Cosa rende un film un vero e proprio “cult”? La definizione varia, ma quel che conta, possiamo dire, è l’influenza e l’affezione verso di esso da parte di una nicchia di pubblico sufficientemente ampia. Al di là del successo commerciale, sono pellicole amate, studiate, che fungono da riferimento per un genere e ispirano i cineasti a venire. Tra queste, sicuramente, possiamo annoverare Battle Royale, opera che si affaccia al nuovo millennio diretta da Kenta Fukasaku sceneggiata dal figlio Kenta a partire dal romanzo originale di Koushun Takami.

Battle Royale finalmente in Italia

Vent’anni fa la distribuzione della cinematografia nipponica era piuttosto sporadica, in Italia (e in occidente tutto), al di là di una manciata di autori, e in più l’accesa violenza – grafica e concettuale – dell’opera lo resero difficilmente digeribile presso il grande pubblico e la grande distribuzione, risultando effettivamente bandito o pesantemente censurato in molti paesi, arrivando però agli appassionati tramite l’home video sottotitolato, in maniera non sempre legale.
Ci fu un tentativo, una quindicina di anni fa, di portate il titolo nel nostro paese, ma si risolse in una limitatissima distribuzione nelle videoteche a noleggio, per poi sparire nuovamente nell’oblio.
Almeno fino ad oggi, quando CG Entertainment – che sta coraggiosamente e con qualità dedicandosi al recupero di opere meritevoli in altrettanto meritevoli edizioni lontane dalla logica del mass market e vicinissime ai desideri degli appassionati – decide di distribuirlo prima in sala e poi dar vita a campagna crowdfunding per un lussuoso cofanetto a prezzo a dir poco popolare, contenente entrambe le versioni 4K del film originale (theatrical e director’s cut) e del secondo capitolo (completamente inedito in Italia) con tanto di nuovo doppiaggio, nonché numerosi extra (qui tutte le info, questa la pagina ufficiale del progetto).

Un cult da riscoprire

Battle Royale è un film di culto, dicevamo. Ha ispirato, direttamente o indirettamente, molte opere celebri uscite successivamente, anche in occidente. Quentin Tarantino ha ripreso diversi elementi da Battle Royale (e dalla cinematografia di Fukasaku in generale) per Kill Bill, e gli universi distopici moderni in cui sono contemplati giochi al massacro (da Hunger Games a Squid Game) sono direttamente e palesemente ispirati a esso, checché ne dicano gli autori.
Battle Royale è anche un caso emblematico di adattamento migliore dell’originale: se chi ritiene esecrabile il film leggesse il romanzo o sfogliasse il manga a esso ispirato rabbrividirebbe per il potenziale pulp dell’opera di Takumi, che volutamente esaspera i toni e i temi per massimizzare i messaggi che vuole lanciare al pubblico. Fukasaku rabbonisce gli eccessi, usando una giusta misura che solo in un paio di casi esplode in parodia, lasciando solo la tragedia e l’epica.

Kitano x 42 studenti

Ma di cosa narra, effettivamente, Battle Royale? Siamo in una distopia in cui il Giappone, nei primi anni del nuovo millennio, è divenuto un paese totalitario con enormi problemi sociali ed economici: la recessione ha prodotto una disoccupazione senza pari e il tasso di criminalità giovanile è alle stelle. Tra le misure esemplari adottate per affermare la propria autorità e come folle deterrente all’ondata di disobbedienza generalizzata, il governo autorizza un progetto che prevede il sorteggio di una classe della scuola dell’obbligo che viene coattamente portata in un luogo sufficientemente appartato e attrezzato per dare vita a survival game in cui i giovani dovranno trucidarsi tra loro: solo il vincente potrà tornare a casa.
Shuya Nanahara è un quindicenne come tanti, abbastanza popolare tra gli altri liceali ma ancora piuttosto ingenuo. La sua classe viene prescelta ed eccolo, insieme ai suoi compagni, su un’isola deserta per quella che, in teoria, era stata venduta loro come una gita scolastica.
Alleanze si stringeranno e si infrangeranno a ripetizione, mentre il Battle Royale infuria davanti agli occhi del loro ex insegnante, il professor Kitano. Qual è il ruolo nella faccenda dei due studenti in trasferta? Chi sopravvivrà, infine?

Corri per sopravvivere… e soprattutto per vivere

BR è un film ricco e significativo. Opera matura e caratteristica che mette in mostra le qualità, lo stile e i temi cari ai Fukasaku, partendo da un’opera controversa ma a suo modo importante.
Ad essere importante non è tanto la messa in scena (molto tradizionale nella tecnica), quanto il significato della stessa, coadiuvato da un cast in parte e bravissimo: i ragazzi sono quasi tutti straordinari e rendono ognuno il proprio ruolo alla perfezione (del resto, lo stesso Tarantino ha colto una delle interpreti del film per inserirla in Kill Bill Vol.1, per dire).
I personaggi sono in parte rielaborati rispetto all’originale per ovvie ragioni di condensazione: il romanzo consta di quasi 700 pagine, mentre il manga di quindici volumi. In meno di due ore, i Fukasaku riescono a rendere giustizia a più di quarantatre personaggi, un’operazione sulla carta improba, asciugando le vicende in maniera efficace e mai frettolosa e mantenendone il senso di fondo. L’unico personaggio di cui si sente effettivamente meno l’appeal è Mimura, figura comunque importante nel film ma meno trascinante. Kiriyama subisce una vera e propria trasformazione: da genio del male a semplice macchina per uccidere, ma il personaggio mantiene una sua valenza nella storia, per quanto sia meno affascinante in sé.

Parlando di rielaborazioni, abbiamo poi Kitano, molto naturale nel mostrare tutte le debolezze del suo personaggio, che è una figura negativa ma non malvagia come nella versione cartacea. È al contempo maestro, mentore, protettore e carnefice, incarnando tutti i fallimenti dei moderni adulti (nipponici e non), incapaci di guidare le nuove generazioni verso un cambiamento in meglio limitandosi a servilismi, prepotenze, favoritismi e reazioni egoiste di ogni genere.
In ogni singolo studente, in ogni singola morte, c’è un significato recondito, che affonda le sue radici sia nell’esplorazione del mondo adolescenziale che nella feroce critica al mondo degli adulti e della società nipponica odierna, così formale, rigida, inquadrata e competitiva, nonché ipocrita. Il conflitto generazionale, un grande classico delle storie young adult, è qui rappresentato nel modo più cruento e viscerale, ma c’è un occhio attento che scruta tutto il tessuto societario, le sue contraddizioni, le sue false impalcature. Notevole, ad esempio, il ritratto impietoso dell’esercito nipponico, tasto dolente nella vita e nella filmografia di Fukasaku.

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89
Battle Royale
Recensione di Marco Lucio Papaleo

Si potrebbero scrivere fiumi di inchiostro su Battle Royale e, difatti, a più di vent'anni dalla sua uscita, sembra ci sia sempre qualcosa di nuovo e interessante da (ri)scoprire all'interno della vicenda ideata da Koshun Takumi e portata su schermo dai Fukasaku. Si tratta, in un certo qual modo, del corrispettivo nipponico di Arancia Meccanica, per temi e significati, traslati ovviamente a un contesto geografico e storico diverso.
Se non l'avete mai visto, non perdete l'occasione di farlo ora, con l'arrivo della nuovissima edizione italiana; se già lo conoscete ma non lo vedete da un po', cogliete l'opportunità di rifarlo nel modo migliore... sicuramente coglierete nuovi spunti... Battle Royale è una di quelle opere che parla diversamente a diverse fasce d'età.

ME GUSTA
  • Straordinaria densità di contenuti in appena due ore
  • Emozioni a non finire
  • Giovani interpreti bravi e in parte
FAIL
  • Tecnicamente e artisticamente un po' datato