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La storia dei numeri complessi

La storia dei numeri complessi

Anno del Signore 1494, il Francescano Luca Pacioli pubblica la Summa de Arithmetica Geometria Proportioni et Proportionalità, un’enciclopedia del sapere matematico scritta in volgare, in cui afferma che la soluzione delle equazioni cubiche sia tanto difficile quanto la quadratura del cerchio. Si sbagliava.

 

 

Scipione del Ferro e i cubi depressi

Sono passati circa dieci anni dalla pubblicazione della Summa e per ora tutti danno per scontato che Pacioli abbia ragione, pur non escludendo l’idea che le equazioni cubiche abbiano soluzione. Scipione del Ferro, che all’epoca insegnava Matematica nello Studium di Bologna, si incaponisce su una particolare cubica:

equazione_620

Questa cubica, del tipo noto in inglese come depressed cube, ha una soluzione (potete verificarlo col Teorema degli zeri) e quindi deve esistere un metodo per trovarla.

Se ha una soluzione, pensa Scipione, ci sarà anche un modo per trovarla. Dopo diversi tentativi, Scipione decide di spezzare x in due variabili, ottenendo

x = (m + v)

e quindi

sol1

Da qui ottiene, attraverso diversi passaggi, una formula che gli permette di risolvere un sistema di secondo grado e quindi trovare una formula per x:

soluzione_delferro

che è una discreta mostruosità e fornisce solo una soluzione. Nulla che impensierisse del Ferro, in fondo si era proposto di trovarne una, non tutte.

Scipione decide di rivelare la formula ad un suo allievo, Antonio Maria Fior, che non era esattamente una cima.

Come era d’uso all’epoca, Scipione tiene la formula segreta e la usa per vincere sfide matematiche e dare spettacolo, ottenendo finanziamenti pubblici patrocini, tanto che dal 1496 al 1510 il suo stipendio passa da 25 a 150 lire.

Ma, come tutti, Scipione invecchia e muore. Poco prima di tirare le cuoia, Scipione decide di rivelare la formula ad un suo allievo, Antonio Maria Fior, che, purtroppo per lui, non era esattamente una cima.

 

 

 

Floridus vs Tartaglia

Conscio di essere un nano sulle spalle di giganti, Antonio Maria, detto Floridus, decide di sfruttare il vantaggio datogli dalla formula di Scipione per fare soldi.

Il modo migliore che aveva un giovane matematico all’epoca per guadagnarsi fama (e sponsor) era sfidarne un altro e dimostrare la propria abilità.

Forte della Formula di sambuco, Antonio Maria decide di puntare in alto e sfida Niccolò Fontana.

Tartaglia è ricordato per aver scoperto la soluzione generale alle equazioni cubiche depresse.

Purtroppo per lui, però Niccolò Fontana non era esattamente l’ultimo venuto: noto ai più con il nome di Tartaglia (era balbuziente a causa di una ferita riportata a 12 anni, quando i francesi presero Brescia) è ricordato per il triangolo di Tartaglia e per aver scoperto la soluzione generale alle equazioni cubiche depresse.

Al momento della sfida, in realtà, Tartaglia non aveva ancora scoperto la soluzione e, se Floridus fosse stato zitto, forse si sarebbe occupato d’altro.

Sospettando che la sfida contenesse una fregatura e sapendo qual era la fregatura più probabile, Tartaglia iniziò a studiare le cubiche giorno e notte.

Alla fine arrivò a riscoprire la formula del Ferro e a trovare la soluzione al caso generale. Ora è Tartaglia ad avere un asso nella manica:

caso_generale

All’epoca avevano maniche belle grosse

Ognuno degli sfidanti propose all’altro 30 problemi e chi ne avesse risolto il maggior numero avrebbe vinto la posta in denaro e la fama. Per Floridus finì male, molto male:

Tartaglia 30 – Floridus 0

Sconfitto, Floridus esce dalla nostra storia, lasciando a Tartaglia la gloria, i soldi e le donne.

 

 

 

Cardano vs. Tartaglia

Dopo la schiacciante vittoria, si sparge la voce che Tartaglia sappia davvero risolvere le cubiche.

Dopo la schiacciante vittoria, si sparge la voce che Tartaglia sappia davvero risolvere le cubiche.

Quando la voce giunge all’orecchio di Gerolamo Cardano, medico, matematico e filosofo alla corte di Milano, questi non sta più nella pelle: sta completando un trattato di Algebra, l’Ars Magna, e la formula di Tartaglia sarebbe stata il fiore all’occhiello del suo libro.

Intenzionato a riconoscergli tutti i meriti, Cardano contatta Tartaglia e lo invita a Milano.

Tartaglia però si rifiuta di far pubblicare la formula, avendo anch’egli in mente di pubblicare un libro di Algebra dopo aver finito con la sua traduzione degli Elementi di Euclide.

Cardano però insiste (secondo alcune versioni arrivando addirittura a raggirare Tartaglia) e il matematico bresciano gli fornisce la formula, ma sotto forma di indovinello in rima:

Poemetto

Cardano non capisce l’indovinello e alla fine Tartaglia glielo spiega, ma a condizione che rimanga segreto.

Cardano e Ferrari si spingono oltre Tartaglia.

Non potendola pubblicare, Cardano inizia a lavorarci sopra assieme al suo pupillo, Ludovico Ferrari. I due si spingono ben oltre Tartaglia, arrivando a dare una dimostrazione rigorosa della Formula e generalizzandola per tutte le cubiche.

Inoltre, Ferrari scopre una formula per risolvere le equazioni di quarto grado. Nulla di tutto questo può essere pubblicato, però, perché serve la Formula.

Frustrati, i due iniziano ad indagare la storia della Formula, in cerca di un appiglio.

Appiglio che si rivela essere Annibale della Nave, genero di del Ferro e suo erede. Le carte di del Ferro in possesso di Annibale dimostrano la paternità della Formula.

E se Tartaglia non ha scoperto la Formula, non può rivendicarne nessun diritto. L’Ars Magna vede le stampe e, sebbene Cardano riconosca a del Ferro e Tartaglia i loro meriti, il matematico bresciano si infuria.

La diatriba tra i due andrà avanti per decenni e, come Floridus, scivola fuori dalla nostra storia.

 

 

 

Finalmente, i

Abbiamo detto che Cardano studia assiduamente le cubiche e, un bel giorno, arriva ad applicare la formula di Ferro-Tartaglia anche a questa equazione:

cardano

che ha soluzione (sempre per il teorema degli zeri), ma applicando la Formula si arriva a qualcosa di molto poco ortodosso:

-121

Questa è la prima comparsa di i

Cardano è certo che ci sia una soluzione, quindi risolve la radice di 121, lascia da parte quella di -1 e continua i suoi conti. Alla fine ha ragione: la radice di -1 si semplifica e ottiene un numero puramente reale.

Questa è la prima comparsa di i, l’unità immaginaria, siamo nel 1545, 40 anni dopo la prima scrittura della Formula, 50 dopo l’affermazione di Pacioli.

Cardano rimane perplesso davanti alla sua scoperta: in fondo per lui i è priva di senso e come può qualcosa di insensato dare origine a qualcosa di sensato?

Così chiama questi numeri “sofistici”, perché privi di correlazione con la realtà, e, sebbene non ne fosse spaventato come lo erano i suoi colleghi dai numeri negativi, li trova di scarsa utilità.

 

 

 

Bombelli e Leibniz

Raffaele Bombelli era un personaggio con molto senso pratico.

Raffaele Bombelli era un personaggio con molto senso pratico, un architetto e un discepolo di Cardano.

Ancora meno scettico di Cardano rispetto ai numeri complessi, Bombelli è il primo a presentare formalmente i numeri complessi come a + i*b (sebbene il simbolo i venga introdotto più avanti) rendendo più facile l’eliminazione della parte immaginaria.

In questo modo arriva a risolvere tutti quei polinomi che Cardano, frustrato, aveva definito irriducibili perché non vedeva modo di riportarne la soluzione in R.

Circa cent’anni dopo, anche Gottfried Leibniz arriverà alle stesse conclusioni di Bombelli, senza aver però letto il suo trattato.

 

 

 

Fonti e approfondimenti

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