Identità, dignità, umanità. Quest’anno il Festival di Venezia si sta occupando di temi che ci riguardano in maniera particolare. Temi universali, sicuramente, ma che ancora oggi hanno bisogno di essere affrontati in molteplici modi. Ed anche con la recensione de Il Signore delle Formiche, torniamo a parlare di queste tematiche.
È interessante come tutti gli autori ed autrici presenti quest’anno abbiano trattato in modo diverso il tema della diversità, chi partendo dal proprio vissuto, chi dando voce a chi generalmente non ne ha e chi, invece, come Gianni Amelio raccontando una delle peggiori pagine della storia italiana che visto protagonista il drammaturgo e scrittore Aldo Braibanti accusato e condannato alla fine degli anni ‘60 di plagio, un reato mai applicato prima di quel momento nella storia della giurisdizione italiana e introdotto – ma guarda un po’ – in epoca fascista.
Braibanti, in realtà, non aveva commesso plagio, ma l’imputazione altro non era che un mero mezzuccio vile e riprovevole per coprire la reale accusa ai danni dell’uomo: l’omosessualità. Aldo Braibanti viene accusato e condannato per la colpa di essersi innamorato e avere una relazione consenziente con il ventenne Ettore (nella realtà dei fatti Giovanni Sanfratello), suo studente e amico. Nonostante la maggiore età, il ragazzo viene internato per volontà della sua famiglia in un ospedale psichiatrico e costretto a numerosi e violenti elettroshock per “curarlo dalla malattia e dalla diabolica influenza di Braibanti”, impedendogli di poter vedere amici o avvocati. Ma non solo.
Ciò che viene portato in aula di tribunale sono anche gli ideali politici di Aldo Braibanti, ovvero il marxismo. La sua filosofia di pensiero, il suo ateismo, accusandolo di aver imposto al giovane, così come a tutti i suoi studenti, i proprio ideali e pensiero. Il fine ultimo restava comunque perseguire la relazione dei due.
Quello che ne emerge da questa storia è un quadro raggelante di un’Italia ancora fortemente soggiogata da un mentalità orribilmente medievale che tenta di impedire in tutti i modi una rivoluzione giovanile ormai alle porte, non a caso la fine del processo avviene proprio nel 1968. E non pochi furono gli studenti a far sentire la propria voce, a scendere in piazza, a manifestare l’ingiustizia e la follia di un processo come quello che si stava consumando in quegli anni sotto la totale indifferenza della maggior parte dei cittadini italiani.
Il processo di Braibanti dura quattro anni. Quattro anni di scalpore, ingiurie e ignoranza. Quattro di vergogna, mancanza di civiltà ed umanità. Quattro anni di indifferenza da parte della stampa, cittadini e Stato. L’accusa punta alla pena massima, 14 anni; per l’epoca, un anno in meno rispetto alla condanna per omicidio. Ecco qual è l’Italia che porta in scena Gianni Amelio; l’Italia che, purtroppo, ancora oggi, alla soglia delle elezioni, rischia di fare nuovamente dei pericolosi passi indietro.
Un popolo di codardi, retrogradi e ipocriti, incapaci di guardare al di là del proprio orticello e avere la presunzione che ciò che è “diverso” da loro è automaticamente sbagliato e quindi meritevole di una delle peggiori condanne: l’emarginazione, la persecuzione, il disprezzo.
È incredibile come la ricostruzione storica di Amelio, che passa attraverso diversi punti di vista proprio per riportare più sfumature possibili di questa storia, tocchi un nervo ancora oggi così scoperto.
Gli errori del passato, la responsabilità del presente
Il Signore delle Formiche è un film classico. Una struttura solida. Un cast di grandi interpreti italiani con qualche nuova scoperta. Un film che si affida alla regia lucida, sentita e rigorosa di Gianni Amelio ma che, in qualche modo, lascia un’impronta più sentita, più intima.
In questo film è come se Gianni Amelio fosse Marcello (Elio Germano), l’unico giornalista davvero interessato alla verità e non semplicemente a grandi titoloni scandalistici che in quegli anni hanno tappezzato le pagine dei giornali senza mai occuparsi davvero del significato di quel processo. Amelio è interessato a raccontare la verità, ad andare oltre la superficie, togliere il velo e rivelare ciò che si nasconde sotto l’apparenza, esattamente come Marcello.
Marcello comprende che Aldo Braibanti (Luigi Lo Cascio) vuole essere per la “legge” un simbolo sacrificale. Un esempio da non seguire. Un monito per le nuove generazione, sottolineando le conseguenze di azioni sconsiderate. Ma di quali azioni stiamo davvero parlando? Amare? Amare una persona del proprio stesso sesso?
Ecco, è di questo che stiamo parlando. Vietare la libertà altrui di amare, di essere se stessi. E se a persona “x” la cosa non sta bene, è un problema di quella persona, non certo di chi ha scelto di vivere la sua vita così come si sente di farlo.
Elio Germano con il suo Marcello cerca di far emergere il valore di questa storia, di questo processo, della figura stessa di Braibanti ma come persona libera, persona che non ha paura di esprimere ciò in cui crede, ciò che è davvero, diventando fonte di ispirazione per persone, giovani o meno giovani, terrorizzati di essere se stessi. Ed è forse questo il messaggio più forte che esce fuori da questa pellicola: riflettere sugli errori del passato, sull’assurdità di un processo come quello ad Aldo Braibanti.
Chi siamo noi per decidere cosa è giusto e cosa no?
L’ipocrisia di un Paese laico che, invece, in aula porta “valori” religiosi alla base delle arringhe degli avvocati dell’accusa, facendo leva sulla cristianità del pubblico ministero e della giuria. Gli stessi “valori” che ancora oggi sono la base di molte campagne elettorali. No che ci sia qualcosa di sbagliato nel credere, perseguire il proprio credo. Il vero problema è quando vogliamo IMPORRE il nostro credo agli altri, sfociando in estremismi barbari che impazzano ancora oggi o che come nel caso di Braibanti vengono usati tra i capi d’accusa.
Il fulcro della pellicola è proprio il processo. Amelio divide il suo film quasi in due parti. La prima più leggera, spensierata, intima. La conoscenza tra Aldo ed Ettore. Il desiderio di libertà. L’unione nella poesia, nella letteratura, nella conoscenza; ma al tempo stesso la cornice provinciale in cui sono costretti e la fuga romana. Lo sguardo di Marcello che apre il film e si posa per la prima volta su Aldo ed Ettore, senza sapere che quello sarebbe stato l’inizio di una storia che avrebbe cambiato il corso della vita di molte persone, coinvolte e no nel processo.
Poi, dopo l’immagine più dura della separazione forzata di Aldo ed Ettore (Leonardo Maltese), bruscamente svegliati nel letto della pensione romana in cui alloggiavano, il tono del film cambia e si arriva al processo. Al cuore del racconto dove il processo Braibanti diventa lo spietato specchio del nostro Paese.
Una rappresentazione piuttosto classica che, come dicevo prima, colpisce più per la situazione, i dialoghi, i riferimenti storici, che per l’immagine. Amelio preferisce puntare sulla solidità della semplicità, imprimendo meglio la storia e il suo messaggio, magari anche come monito per il presente.
La voce dei personaggi
Avvicinandoci alla conclusione della recensione de Il Signore delle Formiche è giusto toccare un tasto fondamentale di questa pellicola: il cast. Gianni Amelio si avvale di un cast eccezionale, capitanato da Luigi Lo Cascio nei panni di Aldo Braibanti.
Braibanti non è un personaggio simpatico. Un uomo presuntuoso, orgoglioso, spigoloso. Sembrano quasi surreali i momenti più intimi, più leggeri. Incarna alla perfezione l’archetipo del personaggio scomodo, quello con cui difficilmente si riesce a creare empatia, eppure la sua conoscenza, la sua cultura, affascina. Rapisce. La sua passione è talmente tanto ampia da riuscire a “sorvolare” sui modi più rudi. Lo Cascio riesce perfettamente nell’impresa di unire le due anime del Braibanti, donando un’interpretazione autentica, convincente, fatta non solo di parole ma anche di sguardi, di movimenti. Seminando pezzo pezzo dettagli importanti riguardanti l’uomo.
Appassionato ma in modo diverso è anche il personaggio di Marcello di Elio Germano. Germano continua a darci prova non solo di essere uno dei nostri migliori attori italiani, ma anche di essere sempre incredibilmente versatile e “funzionante” in qualsiasi personaggio. Marcello è quasi un personaggio enigmatico che scopriamo a poco a poco. Mosca bianca per etica e dedizione, il suo sguardo non è solo quello dell’oggettività ma anche quello di un profondo cambiamento che comincia a scuotere e muovere il Paese.
Vera rivelazione, invece, Leonardo Maltese nelle vesti di Ettore. Maltese è quello dal compito più delicato, più genuino. La sua meraviglia ed ingenuità stringono il cuore, così come il suo spirito combattivo nonostante il dolore e la sofferenza a cui viene sottoposto. Il periodo ospedaliero di Ettore conduce Leonardo Maltese verso una sfida attoriale per nulla facile, rischiando di portarlo su di un’interpretazione macchiettistica; ed invece Maltese si mostra più che all’altezza del ruolo, lanciato in una performance emozionante ed autentica. E questo vale anche per il delicato momento dell’interrogatorio in tribunale, messo meschinamente sotto torchio e non creduto di fronte alla verità. Semplicemente perché la verità di Ettore non corrisponde a quella della corte e per questo umiliato due volte.
Gianni Amelio porta nel concorso di Venezia con Il Signore delle Formiche una storia che dovrebbe ricordarci da che parte la legge dovrebbe essere, da che parte noi esseri umani dovremmo essere e che il concetto di normalità non esiste. Un giusto o sbaglio su come vivere la propria esistenza non esiste. Siamo tutti diversi e nessuno, nessuno, ha il diritto di imporre le proprie idee sugli altri.
E ci ricorda che dagli errori del passato si può e si deve imparare, a favore di un futuro più giusto, più sicuro, più libero per chiunque, privo di pregiudizi, odio e violenza.
Il Signore delle Formiche sarà nelle sale cinematografiche dall’8 Settembre con 01 Distribution
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Usando la struttura solida del racconto classico, anche se non particolarmente innovativo nella forma, Gianni Amelio usa una storia del passato per scuotere le anime del presente. Il Caso Braibanti è lampante esempio di come la legge non si occupa di tutti ma come siamo ancora soggiogati da valori stereotipati, modelli retrogradi, che limitano le libertà dell’essere umano. Un film fatto soprattutto dai suoi personaggi e dai loro grandi interpreti.
- Il cast tutto, in primis Maltese. Ben preparati e determinati
- Il modo di raccontare la storia, scegliendo di indagare e prendere come sguardo quello di un giornalista
- Visivamente il film non porta nulla di innovativo, struttura troppo classica