La recensione de La vita davanti a sé, il film con Sophia Loren che la vede tornare in scena dopo una pausa di diversi anni. 

Dopo anni di assenza dai riflettori, una delle attrici più amate, apprezzate e conosciute a livello internazionale del cinema italiano torna sullo schermo, per quanto sia quello più piccolo della realtà Netflix; cerchiamo di capirne di più nella nostra recensione de La vita davanti a sé. 

Adattamento dell’omonimo romanzo di Romain Gary (che non ho letto, metto le mani avanti ci fosse qualche purista in lettura), La vita davanti a sé vede alla regia Edoardo Ponti, figlio di Sophia Loren e Carlo Ponti, noto produttore dell’Italia del secondo novecento. La Loren era assente dalle scene dal 2014, dal corto La Voce Umana, diretto anche questo da Ponti: come detto in conferenza stampa ha preferito dedicare gli ultimi anni a seguire la vita dei figli, dopo una vita di stardom che lei stessa – in conferenza stampa – ammette averle rubato del tempo su questo piano.

Buona parte dell’attenzione sul film ruota insomma intorno al nome di colei che ne è protagonista, una donna che a 86 anni è ancora in grado di regalare prove notevoli e imporsi negli equilibri di una scena. 

Al di là di questa presenza illustre La vita davanti a sé è anche altro; è una storia che soprattutto parla di integrazione (sociale che si confonde col famigliare) e in un certo senso di un affetto che sconfina in una maternità, ma è anche un film che sotto traccia affronta l’Olocausto con un equilibrio e un’assenza di pedanteria tali da essere invidiabili da buona parte delle produzioni su questo fil rouge. 

Prima di continuare, vi ricordo che La vita davanti a sé è già disponibile su Netflix, avendo purtroppo dovuto saltare l’uscita cinematografica prevista per le settimane passate.

 

 

La vita davanti a sé ha decisamente qualche elemento in comune con un altro film della Loren, quel Matrimonio all’italiana di De Sica che vedeva già affrontato – in tutt’altra direzione – il tema della maternità abbinato alle difficoltà della prostituzione. Nel film, con protagonista anche Mastroianni, Filomena (Sophia Loren) aveva avuto tre figli dal suo passato come prostituta, di cui almeno uno affidato in segreto ad una donna fuori città.

Salto di cinquantasei anni, ed ecco che presente e passato si incontrano con una donna ebrea di Bari che dopo un trascorso da prostituta (e dopo essere sopravvissuta ad un campo di concentramento) cresce i bambini delle sue colleghe più giovani, sotto il nome di Madame Rosa.

Un bel giorno, un dottore della zona le affida il piccolo Momo (Ibrahima Gueyé), un preadolescente senegalese musulmano rimasto orfano di madre in seguito ad una non meglio specificata tragedia svoltasi nel suo contesto familiare. La diffidenza tra i due si scioglierà piano piano e il ragazzino rivaluterà la sua considerazione del mondo criminale, legandosi a Madame Rosa lungo il decorso della sua terribile malattia. 

É un soggetto interessante, quello ripreso dal romanzo originale (con l’ambientazione che qui si sposta da Parigi alla Puglia), che comunque porta il film ad andare molto sul sicuro, senza particolari guizzi degni di nota e sviluppandosi su un canovaccio visto e rivisto in mille altre occasioni.

 

La vita davanti a sé Recensione

 

La vita davanti a sé è insomma un film che gioca molto sul sicuro nel suo intreccio, prevedibile in ogni singolo sviluppo da inizio a fine, a volte anche in maniera fin troppo didascalica, passo passo seguendo quasi ogni step che già avevo previsto appena avviato il film su Netflix. 

L’unica chiave con cui La vita davanti a sé riesce a differenziarsi nettamente è senza dubbio Madame Rosa, sia per il modo in cui affronta il decorso della sua malattia, nel suo comunque mantenere sempre una dignità, sia per come metabolizza il suo retaggio ebraico e rielabora i traumi passati, che spuntano silenziosamente come aculei mano a mano che la donna si indebolisce. 

Complice una grande interpretazione della Loren, Madame Rosa è un personaggio generalmente molto brillante

Complice una grande interpretazione della Loren (che a 86 anni regala ancora scene dove non esiste altro che lei, anche solo attraverso uno sguardo fisso), è un personaggio generalmente molto brillante, impostato su una bellezza affascinante come splendidamente decadente. C’è qualcosa di catalizzante in questa signora di una certa età che si adatta alle situazioni, che balla felice oltre la propria barriera di cinismo e austerità, che usa uno scantinato come piccolo spazio personale per ritrovare sé stessa, come una bambina rifugiata sotto un letto. 

 

La vita davanti a sé Sophia Loren Abril Zamora

 

E forse catalizzante è anche il passato della donna, vista la capacità della sceneggiatura di trattare la tragedia dell’olocausto e dei campi con una grande attenzione, per integrare quei traumi nel modo più naturale possibile per il personaggio.

Quei temi emergono nell’innocente ingenuità di un bambino, nei silenzi del non detto, in una mezza battuta in qualche dialogo, nella lucidità netta di abitudini e punti di vista, o ancora emergono facendoli trapelare – mai esplicitamente – dalle crepe di una psiche in rovina. 

Voglio essere chiaro in questa recensione de La vita davanti a sé: il fatto che la Madame Rosa interpretata dalla Loren sia ebrea e sia sopravvissuta ad un campo non sposta di una virgola gli equilibri del racconto, non ne è un elemento fondamentale e il film ci si sofferma giustamente molto poco, eppure – stranamente – è il punto su cui a mio avviso la scrittura della protagonista svetta maggiormente.

 

La vita davanti a sé Sophia Loren

 

Per quanto riguarda Momo – il ragazzo “adottato”- non aspettatevi di contro miracoli: è il classico ragazzino ribelle, all’inizio maleducato e scontroso, col cuore buono, che ha perso i genitori e la famiglia, che si affeziona ad una persona, che entra ed esce dalla criminalità, che scopre il fascino dello studio e diventa alla fine una persona migliore.

Insomma, parabole che abbiamo visto di continuo in qualsiasi forma e medium, in qualsiasi contesto. Diciamo che il ragazzo vive in funzione di Madame Rosa e sul loro rapporto è strutturato il film e i suoi azzeccati momenti metaforici/simbolici, ma per ovvie ragioni brilla molto di più la donna rispetto al ragazzino (pure per la differenza siderale tra gli interpreti), che però ha qualche elemento interessante nel modo in cui è stato scritto. 

Su questa ricerca di un ambiente che lo accolga gioca la considerazione che ha Momo del mondo criminale

Ho già detto in questa recensione de La vita davanti a sé che il film tratta anche di integrazione, in questo caso non direi strettamente sociale, ma principalmente relativa alla ricerca di un contesto familiare. Su questa ricerca gioca la considerazione che ha Momo del mondo criminale, di persone subdole (consciamente o inconsciamente) che lo attraggono anche solo ed esclusivamente perché – a differenza di altri – lo accettano, lo fanno sentire adulto (d’altronde è un adolescente) e lo trattano (all’apparenza, almeno) come un pari.

 

Ruspa La vita davanti a sé

 

Il “Ruspa” del bravissimo Massimiliano Rossi (che abbiamo già visto ne Il primo re e in Romulus, ad esempio) non è uno spacciatore cattivone, ma ha contorni umani, ha dei trascorsi, ha i suoi problemi, e diventa per l’adolescente quasi una figura “paterna” (per quanto più artificiosa che altro), alternativa e speculare a quella di Madame Rosa. Questa scelta di non tratteggiare quest’altra “fazione” con fare troppo manicheo funziona alla grande, sia per abbracciare gli eventi dal punto di vista più ingenuo di Momo, sia pure per rappresentare meglio una realtà fatta non solo di bianchi e di neri, ma di sfumature di mezzo. 

Ovviamente questi discorsi contano fino ad un certo punto con l’ovvia chiusura didascalica e un po’ pedante del racconto, ma non si poteva pretendere altrimenti in una produzione del genere. Degno di nota in ogni caso che alcuni passaggi del percorso verso quel finale siano stati meno banali del previsto; e c’è da dire anche che il finale ha i suoi bei momenti emotivi ed è gestito molto bene a livello di regia. 

 

Momo La vita davanti a sé recensione

 

Un ultimo spazio alla fine di questa recensione de La vita davanti a sé va per Abril Zamora, che interpreta in maniera molto convincente la simpatica e magnetica Lola, madre transessuale di uno dei bambini tenuti da Rosa e prostituta, che si occupa della donna anziana nei momenti di difficoltà e ne è praticamente la più intima amica/confidente. Credo sia il personaggio che più di ogni altro nel film trasmette vitalità ed esuberanza in ogni singolo fotogramma, e in questo caso sicuramente per buona parte è merito della interprete. 

Quindi, ricapitolando per questa recensione de La vita davanti a sé: vale la pena vedere il film? Sicuramente sì, se non si sparano al cielo le pretese e si rimane consapevoli di vedere un film sostanzialmente nella media, con qualche elemento interessante, con una grande (a tratti grandissima) performance della Loren e con un personaggio estremamente affascinante al proprio centro, quello di Madame Rosa. Promosso senza particolare entusiasmo, ma decisamente promosso. 

 

La vita davanti a sé è disponibile su Netflix