Arriva al cinema la trasposizione della biografia di Dalton Trumbo, L’ultima parola – la vera storia di Dalton Trumbo – scritta da Bruce Cook nel 1977 – eccentrico sceneggiatore e scrittore americano che firmò tra le pellicole più conosciute nel panorama cinematografico degli anni ’40 e ’70, tra cui Spartacus di Stanley Kubrick con Kirk Douglas, Exodus di Otto Preminger e Vacanze Romane (come soggettista) di William Wyler.
L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo, pellicola del regista Jay Roach, generalmente dedito più a commedie del tipo Austin Powers, Ti presento i miei, A cena col cretino, si concentra sul terribile episodio di paranoia nei confronti del comunismo e del tradimento alla bandiera, ovvero il Maccartismo, che colpì molti intellettuali, tra cui lo sceneggiatore Dalton Trumbo.
Questo “piccolo scherzo” costò allo sceneggiatore non solo undici mesi di carcere, ma anche un grande periodo privo di lavoro e, peggio, di costrizione a firmare numerose sceneggiature sotto pseudonimo, due delle quali vincitrici del prestigioso Premio Oscar. Un vero e proprio ritratto di un capitolo della storia americana spesso trattato superficialmente se non proprio dimenticato.
L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo è una vera esperienza del cinema anni ‘40/’50, sia da un punto di vista sonoro che da un punto di vista visivo. Roach si concentra moltissimo sui dettagli, cercando di giocare il più possibile tra ricostruzioni e reperti storiografici. In effetti, se proprio si vuole trovare un difetto a questa pellicola è la sua maniacale precisione nel riprodurre gli avvenimenti in un discorrere piuttosto didascalico. Eppure, nonostante questo, la visione risulta piuttosto scorrevole e anche molto semplice da seguire.
Ad una prima occhiata un film di questo genere potrebbe sembrare una di quelle classiche pellicole che richiedono parecchia attenzione, dai dialoghi verbosi e scene piuttosto statiche, soprattutto se stiamo parlando di uno sceneggiatore… Invece, Roach ci sorprende con un film dalla tematica complessa ma i toni leggeri, scivolando spesso nella commedia ma mai nella frivolezza del racconto.
Anzi, cerca soprattutto di comunicare il più possibile attraverso i personaggi le sensazioni di quel periodo, in particolar modo attraverso i loro silenzi, nei loro piccoli e privatissimi attimi di debolezza e intimità.
L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo si apre nel momento peggiore in cui l’America è sconvolta dalle agitazioni per i movimenti politici e, il popolo americano frastornato dalle varie correnti di pensiero, sviluppa una sorta di paranoia nei confronti del prossimo. In questo sfondo, Dalton Trumbo (Bryan Cranston) è un uomo molto stimato e sceneggiatore di successo, ma anche una personalità piuttosto in vista e spesso fin troppo conosciuta per la sua lingua tagliente. Dall’altra parte del “fronte” si muove la famosa attrice e giornalista di gossip Hedda Hopper (Helen Mirren), donna potente e seguitissima dal pubblico e mass media. La Hopper rappresenta in pieno il tipico, e ipocrita, orgoglio patriottico e conservatore degli Stati Uniti. La sua propaganda al fine di distruggere il comunismo viene seguita da moltissimi attori della Hollywood dell’epoca, tra cui il famoso John “Duke” Wayne (David James Elliott).
Miti e modelli per i cittadini, gli attori sono i primi a plasmare la mente dei loro fan e far diventare sempre più pericolose le accuse mosse alle personalità come Trumbo.
I like Hollywood, but I love America.
La spaccatura profonda all’interno del cinema americano, specchio della società stessa in quegli anni delicati post seconda guerra mondiale, è sicuramente la protagonista della prima parte del film, dove Trumbo si mostra comunque sicuro delle sue idee, a tal punto da permettersi di sfidare la legge senza paura delle conseguenza.
Le scene, ricche di dialoghi caratterizzati da botta e risposta taglienti, fanno respirare allo spettatore la pressione e l’angoscia di quel periodo. La paura di esprimere se stessi, di seguire la propria vocazione, e l’obbligo a piegarsi a delle “regole” prive di senso e fondamento.
Palese la costruzione storica accurata, come detto prima, delle pellicola. Non solo si tenta di dare un tocco retrò all’immagine e anche al sonoro, ma si gioca moltissimo con la costruzione scenica, esattamente come ci si aspetterebbe da un film incentrato sulla figura di uno dei più grandi sceneggiatori del secolo passato.
La sceneggiatura, infatti, ben strutturata, nonostante qualche piccola dilatazione ed esasperazione di sequenza, soprattutto nei momenti di climax maggiore, gioca tra alternate e tecnicismi, trasportando lo spettatore da un epoca all’altra, da un medium all’altro. Dai veri video di repertorio si passa a quelli ricostruiti che, con un movimento fluido del montaggio, fanno entrare all’interno lo schermo, passando dal bianco e nero del passato ai colori del presente della narrazione.
Dialoghi brillanti che si alternano tra il sarcasmo e la satira, taglienti e profondi. Un bilancio perfetto per rendere il film scorrevole senza appesantirlo. Ci si rende immediatamente conto della valenza della parola e dei suoi molteplici significati.
Parola, fulcro della vita di Trumbo e del film stesso. Dalla seconda parte in poi ci si immerge in quello che è il vero percorso creativo dello scrittore, dalle sue piccole fissazioni fino al suo stacanovismo che gli permetteva di revisionare e riscrivere una stesura in tempi davvero record. Parola intesta non solo come strumento di lavoro, ma anche come passione e, soprattutto, come arma di difesa ed attacco. Il messaggio è molto chiaro in questo film, e Trumbo lo fa passare in ogni suo dialogo: la parola è coraggio e nessuno può scegliere per te le parole che devi usare.
Inarrestabile è in questi anni, soprattutto dopo Breaking Bad, la crescita di Bryan Cranston, mostrandosi in ogni occasione un attore capace e poliedrico. Espressivo, magnetico e carismatico. Vera discesa all’interno del personaggio che viene mostrato con tutti i suoi pregi (pochi) e difetti, comunicando ogni sfumatura del suo essere allo spettatore. Dalton Trumbo è un combattente, un uomo che non si è lasciato fermare dalla paura, la stessa che hanno invece avuto gli altri voltandogli le spalle. È andato avanti, contro tutto e contro tutti, affrontando la prigione, la povertà, le immense difficoltà che ti si prospettano quando vieni accusato di alto tradimento.
Trumbo ha continuato a portare avanti la sua vocazione, ciò che gli è sempre ben riuscito fare: scrivere.
E in tutto questo è palese quanto Cranston ci sia immerso, dalle dita dei piedi fino alla punta dei capelli, trasformando mente e aspetto. E il mutamento avviene proprio durante l’andare avanti della pellicola, fino ai suoi ultimi anni di vita.
A volte è quasi difficile capirlo, difficile sopportare quel tipo di uomo, altre volte è la stima e il profondo rispetto ad aleggiare dentro. Indubbiamente Bryan Cranston ha mostrato, ancora una volta, quanto vale e quando ancora può valere come attore!
L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo, nonostante le sue piccole imperfezioni, è un film che andrebbe visto, oltre che per una grande interpretazione – finalmente una che merita davvero non solo la nomination agli Oscars 2016 ma anche l’ipotetica vincita – ma anche per ricordarci che la parola è l’arma più potente che abbiamo, sempre valida in qualsiasi epoca e contesto storico e che, la volontà di seguire, sempre e comunque, la nostra vocazione è il vero coraggio da mostrare al mondo.
L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo vi aspetta al cinema dall’11 Febbraio!