A sconvolgere, disturbare e far riflettere nella terza giornata della Festa del Cinema di Roma spetta a Michael Moore e al suo Fahrenheit 11/9, docu-film che si struttura come il “precedente” Fahrenheit 9/11, ma questa volta prendendo in esame le elezioni politiche, cosa ha portato Trump alla vittoria e cosa il futuro potrebbe, drammaticamente, riservarci.
Michael Moore è un abile cineasta della realtà. Ci aveva già sconvolti nel 2003 con il suo Bowling a Columbine, vincitore dell’Oscar come miglior documentario e che, come titolo suggerisce, parlava del massacro del 20 Aprile 1999 nella Columbine High School ad opera di due giovani studenti armati fino ai denti, del fanatismo americano per le armi, di come fin da bambini si venga educati all’uso delle armi legittimati dalla difesa e da quanto sia facile per un adolescente detenere un’arma.
Nel 2004, usando per metà il titolo del famoso romanzo Fahrenheit 451 di Ray Bradbury (dove appunto venivano bruciati i libri cercando di evitare il più possibile che il seme della cultura e dell’informazione ed evoluzione potesse “contaminare” la mente umana) arriva Fahrenheit 9/11 e porta alla luce alcuni avvenimenti scottanti che coinvolgevano il Governo americano e la Presidenza di Bush, legati alla famiglia reale saudita e alla famiglia di Bin Laden, l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 Settembre 2001 e la guerra al terrorismo.
Quattordici anni più tardi e cinque film dopo, Michael Moore torna nuovamente a provocare, sconvolgere e colpire ferocemente lo spettatore con un’analisi antropologica e oggettiva degli avvenimenti che hanno preceduto le ultime elezioni americane e che, forse, sono la causa dell’inaspettata vincita di Donald Trump alle elezioni presidenziali americane.
Fahrenheit 11/9 parte con “Fight Song” della cantante Rachel Platten, inno della campagna elettorale di Hilary Clinton, prima candidata donna a futura Presidentessa degli Stati Uniti. Una vittoria data per scontata da tutti, elettori, media, politici. Apparentemente perfino Donald Trump dava per scontato la vittoria della Clinton, in vantaggio rispetto all’avversario “mattacchione” con l’85% delle preferenze.
Nessuno ha mai creduto nella vittoria di Trump né tanto meno nella sua candidatura fatta per gioco. Uno scherzo da bambino capriccioso indignato da una Gwen Stefani pagata molto più di lui dalla stessa emittente televisiva per la quale Trump lavorava. E dopo un primo finto comizio, con tanto di comparse ben pagate per adularlo e far vedere quanto fosse più popolare della cantante, Trump perse quel lavoro… ma questo gli diede modo di presentare davvero quell’assurda e paradossale candidatura.
Un paradosso che ha fruttato milioni e milioni di dollari per oltre un anno alle più importanti emittenti televisive. Un paradosso che ha fatto crogiolare nella vittoria amici stretti del soggetto in questione, tra cui governatori folli, produttori depravati e arrivisti. Del resto, cosa aspettarsi dalla “compagnia” di uno ha più e più volte affermato che se non avesse legami di sangue con Ivanka (la figlia) ci proverebbe…
E, mentre “il fenomeno Trump” era la gallina dalle uova d’oro per i Media e i meme su internet, la Clinton era tanto sicura della sua vittoria da dimenticare la parte più importante dell’America, quella della classe operaia, quella della povertà, della disillusione e del sogno americano distrutto, il futuro Presidente degli Stati Uniti costruiva la sua schiacciante vittoria che la notte dell’8 Novembre 2016 avrebbe fatto pronunciare al mondo intero:
How The F*** Did This Happen?
Certo l’aiuto dei più potenti uomini del mondo sembra essere la risposta più semplice a questa vittoria, la risposta più sensata.
Russia, Corea, Cina, dittatori pronti a sottomettere, a piegare, a negare il sacrosanto diritto alla vita di ogni essere umano; ma Michael Moore non è un uomo ingenuo, uno che si ferma all’apparenza o che si lascia indottrinare.
No, Moore va indietro nel tempo e ci porta per mano, gettandoci nel caos, nell’esplosione, nella tempesta.
Moore mostra quali sono stati gli elementi a dare vita al fenomeno Trump, un uomo frutto di un sistema già rotto e corrotto.
E né Democratici o Repubblicani si salveranno da questa mattanze del reale, dove vengono sviscerati solo alcuni dei casi più eclatanti, come quello della città di Flint, la più povera cittadina del Michigan e con la percentuale più alta di cittadini afroamericani, letteralmente avvelenata dal Governatore Rick Snyder.
Crisi che avvenne nel 2014 e che vide il governo ignorare 10.000 bambini avvelenati. Vide l’indifferenza dello stesso ex Presidente Obama il cui il teatrale gesto di bere un bicchiere d’acqua di Flint scaturì l’effetto opposto desiderato, creando ancora più tensione.
Inoltre, Obama usò Flint come vero e proprio centro di simulazione militare, senza avvertire i cittadini che si ritrovarono la periferia bombardata e circondata da militari armati. Questo costò ad Obama una quantità importante di voti. Voti che, ovviamente, considerando che il Michigan è uno degli Stati dove ha trionfato Trump, andarono proprio a quest’ultimo.
Questo è solo uno dei molti esempi che fanno ribrezzo, come l’indifferenza da parte del partito Democratico a prendere posizione e appoggiare gli studenti che hanno creato nell’ultimo anno un vero e proprio movimento contro le armi in America, stanchi dell’ennesima carneficina consumata tra i banchi di scuola.
La perdita di fiducia nella Democrazia è la nostra condanna a morte.
Queste le parole che risuonano come una vera e propria sentenza. Una sfiducia che si fa sentire in tutto il mondo, Italia compresa, dove uomini del passato come Mussolini, Hitler e del presente come Putin, Kim Yong-un, Trump o Salvini, approfittano degli errori degli altri, della disillusione del popolo, infarcendo la mente di persone stanche, frustrate ed esasperate di concetti folli, estremisti e distrutti per il mondo.
Un ritratto spietato, terrificante, incorniciato da un tappeto musicale contrastante che va dal Requiem di Mozart al pop di Rachel Platten, che potrebbe sembrare una delle puntate di Black Mirror di Charlie Brooker, ma dove invece Moore ci ricorda che la finzione distopica è assai migliore e positiva rispetto alla nostra attuale realtà; caso vuole che lo stesso Brooker, mesi fa, alla domanda “come mai due episodi della nuova stagione di Black Mirror hanno un finale quasi positivo?“, lo showrunner rispose: “perché in questo mondo così negativo, avevo bisogno anch’io di un lieto fine per alleggerire le cose“.
Michael Moore, invece, non riesce ad essere positivo. Ci prova all’inizio della sua narrazione uscendone però avvilito, devastato, perso nei suoi stessi interrogativi e nelle parole di chi, nonostante abbia vissuto gli orrori in prima persona di periodi storici come la Seconda Guerra Mondiale, riesce a essere molto più terrorizzato da quello che stiamo vivendo oggi:
Non dobbiamo combattere per la sicurezza, noi dobbiamo combattere per la libertà.
[…] Dobbiamo cambiarlo questo mondo o moriremo tutti.
Ed è quasi con queste parole che Moore ci lascia senza speranze, afflitti e avviliti.
Avviliti da noi stessi, da quello che le nostre mani, i nostri errori, gli errori di un mondo che persevera nella propria ignoranza lasciando salire al potere tiranni narcisisti e interessati non all’evoluzione o al cambiamento ma alla pura e semplice distruzione.
E forse, in fondo, meritiamo proprio questa fine.
Fahrenheit 11/9 sarà disponibile nelle sale come evento speciale di Lucky Red il 22, 23 e 24 ottobre.
Guarda la nostra video intervista dal red carpet:
RomaFF13: la nostra intervista dal red carpet a Michael Moore
Abbiamo intervistato sul red carpet della 13esima Festa del Cinema di Roma Michael Moore, protagonista della Selezione Ufficiale con il suo nuovo film Fahrenheit 11/9. #RomaFF13Seguirà versione sottotitola dell'intervista su Youtube
Posted by Lega Nerd on Sunday, October 21, 2018