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La miglior maglia nera del ciclismo

Cyclists prepare for the start of the 56th Giro d'Italia cycling race in Italy, 1973

Nel Giro D’Italia, il primo classificato ha il diritto di indossare una maglia rosa. All’ultimo arrivato invece viene appioppata una metaforica maglia nera. Cioè, oggi è metaforica, ma non è sempre stato così.

L’origine della
maglia nera

La maglia nera deriva da quella indossata da Giuseppe Ticozzelli, che negli anni ’20 era stato un calciatore del Casale, squadra i cui giocatori indossavano appunto una maglia di quel colore.

 

Giovanni-Pinarello-maglia-nera-Giro-d-Italia-1951-ft

 

Giuseppe Ticozzelli

Nel 1926, finita la carriera da terzino, Ticozzelli decise di partecipare al giro d’Italia indossando la stessa maglia.

Venne però investito da una moto, e cominciò a comportarsi in modo diverso dagli altri corridori: arrivava alla partenza in taxi, e lungo la gara si fermava per andare in trattoria a mangiare e riposarsi.

Dopo tre sole tappe si ritirò, ma aveva fatto abbastanza da trasformare la sua maglia nera in una icona, e renderla sinonimo di “ultimo in classifica”.

L’assegnazione della maglia nera effettiva però, non avvenne fino al 1946. Nell’immediato dopoguerra c’era bisogno di ottimismo, e l’idea che anche l’ultimo potesse vincere un premio sembrò subito meritevole.

L’ultimo ad arrivare non era necessariamente il peggiore; poteva anche essere il più sfortunato, come nel caso del Ticozzelli, investito da una moto. Le strade su cui si correva oltretutto erano sterrate e le forature, ad esempio, erano molto frequenti.

I premi per la maglia nera però, divennero presto cospicui.

Il solo premio in denaro, per l’ultimo classificato, era maggiore di quello percepito dal sesto in classifica.

Il solo premio in denaro, per l’ultimo classificato, era maggiore di quello percepito dal sesto in classifica. A questi si aggiungevano altri premi in natura, assegnati dagli sponsor al traguardo di ogni tappa: animali da cortile, salumi, mobili, pentole, etc.

Era abbastanza perché partisse una vera e proprio gara “a perdere”.

Sì, perché per vincere bisogna essere molto bravi, ma a perdere sono potenzialmente bravi tutti, e questo rendeva la gara ancora più avvincente.

C’erano però due regole: non si doveva tenere un comportamento palesemente antisportivo (cioè, si faceva comunque, ma lo si doveva fare di nascosto), e bisognava arrivare al traguardo entro un tempo massimo.

 

 

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E arriviamo al nostro eroe

Luigi Malabrocca era soprannominato “il Cinese” a causa dei suoi occhi a mandorla.

Non era un cattivo ciclista, tutt’altro. Gli mancava la velocità, ma aveva resistenza da vendere e nell’arco della carriera vinse 138 corse.

 

Luigi Malabrocca

 

Non è per questo però che divenne famoso. Fu perché ottenne la maglia nera per ben due volte, nel 1946 e nel 1947.

Malgrado questo, nel 1946 si tolse la soddisfazione di arrivare quarto nell’ultima tappa del Giro, e nel 1947 vinse poi la Parigi-Nantes. Come dire: se voglio, sono pure bravo.

Aveva diverse frecce al suo arco da maglia nera: era uno specialista dell’autoforatura, sapeva dove e come nascondersi lungo il percorso mentre nessuno lo vedeva, ed era capace di stimare i tempi corretti per non far né troppo tardi né troppo presto.

Inoltre era anche bravo a mettere in giro voci false sulla sua strategia di gara.

Bisogna considerare che negli anni ’40 i mezzi tecnici erano scarsi; una volta che il gruppo si era sgranato, era impossibile tenere d’occhio tutti i corridori e, quando un corridore era da solo, si poteva imboscare nei covoni, o nelle stradine laterali.

E così Malabrocca, dopo le due maglie nere consecutive, era diventato un mito che meritava di essere ricordato.

 

 

Pista ciclabile Luigi Malabrocca

 

 

Il primo stop

Nel 1948 tutti pensavano che avrebbe ottenuto la terza maglia nera consecutiva, ma poi avvenne l’incidente di Aldo Bini.

Aldo Bini

Anche Bini era un gran corridore. Nel 1937 aveva vinto il Giro di Lombardia, battendo persino Gino Bartali.

In quel giro d’Italia del 1948 però, cadde e si ruppe una mano. Malgrado questo, ignorando i dolori e per spirito di competizione, continuò a correre per tutto il giro, anche se con tempi terribili.

Come poteva Malabrocca perdere contro un corridore con una mano rotta? Sarebbe stata una frode palese. Quindi quell’anno Malabrocca lasciò la maglia nera a Bini, ma si consolò vincendo poi la Coppa Agostoni.

 

 

La nemesi

Il 1949 doveva essere l’anno della riscossa: tutti i pronostici erano per Malabrocca.

Alla gara di quell’anno però, si iscrisse anche un certo Sante Carolo che partì subito male: lo registrarono sbagliandone il nome, e restò così negli annali come Sante Carollo.

Carollo Sante

Sante venne chiamato all’ultimo momento dalla squadra “Wilier Triestina” per sostituire un loro corridore colpito da influenza.

Non era neppure un ciclista Sante, era un muratore. In realtà con la bicicletta c’entrava proprio poco, e perdeva quindi senza far fatica.

Già alla prima tappa Carollo arrivò con un ritardo di una ora, sorprendendo completamente Malabrocca, e strappandogli la maglia nera.

Dalla seconda tappa però, Malabrocca si rese conto di chi era il nemico da battere.

E così, mentre in vetta alla classifica la sfida quell’anno era tra due leggende come Coppi e Bartali, nel fondo della classifica c’erano altre due leggende: Malabrocca e Carollo.

Malabrocca diede fondo a tutti i suoi trucchi. Nelle forature soprattutto era un maestro: passava su tutto quello che avesse una punta e, quando non lo guardavano, le gomme se le forava pure da solo.

Ma anche coi nascondigli non scherzava. A Bolzano si nascose in un silo e a Genova in un fosso sotto ad un ponte.

Un giorno, nella campagna veneta, Malabrocca per nascondersi si infilò in una grande vasca in muratura davanti ad un casolare.

Il proprietario lo notò mentre era lì acquattato, andò a controllare, e ne uscì un dialogo surreale.

“Cosa fai?”, chiese il proprietario.
“Il giro d’Italia”, rispose Malabrocca

Carollo però mangiò la foglia, e si comportò in modo simile; inoltre, a differenza di Malabrocca, era veramente un corridore scarso. All’ultima tappa del Giro, quindi, Carollo era ancora in possesso della maglia nera, in (s)vantaggio di due ore.

Malabrocca allora tentò un ultimo trucco: superò Carollo e gli gridò che gli lasciava la maglia nera, sia perché se la meritava, sia perché lui avrebbe dovuto correre davvero in questa tappa, per evitare di essere licenziato dalla sua squadra.

Poi, quando non fu più in vista, si fermò in una osteria dove mangiò e bevve, e da lì fu pure invitato a casa di uno dei suoi tifosi, che lo aveva riconosciuto.

Alla fine riprese a pedalare e arrivò al traguardo con due ore e venti di ritardo.

La giuria però si era stancata di aspettare, anche perchè irritata dal comportamento tenuto dai due corridori per tutto il giro, e se ne era andata assegnando il tempo solo a Carollo, che, fiducioso, era arrivato in mezzo al gruppo.

Non essendoci più i cronometristi, Malabrocca, da regolamento, ottenne lo stesso tempo del gruppo, e perse perciò la maglia nera anche quell’anno.

Paradossalmente fu questo a consacrarlo definitivamente: aveva perso la sfida contro uno dei corridori più scarsi a memoria di Giro. Un vero comportamento da maglia nera.

 

 

Come è finita?

Carollo l’anno successivo tornò a fare il muratore, e Malabrocca decise che era stufo di cambiare continuamente gomme alla bicicletta e nascondersi nei covoni, e si mise a correre seriamente.

Corse e vinse (ma davvero) ancora qualche volta. Il Giro d’Italia comunque non lo vinse mai .

La maglia nera fu poi abolita, nel 1953, perché giudicata antisportiva.

Dopo qualche anno Malabrocca si ritirò dalle competizioni, e si mise a fare il pescatore sul Ticino.

Alla fine però la Maglia Rosa la ottenne anche lui, donatagli da un giornalista, al termine di una intervista che gli fece la Rai per commemorare i suoi traguardi

 

 

Morì di vecchiaia il primo Ottobre del 2006. La Gazzetta dello Sport non si era dimenticata di lui, e gli dedicò un articolo di commiato.

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