Arrival: il coraggio di sperimentare

Arrival

Ad aprire la seconda giornata della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia è Arrival, film fantascientifico del canadese Denis Villeneuve, tratto dal romanzo Story of Your Life di Ted Chiang. Protagonista della pellicola Amy Adams accompagnata da Jeremy Renner, ospiti della Mostra proprio oggi.

Arrival è uno dei film di Venezia 73 più attesi, uno di quelli sicuramente in lizza per il Leone D’Oro. Denis Villeneuve decide di stupire ancora una volta il suo pubblico, questa volta cimentandosi non in un semplice thriller, ma in un’opera dal forte carattere fantascientifico.

Un esperimento molto coraggioso quello del regista canadese che, in questo momento, si trova impegnato sul set del sequel del cult anni ottanta di Ridley Scott, Blade Runner.

Arrival è una pellicola che trasuda quella maestria tecnica con la macchina da presa con la quale si è sempre distinto il regista. Tornano i colori freddi e cupi, tendenti soprattutto al grigio e blu, di Prisoners, ma anche le sequenze più dilatate e dense di Sicario.

 

Denis Villeneuve è un regista che richiede un certo impegno al suo pubblico, sapendo ripagare sempre alla fine di ogni sua pellicola.

 

Fin dai primi minuti, Arrival è un film che spiazza. Trasporta ferocemente lo spettatore dentro alla storia, lasciandolo immergere nella silenziosa sofferenza della sua protagonista, la linguista Louise Banks (Amy Adams).

 

Arrival

 

Un colpo in pieno stomaco che lascia senza fiato

Un colpo in pieno stomaco che lascia senza fiato, mentre i maestosi paesaggi nebbiosi inglobano totalmente lo sguardo, e la mente, del pubblico.

Una volta catturata l’attenzione dello spettatore, la storia è pronta per partire e arrivare al suo fulcro.

 

 

Louise è una madre single e una brillante professoressa. Distrutta dalla perdita della figlia Hannah a causa, presumibilmente, del cancro, conduce in maniera apatica la sua esistenza, concentrando le sue uniche forse sul suo lavoro.

Il mondo viene però scioccato dall’improvviso arrivo di dodici oggetti non identificati provenienti dallo spazio. Chi sono? Da dove vengono? Cosa vogliono?

Le prime domande di routine che sorgono a tutti, compresa Louise, inspiegabilmente attratta da una storia che la riguarderà profondamente da vicino.

Direttamente contattata, per le sue doti da linguista e una passata collaborazione, dall’esercito americano, Louise, assieme allo scienziato Ian Donnelly (Jeremy Renner), si ritroverà ad affrontare la sfida più grande della sua vita: comunicare con gli alieni.

L’invasione aliena non è certo una novità all’interno della storia cinematografica, soprattutto a una settimana di distanza dall’arrivo del sequel di Independence Day, eppure Villeneuve riesce a fargli trovare una natura tutta sua.

 

Arrival

 

Non si parla di guerre, battaglie feroci, lotta alla sopravvivenza. Quello che Denis Villeneuve ci fa compiere con il suo Arrival è un viaggio all’interno di una nuova cultura. La scoperta di un essere diverso da noi e la comprensione, con il suo studio, di una lingua che può aprire confini inimmaginabili.

Amy Adams è chiamata a una grandissima prova di recitazione

Amy Adams è chiamata a una grandissima prova di recitazione. L’attenzione è incentrata quasi esclusivamente su di lei. Viviamo con lei, attraverso il suo stupore e perenne sofferenza la scoperta di un mondo che la cambierà per sempre.

Sicuramente Arrival punta a un genere nettamente diverso dal cinema a cui siamo abituati quando si parla di Denis Villeneuve. Andando avanti con la narrazione, non sono pochi i passaggi in cui è molto difficile riuscire a restare perennemente concentrati.

Arrival è una grande prova di coraggio, che mescola sperimentazione e fantascienza, quasi come se fosse un banco di prova per il futuro Blade Runner.

Sognavo di fare un film di fantascienza già dall’età di dieci anni. Credo che questo genere possieda il potenziale ed i mezzi per esplorare la nostra realtà in modo molto
dinamico.

Dichiara Villeneuve, che non si lascia certo sfuggire di calcare la mano su una storia che si apre a moltissime interpretazioni e, proprio per questo, non proprio di facile comprensione per tutti i palati cinematografici.

La gestazione di questa pellicola, infatti, non è stata di certo semplice. I lavori sono iniziati ben tre anni fa, nel 2013, anno in cui il regista era impegnato sul set di Prisoners. Proprio per questo motivo la scelta della stesura della sceneggiatura è ricaduta su Eric Heisserer.

 

Arrival

 

La carriera di Heisserer non vanta di grandissimi successi, basti anche solo pensare a Final Destination 5 e il remake di Nightmare. Qualche mese fa è uscito al cinema con il lungometraggio horror di David F. Sandberg Lights Out, film in cui l’autore non è riuscito ad andare in fondo alla storia, rendendo piuttosto banale un incipit decisamente originale.

In Arrival, Heisserer dimostra di avere una grande padronanza della scena. Arrival si contraddistingue per un dialogo sensato e mai banale, che di tanto in tanto si lascia andare a delle battute più leggere che hanno come compito quello di smorzare la situazione di ansia e mistero create dal regista.

 

Il vero punto debole di Arrival si fa sentire nella sua parte centrale, quando il film inizia a perdere la sua brillantezza e si sfilaccia sotto l’ingente peso delle molteplici tematiche trattate.

 

Si arriva sul finale con una certa fatica, spesso provando un senso di confusione e spossatezza, in cui la sola regia impeccabile di Denis Villeneuve riesce a mantenere viva l’attenzione dello spettatore.

Il film si rimette in piena carreggiata, emozionando e stupendo, nel suo terzo atto. I molteplici flashback di Louise, che vive sospesa tra i dolore per la morte della figlia e la spasmodica ricerca di comprendere il linguaggio degli alieni, si rivelano essere una chiave fondamentale, giustificando con stile sapiente la loro cospicua presenza.

 

Arrival

 

La componente sonora gioca un ruolo fondamentale in questo Arrival. Disturbante, inquietante e in perenne sospensione, penetra all’interno dell’immagine e immerge la sala in una bolla.

Un uso magistrale di suoni bianchi ad opera di Jóhann Jóhannsson, già brillante collaboratore di Villeneuve nel precedente Sicario e nel magnifico Prisoners. Ancora una volta il regista mostra una maniacale attenzione per tutti i dettagli, questo fa stupire ancora di più su quelle linee di trama più trascurate che rendono la pellicola più astratta che concreta.

Arrival non è una pellicola semplice

Arrival non è una pellicola semplice. Un film che ha bisogno del suo tempo, che sa sorprendere a modo suo e che porta a compiere un sofferente, ma bellissimo, viaggio interiore alla ricerca della propria storia, ma che troppo spesso si lascia prendere dall’entusiasmo della sperimentazione, perseguendo certi concetti.

Se questo è stato il banco di prova per Denis Villeneuve nella sperimentazione di un nuovo genere, il risultato ci piace, ma da qui a riuscire ad arrivare alla grandezza e perfezione delle sue opere precedenti c’è ancora un po’ di strada da fare.

 

Arrival sarà nelle sale cinematografiche italiane dal 19 Gennaio

 

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