delle neuroscienze hanno studiato e confermato che la natura umana si presenta in una realtà polimorfa, che quindi riconosce la presenza dell’homo oeconomicus assieme a molte altre forme della persona (“homo reciprocans, homo loquens, homo curans, …”). Ciò sta a dimostrare che la dimensione economico-utilitaristica, alla quale il modello fa riferimento, non porta mai ad un esaurimento delle altre molteplici componenti che vanno a caratterizzare la struttura comportamentale umana.

L'Homo Oeconomicus

La spinta individualista che muove le ragioni dell’individuo è mitigata e raffreddata, parzialmente, dalle pulsioni empatiche del soggetto, il quale tende inevitabilmente ad approcci prosociali. E’ ampiamente dimostrato che il cervello di un homo sapiens è biologicamente portato e “programmato” per essere empatico nei confronti dei propri simili, e quindi, in condizioni di normale stabilità mentale, tendente all’allacciare rapporti di tipo interpersonale.

È ampiamente dimostrato che il cervello di un homo sapiens è biologicamente portato e “programmato” per essere empatico nei confronti dei propri simili.

Un altro anello debole del concetto in esame è evidenziato con vigore dai sociologi, i quali sostengono che nella teoria dell’homo oeconomicus venga ignorata una questione di prioritaria rilevanza, ossia l’origine del personale gusto e funzione di utilità. E’, infatti, impossibile non riconoscere come un determinato ambiente eserciti un’azione di plagio ed influenza nei confronti degli individui che vivono in quel contesto. Per questa ragione viene proposta un’ulteriore visione evoluta e “smussata” dell’homo oeconomicus, che stavolta è ricondotto a quella di homo sociologicus, per il quale i gusti e gli interessi sono parzialmente, o in casi estremi completamente, determinati dal contesto sociale di appartenenza.

 

Carenza informativa

Le critiche all’egoismo razionale non vanno ad esaurirsi nemmeno nel momento in cui si va a prendere in considerazione la capacità informativa del soggetto economico.

Il modello dell’homo oeconomicus che vede la razionalità dell’individuo manifestarsi in un ambiente all’interno del quale, evidenziata la possibilità di perfetta informazione, è onnisciente, è stato ampiamente messo in discussione per il suo semplicismo. Difatti, su di un piano di azione reale, è impensabile che un singolo agente economico, chiuso nella limitatezza del suo atomismo individuale, possa essere a conoscenza di tutti gli scenari economici che interessano il suo raggio d’azione.

D’altro canto, il passaggio a modelli più sofisticati, i quali considerano molteplici fattori del contesto economico, quali l’interdipendenza strategica ed operativa fra più agenti, quindi l’incertezza e la mutevole natura dello stato del sistema, richiede alla razionalità dell’homo oeconomicus una elasticità che lo renda capace di confrontarsi con differenti scelte fra alternative di origine probabilistica.

Questa visione collide chiaramente con la razionalità egoistica del soggetto trattato, che risulta inabile a cogliere l’ottimalità ed i vantaggi che caratterizzano le soluzioni a stampo cooperativo.

 

Risposte per il superamento

Nel proporre delle risposte alle molte critiche che sono state mosse al modello, gli economisti tendono spesso a non essere d’accordo con le tesi a sfavore dell’homo oeconomicus, sostenendo che può risultare interessante analizzare le conseguenze di un comportamento egoistico solo nel momento in cui si pone al centro dello studio l’ambito sociale e le conseguenti interazioni tra gli individui. Sostanzialmente, essi ritengono che l’egoismo, socialmente inteso, non sia un problema di tipo economico.

Il modello viene concepito idealmente come un archetipo, un primo step dal quale muovere verso la costruzione di una struttura più complessa ed articolata.

In ogni caso, la gran parte degli studiosi di economia sostiene che la teoria continui a sussistere anche se una piccola percentuale degli attori economici tende a comportarsi secondo i criteri dell’homo oeconomicus. Secondo questa visione, il modello viene concepito idealmente come un archetipo, un primo step dal quale muovere verso la costruzione di una struttura più complessa ed articolata.

Però, se è vero che da un punto di vista squisitamente economico l’accezione egoistica dell’individuo elude la componente morale, quest’ultima calca la scena in modo significativo quando si inizia a considerare la teoria su di un piano pratico e reale, in quanto è impossibile non render conto delle implicazioni etiche del caso.

Uscendo fuori da quella che è la pura astrazione della dottrina, l’economia si configura come una fitta interazione tra individui fatti di carne ed ossa; uomini, che con il loro bagaglio culturale, i loro valori, le loro motivazioni ed aspettative si approcciano al contesto che li circonda.

Porre dei limiti netti a questa pluridimensionalità che caratterizza l’Uomo, e quindi considerare esclusivamente il piano dell’interesse personale, andrebbe ad oscurare l’identità stessa degli attori sociali.

In ogni caso, molti studiosi continuano ad affermare che l’homo oeconomicus si configuri come una buona approssimazione del comportamento che gli individui assumono all’interno del mercato, poiché la natura umana, come è stato detto, al di là delle spinte empatiche, è portata istintivamente ad un freddo individualismo. Oltre a ciò, da un punto di vista sociale, i mercati richiamano ed attraggono quegli individui che sono particolarmente portati al raggiungimento di un personale obiettivo, poiché le regole interne spingono al calcolo di utilità e di benefici che ricompensano i soggetti più individualisti.

In un quadro così dipinto, risulta piuttosto difficile riuscire ad applicare valori sociali che andrebbero, ovviamente, a collidere con l’interesse personale. Questo perché il mercato si presenta come una creatura estremamente competitiva, che attira principalmente agenti amorali e all’interno della quale è complicato allacciare rapporti empatici che non vadano a limitare la spinta al successo del singolo.

Per quanto riguarda la forte critica secondo la quale gli individui non abbiano possibilità di accesso in modo gratuito e pratico all’informazione senza limiti, nè tantomeno abbiano la capacità e gli strumenti di analisi istantanea delle informazioni a disposizione, alcuni sostenitori del modello rispondono attraverso l’elaborazione di strutture più realistiche. E’ infatti impensabile che un modello pratico dell’homo oeconomicus non tenga conto delle limitazioni conoscitive dell’agente. Per questo motivo viene contemplato l’utilizzo di una razionalità limitata e l’inserimento di caratteristiche e pulsioni umane influenzanti il comportamento, quali l’invidia.

In ultima analisi, dal confronto del modello con le scienze umane, emerge che di un tale concetto, come quello racchiuso nell’homo oeconomicus, possono essere adottate solamente le versioni più moderate e meno cariche da un punto di vista antropologico. Ad ogni modo, continuerebbe sempre a valere l’idea secondo la quale questi modelli debbano essere considerati come delle strutture metodologiche valide in riferimento ad applicazione in circoscritti contesti storici e sociali.

Gli economisti più illuminati ed aperti al dialogo solitamente sono pronti a riconoscere la limitatezza concettuale del modello puro dell’homo oeconomicus. Per questa ragione si tenta di sintetizzare un modello più affidabile che ponga le propria fondamenta a partire dalle critiche mosse e, magari, considerando  durante l’elaborazione della nuova struttura anche la realtà di interdipendenza sociale di più homines oeconomici contemporaneamente.

 

 

 

 

(Originariamente pubblicato il 4/12/16 su Il Menterrante)

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