Annunciato dal sottoscritto più di un anno fa qui sulla lega, l’ultimo lavoro del visionario Tim Burton è approdato nelle sale italiane da ormai due settimane sfoggiando già sulle locandine la candidatura agli Oscar.
Da grande fan del regista mi sono fiondato al cinema appena possibile, non prima di essermi rinfrescato per bene la memoria andando a riguardare, tra gli extra del DVD di The Nightmare Before Christmas, la prima versione dell’opera, realizzata con attori in carne ed ossa.
Bene o male ne son passati davvero tanti di anni dalla prima interpretazione di Sparky, il cane zombie rappezzato dal piccolo Victor incapace di accettare la sua morte per colpa di un automobilista distratto.
La prima pellicola, cortometraggio giovanile di Burton, porta la data del 1984, anno in cui il giovanissimo cineasta lavorava ancora per la Walt Disney company come character designer e intercalatore.
Complice la giovane età e, molto più probabile, il fatto di essere obbligato a dover rispettare i dettami imposti dall’azienda dello zio Walt, la prima versione dell’opera appare fresca e buonista nonostante la pesante fotografia in bianco e nero e gli argomenti trattati.
A 28 anni di distanza Burton arriva in Disney potendosi permettere di fare la voce del padrone, ma pare che qualcosa in lui sia cambiato o forse, dopo così tanto tempo, è possibile che il genio di Burbank non abbia più la stessa audacia giovanile che lo ha portato a realizzare capolavori della stop motion del calibro di Vincent.
Il più recente Frankenweenie è una splendida delizia per gli occhi di un cineamatore delle pellicole horror sci-fi degli anni ’50 oltre che un’enorme autocelebrazione dell’autore stesso che forse, dopo aver realizzato per contratto il molto discusso Alice in Wonderland, ha provato ad andare a briglie sciolte con un progetto su cui probabilmente aveva già detto tutto molti anni or sono.
La pellicola vanta una meravigliosa fotografia, un uso magistrale della tecnica della stop motion e delle musiche da far accapponare la pelle a suon di theremin.
Peccato però che, rispetto all’originale, offra poco più che una manciata di citazioni e autocitazioni che a mio parere non ne giustificano del tutto la necessità.
Intendiamoci, vedere lo Sparky in lattice che vanta una maniacale ricostruzione di tutti i tratti dei disegni preliminari fatti da Burton negli anni ’80 è una soddisfazione tanto per il regista quanto per il suo più accanito fan, ma l’allungamento della trama non trova riscontro in un soggetto altrettanto interessante e alla fine la necessaria prevedibilità di un prodotto di questo genere porta lo spettatore ad annoiarsi.
Ineccepibile il lato tecnico: personalmente ho apprezzato moltissimo l’animazione che rispetto al precedente “La Sposa Cadavere” è molto più imperfetta nel mostrare l’assenza di fluidità nei movinenti e i segni dei vari step di passo uno su vestiti, capelli e pellicce che, fotogramma per fotogramma, non fanno mistero del meticoloso lavoro degli animatori.
Un ritorno alle origini rispetto all’ultramoderno “La Sposa Cadavere” che nell’era del neo 3D digitale potrebbe lasciare i più giovani perplessi.
Sempre da un punto di vista puramente personale non sono rimasto del tutto soddisfatto dalla caratterizzazione dei personaggi, almeno alcuni. Se Victor e Sparky sono l’esatta fotocopia delle loro controparti ritratte nei bozzetti giovanili del regista, altrettanto non si può dire per moltissimi comprimari il cui stile sembra del tutto privo di continuità col resto della pellicola.
Nulla da dire riguardo al professore di scienze Rzykruski (si chiama proprio così!!!) il cui volto è palesemente ricalcato su quello di Vincent Price (uno degli attori preferiti da Burton in giovane età nonchè ispiratore del già citato corto Vincent), mentre a parer mio davvero insopportabile sia graficamente che caratterialmente il piccolo Edgar ‘E’ Gore.
Di rimando, tra i personaggi più riusciti, spiccano indubbiamente Signor Baffino e la sua padrona che paiono usciti direttamente dal libro di fiabe “Morte malinconica del bambino ostrica”.
Simpatico il comparto di creature fantastiche tra cui, oltre al protagonista Sparky, brilla seppur per pochi attimi Colossus (non voglio dire di più in merito), prevedibile ma davvero geniale escamotage comico che mi ha fatto ammazzare di risate.
Il doppiaggio della versione italiana non è affidato ai nomi illustri dell’originale, e in mezzo alla banalità delle voci autoctone merita un encomio ill doppiatore di Toshiaki che col suo assurdo accento giapponese è riuscito a strapparmi più di un sorriso.
Oltre a questi aspetti, per lo più tecnici ed estetici la pellicola si compone chiaramente di numerose citazioni da Frankenstein (ovviamente) La Mummia, La maledizione dell’uomo lupo, Gremlins, Gamera e innumerevoli opere di Tim Burton.
Riguardo quest’ultimo punto credo che più che di citazioni si possa parlare di contestualizzazioni visto che il regista, nell’autocelebrare la sua trentennale carriera non fa altro che ambientare la storia nei classici sobborghi perbenistici dei quartiri residenziali californiani già visti in Edward Scissorhands, popolandoli dei suoi soliti personaggi di cui conferma la caratterizzazione sia grafica che comportamentale.
Sul 3D non mi esprimo visto che ho volutamente evitato la visione nel formato stereoscopico perchè gli occhialini a mio parere tolgono un sacco di luminosità alle scene e in una pellicola in bianco e nero e dalle atmosfere cupe temevo potesse costituire il suicidio dela fotografia.
Frankenweenie non è affatto male, divertente e cinico come Beetlejuice, affascinante e inquietante come The Nightmare Before Christmas, poetico e commovente come Edward Mani di Forbice e buonista come ogni fiaba deve essere.
Chi si aspetta qualcosa di differente rispetto all’originale troverà comunque qualche novità, ma non è detto che ne rimanga piacevolmente sorpreso perchè si sente troppo lo zampino di influenze disneyane.
Non certo brutto come Planet of the Apes o Alice in Wonderland ma nemmeno superbo come The Nightmare Before Christmas, e in ogni caso da vedere!