The Crown 3: torna la famiglia reale con una stagione perfetta

The Crown 3 Cover

Trascorsi due anni dalla seconda stagione della serie Netflix sui reali d’Inghilterra, The Crown torna con radicali novità nel cast ed un nuovo periodo temporale da approfondire. Come ben evidenziato qui nella nostra recensione, il risultato è un successo assoluto.

É vero, e sarebbe inutile negarlo, che Netflix si stia ritagliando lato seriale – nella prospettiva di una competizione più agguerrita – un target molto specifico, specie teen/young adult; altrettanto inutile sarebbe non prendere atto di una maggiore centralizzazione del colosso di streaming americano verso il cinema (The Irishman, A Marriage Story, The Laundromat, Roma…).

Tra l’abisso recente di mediocrità in ogni caso le perle non sono troppo rare da scoprire, come ci ha insegnato Mindhunter, Bojack Horseman e The End of the Fucking World. Per ultima in questo virtuoso elenco di produzioni Netflix si staglia The Crown, che torna con una terza stagione dopo aver già ampiamente convinto nel 2016 e nel 2017. Questa volta tuttavia Claire Foy lascia il posto alla brava Olivia Colman, aprendo ad un completo aggiornamento del cast per cui si può essere solo che entusiasti, visti i nomi e le interpretazioni sul tavolo.

The Crown 3 vanta una qualità complessiva che ha dell’impressionante, immersa in una scrittura ben sviluppata e strutturata su una linea di racconto nemmeno eccessivamente lineare.

Vi ricordiamo che trovate la terza stagione di The Crown su Netflix da oggi 17 novembre.

 

 

Con la seconda stagione fermatasi alla nascita del piccolo Edward, la terza parte sempre nel 1964 con l’elezione di Harold Wilson (Jason Watkins) come Primo Ministro del governo inglese, per poi procedere fino al 1977 con i festeggiamenti del venticinquesimo anniversario del regno di Elisabetta II (Olivia Colman).

Nonostante ci sia quindi una chiara linea temporale alla base di questa terza iterazione, il modo in cui questa viene narrata appare sì orizzontale, ma anche e soprattutto verticale. Al netto dei raccordi, ogni episodio si dedica all’illustrazione di un singolo aspetto della famiglia reale, all’introspezione di un singolo individuo, oppure all’esplorazione dell’impatto di un particolare evento storico sulla corona e non solo (come nel caso della puntata dedicata all’allunaggio, Polvere di luna).

Il quadro che ne esce è quello di una visione del dovere cinica e pedante

In The Crown 3 gli eventi e le circostanze esterne si abbinano alle caratterizzazioni dei protagonisti, delle quali sono a servizio, dando spazio a tematiche esistenziali ed individualiste, riferite tanto all’assenza di visione del collettivo, quanto alle sofferenze del singolo. Il quadro che ne esce, straziato eppure estremamente abile nell’intrattenere, è quello di una visione del dovere cinica e pedante, un senso di responsabilità che spezza i caratteri deboli e sensibili per uniformarli all’immagine di una istituzione dall’importanza capitale.

 

 

Nel mezzo della ruota del potere Margaret e Carlo sono i primi a finire schiacciati

Nel mezzo della ruota del potere, dell’ipocrisia e del divismo su cui si regge la corona finiscono schiacciati in primo luogo l’innocente principe Carlo (Josh O’Connor), ingenuo in un branco di lupi, e la insofferente Margaret (Helena Bonham Carter), non a caso entrambi centrali nell’economia del grosso della stagione. L’altra faccia della medaglia – anche per importanza – è il Principe Filippo (Tobias Menzies), consorte di Elisabetta, che qui mette in discussione sé stesso ed il proprio retaggio per dare finalmente un senso ad una vita che senza fede, senza un fine ultimo, rischia di perdersi nelle illusioni dell’ateismo pragmatico ed ostentato.

All’apice della piramide, anche grazie ad una immensa Olivia Colman, c’è appunto Elisabetta II, rappresentazione definitiva dei connotati della monarchia britannica, ma allo stesso tempo maggiore dimostrazione delle sue crepe, debolezze e mortificazioni. É una vita non vissuta, quella di Elisabetta, che si riflette poi su quella di Carlo, in cui ogni parola deve essere moderata, ogni apparizione misurata, ogni passione soffocata.

La fatica fisica e mentale del sovrano scorre dagli occhi rassegnati al ruolo ricoperto, con il carico di ricorrenti sacrifici; è vero che la Colman già con La Favorita di Lanthimos aveva impressionato come monarca britannica, ma qui paradossalmente ricopre un approccio opposto e comunque straordinariamente efficace.

 

 

In generale, come facile intuire, il cast è in pieno promosso, compresi i comprimari Erin Doherty che veste i panni della principessa Anna, e Charles Dance, come Louis Mountbatten. Un plauso ulteriore lo merita Helena Bonham Carter a portare su schermo una Margaret martoriata dalla marginalità nella corte e nella propria famiglia, eccentrica nel momento del bisogno, disillusa e rassegnata nel profondo, sconfitta dalla rigidità di regole senza appello.

Non solo grandi performance e una scrittura sfaccettata in The Crown 3, ma si evidenzia pure una messa in scena per nulla banale, capace di stupire come di collegare gli spettatori agli eventi a schermo. Supportate spesso dal sonoro, le immagini si fanno forti di una sobria comunicazione attraverso il colore, ruotando sempre intorno a recitazioni perennemente solide.

Ci sono un paio di casi, nell’episodio 3 Aberfan e nel già citato episodio 7 Polvere di luna, in cui questo sistema di intreccio tra sceneggiatura e tecnica raggiunge le sue vette migliori, lasciando a bocca aperta rispettivamente per capacità di trasmettere dolore ed immergere in un sogno di speranza.

Se ci fosse stato bisogno di confermarlo, la terza stagione di The Crown pone di nuovo la serie Netflix tra le migliori produzioni disponibili sul servizio e più in generale del piccolo schermo. Non banale trattazione mondana degli alti e i bassi di una famiglia reale, ma una riflessione sulla devastante responsabilità del potere.

 

 

 

 

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