Shadow of the Tomb Raider, capitolo conclusivo della nuova trilogia sulle origini di Lara Croft, sta per arrivare su PC, PlayStation 4 e Xbox One. Scopri come ci è sembrato con la nostra recensione.
“Volevamo portare Lara più vicino possibile a diventare la cercatrice di tombe che conosciamo da sempre”. Ancora: “Rispetto agli ultimi due giochi, in questo nuovo titolo l’archeologa, a partire dall’abbigliamento, è quanto di più simile all’avventuriera che il mondo ha scoperto negli anni ‘90”. Oppure: “Shadow of the Tomb Raider è una discesa negli inferi. In questo gioco Lara è avvolta dal buio e tirerà fuori il lato più oscuro del suo carattere”.
Di nuovo: “Troveremo l’ereditiera all’apice della consapevolezza di sé e del proprio potere, di cui però non ha ancora imparato a comprenderne i limiti. In questo modo anche un eroe potrebbe rivelarsi una minaccia. Lara ora dovrà decidere cosa vuole essere. Ma lo capirà solo dopo aver commesso grossi errori”. Infine, la bomba “Questo sarà il Tomb Raider più difficile e grande a cui avete mai giocato”.
Quando uno sente certe sparate, uscite dagli incontri con uffici stampa e sviluppatori, poi riprese dai media di settore, è logico che, come se fosse un pallone aerostatico, la mente voli e le aspettative salgano a dismisura. Da una icona come Lara poi è lecito pretendere sempre il massimo, a maggior ragione dopo l’impressionante lavoro di restyling della serie eseguito negli ultimi anni dagli studi di Crystal Dynamics su incarico di Square Enix, che detiene ormai ogni diritto sul brand, e che ha affidato al team Eidos Montreal l’ultimo capitolo.
Il lancio è fissato per il 14 settembre su PC, PlayStation 4 e Xbox One. Scopriamo, dunque, se questo nuovo episodio della serie è riuscito a mantenere le promesse.
Nel 2013 Tomb Raider è riuscito nel duplice obiettivo di svecchiare di colpo l’immagine di uno dei personaggi più influenti della storia dei videogiochi, preoccupandosi di metterlo al centro di una sceneggiatura che fosse anzitutto credibile, e di rifondare la struttura della serie. Il pubblico ha così imparato a conoscere una nuova Lara, più complessa e incline ai gusti della contemporaneità: i tratti più monolitici e caricaturali del carattere dell’avventuriera – come i modi bruschi e l’aria da MILF che la sa lunga – hanno ceduto il passo alla ragazza della porta accanto, con un paio di taglie di reggiseno in meno, nel fiore della giovinezza, che attraversa una fase interlocutoria della propria esistenza, dilaniata da dubbi e contraddizioni, alla ricerca di un’identità, di un posto nel mondo e soprattutto della verità sull’omicidio del padre.
Contemporaneamente gli sviluppatori hanno ricostruito da zero il gameplay: le tradizionali dinamiche esplorative sono state arricchite da combattimenti più tattici, dove conviene agire nell’ombra, preferendo l’arco alla pistola e sfruttando nascondigli e coperture, e dall’inedito sistema di potenziamento del personaggio. Il tutto, condito da sporadici Quick Time Event, tanto semplici quanto divertenti. Il successivo Rise of the Tomb Raider ha approfondito la formula, privilegiando una progressione meno guidata e lineare rispetto al primo episodio, resa possibile da ambientazioni di ragguardevole estensione, zeppe di cose da fare in alternativa alla campagna principale, come le battute di caccia o le tombe opzionali.
Shadow of the Tomb Raider consolida l’impianto del predecessore e lo porta alle estreme conseguenze.
Tutto comincia in Messico. L’archeologa è qui per esplorare le tombe di Cozumel, uno degli ultimi scavi visitati dal padre prima di essere assassinato, e stare alle calcagna di un certo Dominguez, leader della Trinità, una sorta di massoneria ritenuta mandante dell’omicidio. Che cosa staranno cercando laggiù? Tra un crepaccio e l’altro, l’avventuriera recupera un antico pugnale ma, dopo un agguato, cade prigioniera della Trinità. Stando a Dominguez l’archeologa l’ha combinata grossa: il reperto è una chiave dietro cui si cela una maledizione Maya e Lara, appropriandosene, ne ha involontariamente innescato il meccanismo.
L’umanità come la conosciamo non esisterà più, verrà purificata dal peccato e dalla debolezza, a meno che qualche prode non trovi lo Scrigno d’Argento e fermi la catastrofe. Peccato che il manufatto sia in Perù, disperso in un punto imprecisato nei dintorni della città segreta di Paititi. Non c’è tempo per rimuginare: puntuale come il lunedì, arriva l’apocalisse, Cozumel viene rasa al suolo e centinaia di innocenti vanno al Creatore. Morale: ne ammazza più Lara della peste. Come farà a dormire la notte con i sensi di colpa? Fatto sta che durante il tragitto alla volta delle Ande la furia di una tempesta fuori dal comune spezza il velivolo come un grissino. Scampata per miracolo dallo schianto, Lara dovrà sopravvivere nella giungla peruviana e raggiungere Paititi.
Senza spoilerare nulla, vi anticipo che il pezzo forte di Shadow of the Tomb Raider non è la trama. Per carità il ritmo impresso al vortice degli eventi è riuscito a tenere alta la soglia dell’attenzione fino ai titoli di coda, ma la sceneggiatura è piatta, priva di sussulti – nel 2018 onestamente ne ho le scatole piene di racconti di eroi che si uniscono a ribelli, che per definizione si ribellano, per rovesciare il despota, che barba la resistenza – e difetta di intuizioni originali. La storia viene narrata con taglio cinematografico, ma nella regia le inquadrature sono anonime, col risultato che mancano momenti veramente memorabili e alla fine, tutto suona un po’ troppo telefonato.
Per esempio, lo spezzone con Lara bambina, pur piacevole, annaspa un po’ troppo tra atmosfere rubacchiate ad Uncharted 4. Inoltre il tanto strombazzato percorso di maturazione si rivela contraddittorio e – come minimo – discutibile: in più di un’occasione la signorina frigna quanto se non più che nei due capitoli precedenti, mentre in altre circostanze tutto sommato non batte ciglio innanzi allo scempio di innocenti provocato dalle sue stesse azioni.
Attenzione, questo non significa affatto che non vi divertirete in compagnia della signorina Croft: l’impianto di gioco, collaudato e oliato dai due titoli precedenti, gira in Shadow of the Tomb Raider alla perfezione, come se fosse un motore indistruttibile. Ma in paragone ai predecessori qui l’archeologa è un’impressionante macchina della morte: Lara può, ad esempio, nascondersi tra i rampicanti oppure coprirsi di fango per mimetizzarsi stile Predator e vibrare dal nulla una picconata alla giugulare del poveraccio di turno.
Oppure, appollaiandosi su un albero, può scagliare una freccia cordata per impiccare il nemico facendolo penzolare dal ramo più alto. E perché, ancora, non cospargere il dardo di un veleno tale da generare una crisi di nervi, inducendo i soldati al fuoco amico? Le tecniche da guerriglia servono per proteggersi anche dalle molestie della fauna locale: dovremo vedercela con bestiacce aggressive quali giaguari, scimmie, piranha, murene, e allora tornerà comodo attivare l’istinto di sopravvivenza e raccogliere le erbette che potenziano i sensi, in modo da avvertire più facilmente la presenza di pericoli.
Il sistema di potenziamento, mai così stratificato, mette sul piatto oltre 60 abilità da sbloccare per imparare nuove strategie, attacchi e comandi fondamentali per portare a casa la pelle. Le possibilità di personalizzazione abbondano anche alla voce equipaggiamento: pistole, mitragliatori, archi, coltelli, possono essere modificati in lungo e in largo oppure acquistati dai mercanti, magari insieme a mirini, silenziatori o cartuccere.
I momenti esplorativi soddisferanno soprattutto l’utenza che predilige l’avanzamento libero rispetto alla progressione lineare: non siamo certo in zona open world, ma quanto a metri quadri calpestabili Shadow of the Tomb Raider straccia ogni capitolo della serie.
Le ambientazioni colpiscono per intrico e varietà, zeppe come sono di percorsi alternativi da battere e di cose da fare per riprendere fiato dalla campagna principale, come le battute di caccia e, soprattutto, le tombe e le cripte opzionali. Queste aree extra raggiungono un livello di articolazione e di complessità che metterà alla prova la destrezza e lo spirito di osservazione persino dei fan di vecchia data, che non vedranno l’ora di evitare trappole, risolvere enigmi e rischiare l’osso del collo nello stupefacente dedalo di cunicoli, pertugi e passaggi nascosti architettato dagli sviluppatori.
Per uscire vivi da un inferno del genere bisogna padroneggiare il sistema di arrampicata, ora ulteriormente affinato grazie all’introduzione di nuove tecniche come la discesa col rampino, che consente di calarsi nel vuoto per raggiungere zone altrimenti inaccessibili. Ma è solo una volta giunti a Paititi che Shadow of the Tomb Raider scopre tutte le sue carte: la città perduta, vero e proprio trionfo di colori ed elementi iconografici dell’architettura precolombiana, brulica di vita.
Paititi è il punto di partenza verso nuove e sensazionali scoperte: i residenti con cui potremo chiacchierare pare non vedano l’ora di rifilare a Lara incarichi secondari, alla lunga noiosi e spesso non gratificanti da portare a termine come le tombe, che tuttavia permettono di accumulare esperienza e reperire equipaggiamento altrimenti irrecuperabile. E poi servono ad allungare il brodo, con sollievo dell’utenza pronta a ricorrere alle vie legali se un titolo non si trascina come minimo per quaranta ore.
Tecnicamente parlando Shadow of the Tomb Raider non teme molti rivali in questa generazione di console. Ogni area trabocca fino all’inverosimile di dettagli – come oggetti antichi, incisioni rupestri, ossa, mercanzie, vasellame – in grado di rapire l’attenzione, al punto che spesso mi sono ritrovati, con segreto piacere, ad ammirare il panorama. Il colpo d’occhio a Paititi raggiunge l’apice ma anche nella giungla non scherza: la ricchezza della vegetazione, la resa dell’acqua, dell’umidità, della fanghiglia, i raggi di luce filtranti nel groviglio delle fronde, convincono senza riserve.
Non mi ha invece impressionato neanche un po’ la fluidità delle animazioni. I modelli poligonali, compreso quello di Lara, pur ottimamente realizzati, sembrano pesi piuma e purtroppo proprio la protagonista tende a muoversi nervosamente, a scatti, specie nella capriola.Ma, in definitiva, il vero problema del gioco è il suo conservatorismo, ai limiti del reazionario.
Shadow of the Tomb Raider è “solo” un bel gioco, una gigantesca comfort zone: a meno che non vestiate per la prima volta i panni dell’archeologa, dopo le prime ore l’aria di già visto e l’impressione che si proceda col pilota automatico cominciano a farsi pesanti. L’approccio quantitativo inaugurato dagli sviluppatori nel predecessore e qui definitivamente consacrato, comincia a mostrare evidenti segni di stanchezza: chi lo ha detto che seppellire il giocatore di una montagna cose da fare, spesso tutte uguali e poco interessanti, sia il presupposto minimo di un capolavoro?
Siamo convinti che la serie, così come ora strutturata, abbia raggiunto con questo capitolo la massima espressione possibile. Da qui in avanti, magari approfittando della potenza delle prossime macchine, Square Enix dovrà pensare fuori dagli schemi, prendersi più rischi, introdurre idee e meccaniche veramente nuove. Altrimenti giocare a Tomb Raider provocherà più sbadigli che emozioni.
- Divertente da giocare
- Esteticamente è un piacere per gli occhi
- Il potenziale offensivo di Lara è pazzesco
- Tantissime cose da fare
- Le tombe sono stupende
- Sceneggiatura priva di originalità
- Troppe missioni secondare anonime
- Zero novità degne di nota rispetto al predecessore