Soddisfare il bisogno di dormire è inevitabile. Se non si riesce a dormire per qualche notte, si contrae un deficit che non solo offusca i sensi, ma richiede anche un sonno ristoratore e di “recupero” più lungo. In effetti, il cervello svolge un lavoro essenziale mentre dormiamo. Tra i compiti più cruciali in agenda: la creazione di ricordi duraturi basati su tutto ciò che sperimentiamo da svegli.
Da più di un secolo gli scienziati sospettano che il sonno migliori il ricordo delle informazioni acquisite e persino le prestazioni. Decenni di ricerca hanno cercato di studiar, approfondire e comprendere l’attività cerebrale durante il sonno associati a meccanismi di immagazzinamento della memoria. Molti risultati suggeriscono che il sonno svolge un ruolo attivo nella rivisitazione delle esperienze e nel loro conseguente consolidamento nella memoria a lungo termine. Ma per comprendere meglio il ruolo del sonno, i ricercatori stanno esaminando più dettagliatamente il modo in cui i singoli neuroni comunicano, nonché ciò che modella il flusso di informazioni e la codifica nei circuiti della memoria a lungo termine. Gli studi stanno iniziando a identificare i processi molecolari e cellulari che regolano la forza delle sinapsi in questi circuiti, i quali potrebbero essere alla base della capacità del cervello di trasformare e trasferire selettivamente alcune informazioni dall’esperienza a breve termine alla memoria a lungo termine, dimenticando tutto il resto.
Per saperne di più
In termini cellulari, la memoria è rappresentata nel cervello come un insieme di neuroni che tendono ad attivarsi insieme in base al modo in cui sono connessi alle sinapsi, ossia alle connessioni elettrochimiche tra l’assone di un neurone, che trasmette informazioni, e i dendriti di altri neuroni, che ricevono informazioni. Il richiamo di un ricordo può rafforzare i circuiti aumentando il numero di neuroni o di sinapsi; un ricordo inattivo, invece, può affievolirsi nel corso del tempo quando le sinapsi si indeboliscono o si perdono. Non è semplice comprendere il consolidamento della memoria. Molti studi sul sonno e sulla memoria si sono basati sulla misurazione dell’attività neurale dall’esterno del cranio con l’elettroencefalogramma (EEG). Le oscillazioni dell’EEG riflettono l’accensione sincronizzata di grandi gruppi di neuroni, migliaia o forse addirittura centinaia di migliaia nel caso di oscillazioni lente di grande ampiezza e bassa frequenza. Le oscillazioni possono essere grossolanamente mappate a regioni cerebrali generali; quindi, i ricercatori le hanno utilizzate per esplorare l’elaborazione neurale necessaria per consolidare le informazioni dalle reti di memoria a breve termine, come nell’ippocampo, e spostarle in parti del cervello dove possono essere immagazzinate e consultate per periodi di tempo più lunghi.
“All’inizio del processo di consolidamento, la memoria è molto radicata nelle reti ippocampali, mentre alla fine del processo risiede principalmente nelle reti neocorticali“, spiega Jan Born, neuroscienziato dell’Università di Tubinga in Germania. Lungo il percorso, subisce una trasformazione che i ricercatori stanno ancora cercando di capire.
Com’è fatto un ricordo
I nuovi ricordi sono ricchi di indizi contestuali come l’ora, il luogo e i dettagli sensoriali di un’esperienza; in questa fase i neuroscienziati li definiscono spesso “episodici”. Con il tempo, man mano che i ricordi vengono codificati nella corteccia, molti di questi dettagli spaziali e temporali svaniscono. Rimangono gli elementi che rappresentano il nucleo essenziale del ricordo.
Come il cervello riesca a realizzare questa trasformazione, dice Born, è ancora in gran parte sconosciuto. Una parte è probabilmente dovuta alla limitata capacità di memorizzazione del cervello e alla necessità di comprimere le informazioni salvate. Per Born, però, queste trasformazioni suggeriscono che il ruolo del sonno nella memoria non riguarda semplicemente l’immagazzinamento passivo. Egli immagina piuttosto un processo di consolidamento più attivo, che estrae le informazioni chiave e forma una versione generalizzata della memoria complessiva, alla quale si può accedere in seguito e applicarla a situazioni rilevanti. “La chiamiamo informazione di base o informazione di schema”, dice Born. Con molti dettagli dimenticati, “è una sorta di versione astratta della memoria originale”.
Per ricordare, dimentichiamo
In effetti, la dimenticanza – attraverso l’indebolimento o la perdita delle sinapsi – sembra svolgere un ruolo chiave nel processo di consolidamento della memoria, soprattutto durante il sonno. Ricordare nuove informazioni richiede la creazione di nuove connessioni neuronali o il rafforzamento di quelle esistenti, ed entrambi comportano un maggior numero di accensioni neuronali. Riducendo l’attività neurale in generale, si può eliminare il disordine delle connessioni sinaptiche meno importanti formatesi durante il giorno. In questo modo, dimenticare le piccole aiuta il nostro cervello a conservare le informazioni importanti, fenomeno conosciuto come “la rinormalizzazione sinaptica”. Ciò suggerisce che l’attività cerebrale dovrebbe diminuire nel corso del sonno, come dimostra la diminuzione dell’ampiezza delle principali oscillazioni EEG osservate durante le prime fasi del sonno. Utilizzando la microscopia elettronica, Chiara Cirelli e Giulio Tononi, dell’Università del Wisconsin-Madison, hanno misurato le onde cerebrali durante il sonno, riscontrando anche la riduzione delle dimensioni delle singole sinapsi nella corteccia dei topi dopo il sonno, una tendenza associata a connessioni più deboli tra i neuroni. Ci sono anche prove che alcune sinapsi non solo vengono risparmiate durante la veglia, ma addirittura rafforzate. Il gruppo di Wen-Biao Gan della New York University ha scoperto che la formazione e la persistenza di alcune sinapsi corticali sono state potenziate dal sonno non-REM dopo un compito di apprendimento motorio.
Secondo Cirelli, questi risultati suggeriscono che il sonno offre una quiete generale che riduce il fabbisogno energetico del cervello e fa spazio all’apprendimento del giorno successivo.
Andare oltre il sonno
Comprendendo meglio l’interazione tra le varie fasi del sonno e gli altri ritmi corporei, i ricercatori possono anche identificare i modelli ottimali per favorire un sano consolidamento della memoria. Nel suo recente libro “The Power of the Downstate”, l’autrice Sara Mednick, parla dell’importanza dei periodi di sonno a onde lente, per rifornirci di energia e risorse fisiche in preparazione di stati più attivi. La fase a onde lente del sonno non-REM rappresentano “il sonno più ristoratore che si possa ottenere”, ha detto la dottoressa in una recente conferenza, e poiché il sonno REM inizia circa alla stessa ora ogni notte, indipendentemente dall’ora in cui si tocca il cuscino, “si vuole cercare di andare a letto presto, perché in questo modo ci si assicura di avere abbastanza sonno a onde lente prima dell’inizio del sonno REM”.
Altre ricerche sul tema hanno evidenziato che diversi stati cerebrali possono dare origine a diversi tipi di memoria e ognuno di questi stati potrebbe avere determinati tipi di funzioni adattive per il cervello e per l’individuo. I prossimi passi nella ricerca saranno indirizzati a comprendere ed approfondire proprio questi stati.
- Estimating individual optimal sleep duration and potential sleep debt (nature.com)
- About sleep’s role in memory.(journals.physiology.org)
- Sleep and synaptic homeostasis: a hypothesis.(pubmed.ncbi.nlm.nih.gov)