La recensione di Death Stranding Director’s Cut dà il benvenuto a Hideo Kojima su PlayStation 5, permettendoci di rivivere l’esperienza di Sam Porter Bridges con alcune modifiche, ma senza rinunciare alla struttura originale del gioco.
Era il 2019, eravamo tutti in direzione Lucca Comics & Games, di persona, in serenità, con le macchine che sembravano carovane, con i parcheggi che erano delle chimere, con gli stand che erano brulicanti di persone. Era un altro mondo. Era il 2019 e vivevamo l’esperienza del ritorno di Hideo Kojima nel mondo dei videogiochi, per la prima volta in maniera indipendente, vincolato solo da Sony.
Death Stranding è stata tra le opere più divisive di quell’anno, forse dell’ultimo biennio
Death Stranding è stata tra le opere più divisive di quell’anno, forse dell’ultimo biennio, spingendo parte della critica e del pubblico a mal sopportare quell’esasperazione di un gameplay concettuale e di un’esperienza che richiedeva un’immersione tale da trascendere il concetto videoludico, dall’altro lato un’esaltazione totale per un videogioco tout court, assoluto, che ci raccontava la solitudine in un periodo in cui non sapevamo che presto l’avremmo vissuta davvero.
Death Stranding torna, adesso, con la sua Director’s Cut per segnare non solo l’esordio di Kojima su PlayStation 5, ma anche per permetterci di tornare sui passi di un’opera che il game director giapponese aveva bisogno di infarcire e di potenziare, raccontandocene di più. Oppure per sottolineare ancora una volta quanto, per Kojima, il videogioco non sia che un mezzo per raccontare qualcosa di più di una mera esperienza controller alla mano.
La solitudine che adesso conosciamo
Sebbene sia possibile portare i propri salvataggi della prima run su PlayStation 4 direttamente sulla nostra nuova console, è indubbio che nel caso in cui doveste appartenere alla schiera di videogiocatori che hanno visceralmente apprezzato il lavoro svolto in Death Stranding è consigliabile rivivere da zero l’epopea di Sam Porter Bridges. Attraversare l’America dilaniata dall’apocalisse che sta attanagliando e opprimendo la civiltà umana è il vostro compito: oggi l’avventura del protagonista può essere letta in maniera diversa da come venne fatto nel 2019, proprio alla luce di quanto abbiamo vissuto sulla nostra pelle.
L‘isolazionismo, il ritrovarsi spersonalizzati in un mondo che ha dovuto cambiare la propria identità e spingerci ad adattarci a qualcosa di completamente nuovo e inaspettato, ma anche il timore di una apocalisse imminente sono i temi che ci aiutano a comprendere meglio cosa è accaduto in Death Stranding.
Senza dilungarci ulteriormente su elementi che possono essere recuperati nella recensione della versione base, passiamo a snocciolare il succo della Director’s Cut, ossia le aggiunte previste da Kojima Productions. Tutte le aggiunte che siamo andati a notare nel corso della nostra avventura non hanno fatto altro che rendere più immediati alcuni concetti ludici, non per questo semplificandoli.
Tutte le aggiunte che siamo andati a notare nel corso della nostra avventura non hanno fatto altro che rendere più immediati alcuni concetti ludici
Partiamo dall’Esoscheletro ausiliario, che ci ha permesso di accedere in anticipo rispetto alla normale timeline al dispositivo così da poter meglio affrontare la fase di trasporto: niente che possa banalizzare le procedure legate alla difficoltà di dover portare un carico da un punto all’altro, ma semplicemente un ammorbidire un’attività già di per sé molto ripetitiva e dispendiosa. Il suo potenziamento va a velocizzare anche il nostro spostamento, così da rendere più facile le consegne più ostiche.
Dall’altro lato l’aggiunta del fucile Maser ci ha permesso di andare a stordire i Muli che si trovano nelle prime aree di gioco, così da evitare di doverci rallentare costantemente in uno stealth a volte troppo prolisso. Ovviamente parliamo di stordire e solo sugli esseri umani, senza volervi illudere di poter sfuggire alla morte utilizzando una semplice pistola stordente.
La volontà di Kojima Productions è quella di andare a semplificare alcune storture, rendere più dinamica l’esperienza, senza intaccare la progressione
Già solo queste due aggiunte vi fanno capire come la volontà di Kojima Productions sia stata quella di andare a semplificare alcune storture, rendere più dinamica l’esperienza che ci porta ad attraversare l’America, ma senza intaccare in alcun modo la nostra progressione verso l’obiettivo finale. Allo stesso modo avere nel nostro inventario oggetti come la Rampa o il Ponte chirale ci hanno permesso di ottenere dei benefici dal punto di vista esplorativo, ma non per questo di aggirare ostacoli che fanno parte della naturale progressione di Death Stranding.
Il Ponte, per contestualizzare ciò che vi stiamo raccontando, vi permetterà di risparmiare risorse utili in fase successive e costruire un passaggio che potrà essere accessibile solo attraverso un riconoscimento biometrico: di conseguenza i nostri nemici non potranno attraversarlo, il che ci permetterà di costruire un vero e proprio ostacolo agli avversari, ma non potremo attraversarlo con dei mezzi pesanti e sarà, come aggravante, molto suscettibile agli effetti della cronopioggia. Insomma: Kojima dà, Kojima toglie.
Le bizzarre dissonanze di Kojima
Tra gli aspetti meno soddisfacenti della Director’s Cut troviamo l’aggiunta, del tutto inadeguata all’offerta ludica, a nostro modo di vedere, del circuito di corse. Non vogliamo tuffarci in un intricato discorso di dissonanze ludonarrative, là dove nel corso di una pericolosa apocalisse imminente potremmo contestare innumerevoli azioni compiute da Sam, piuttosto soffermarci sul macchinoso e farraginoso sistema di guida dei mezzi, totalmente fuori luogo per un circuito che vorrebbe, forse, donarci della spensieratezza bizzarra e disattesa.
Con il poligono di tiro, invece, sembra che Kojima si sia voluto in qualche modo prendere una rivincita next-gen sulle sue VR Missions di Metal Gear, ricordandoci da dove veniva e lanciando un’esca a noi fan della prima ora della sua saga principe. Anche qui, però, nulla di fondamentale ai fini del miglioramento del gameplay, ma solo due momenti ludici che sono stati inseriti per andare a spezzare quella che rischia di diventare, come lo era già stato nel primo capitolo, una monotona sequela di ritiri e consegne di pacchi e oggetti preziosi, se non di corpi.
Con il poligono di tiro, invece, sembra che Kojima si sia voluto in qualche modo prendere una rivincita next-gen sulle sue VR Missions di Metal Gear
Soffermandoci, infine, sul reparto grafico vi ricordiamo – sicuri del fatto che vi ricorderete anche voi – quante lodi abbiamo tessuto per Death Stranding due anni fa: in maniera del tutto scontata, il titolo di Hideo Kojima spingeva al massimo le potenzialità di PlayStation 4, offrendoci una delle esperienze più mastodontiche dal punto di vista visivo, supportata da un cast e da un motion capture davvero eccezionali.
La Director’s Cut non vuole essere da meno e sebbene il massimo potenziale di PlayStation 5 lo vedremo solo tra qualche anno, abbiamo avuto modo di assaporare qualcosa di ancora superiore all’esperienza base. Le minuzie tecniche si esaltano, ma sono gli effetti visivi e sonori che ci permettono di rendere ancora più emozionanti i nostri viaggi attraverso l’America, grazie a un sistema di illuminazione che valorizza ancora di più gli ambienti circostanti.
L’America è più bella se illuminata
Va da sé che anche la possibilità di avere una risoluzione generale maggiore rispetto a quella che avevamo nella scorsa generazione permette a Death Stranding di avere un frame rate sempre fisso a 60fps e una doppia modalità di riproduzione dell’immagine (Qualità con 4K nativi e Prestazioni con 4K upscalati) che soddisfano in egual misura le nostre esigenze oculari.
Allo stesso modo l’SSD della PlayStation 5 ha velocizzato qualsiasi tipo di caricamento, come era facilmente intuibile, e l’altoparlante del controller DualSense, nell’ecosistema dell’audio 3D al quale fa appello Kojima, finisce per accompagnarci durante la nostra avventura grazie anche alla vibrazione che scandisce il nostro cammino. In tale ambito, infine, abbiamo notato che i grilletti adattivi si sono attivati esclusivamente nei momenti di maggior stanchezza o di scarso vigore nel trasportare carichi troppo pesanti, senza esaltarci eccessivamente nel loro utilizzo da parte di Productions.
Chiudiamo con un appunto: la Director’s Cut di Death Stranding dal punto di vista commerciale compie una scelta assai curiosa e che merita un attimo di riflessione: Ghost of Tsushima non si è trattenuto dal rendere accessibili tutte le novità apportate alla sua versione migliorata anche ai possessori di PlayStation 4, per non porre una barriera d’ingresso che avrebbe escluso chi non ha effettuato il salto generazionale.
Sony, invece, stavolta ha deciso di rendere disponibile la Director’s Cut soltanto ai possessori di PlayStation 5, praticamente tagliando fuori da questo upgrade tutte le persone che avevano accompagnato Sam Porter nell’avventura originale e non si sono premuniti di una console che a distanza di un anno dal suo arrivo resta in molti casi ancora introvabile.
Sappiamo che Death Stranding è stata un'opera divisiva due anni fa e continuerà a esserla oggi: la Director's Cut aggiunge dei contenuti inediti e in alcuni casi interessanti, ma non va a modificare quella struttura di base dell'opera di Kojima. Un aspetto che porta con sé pro e contro, perché chi aveva apprezzato l'esperienza con Sam continuerà a goderne adesso, chi invece l'aveva mal digerita non avrà motivo di tornare sui suoi passi adesso. Death Stranding resta un lavoro che esalta ancora di più quell'assunto secondo il quale per Kojima il videogioco non resti che un mezzo per raccontare qualcosa, nel tentativo di arrivare a una commistione sempre più inesplorata tra cinema e ludico, nell'attesa di comprendere come si evolverà la sua poetica negli anni a venire.
- La vicenda narrata può toccare corde più sensibili oggi
- Tecnicamente riesce a compiere un passo in avanti
- Migliorie ludiche che non intaccano la progressione
- Resta un'opera divisiva e per questo non adatta a tutti
- Circuito e poligono di tiro decontestualizzati