Sherlock Holmes gioco d’ombre

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Visto che sulla Lega non se ne è ancora parlato, approfitto dell’apatia pomeridiana post natalizia per condividere le mie personali impressioni sul secondo capitolo del reboot cinematografico dedicato a Sherlock Holmes.

Due anni fa ero rimasto felicemente impressionato dal lavoro che Guy Ritchie aveva fatto con la prima pellicola.

Vinta la diffidenza per l’evidente stravolgimento del personaggio di Sir Arthur Conan Doyle, avevo apprezzato la capacità del regista, capace di ironizzare su due mostri sacri della letteratura confezionando un prodotto curato sotto molteplici aspetti.

Pur non aspettandomi di rivedere il vecchio Sherlock Holmes col cappello para orecchie e la pipa d’avorio, sono rimasto colpito dalla notevole variazione sul tema impartita da Ritchie.

Ciò nonostante sono rimasto sorpreso dal fatto che, in mezzo agli incredibili eccessi di spettacolarità impartiti per esigenze di botteghino, l’insieme mi sia parso ben bilanciato.

Costumi, ambientazioni, scenografie, effetti speciali, personaggi e annessa tamarraggine dei medesimi mi sono arsi così sapientemente miscelati che alla fine la pellicola è stata un apprezzatissimo divertissement.

Con Gioco d’Ombre Guy Ritchie ha voluto strafare, è indubbio, ma la scelta non è per forza negativa.

Sostanzialmente la trama ha l’intento di ripercorrere, seppur solo per brevi cenni, uno dei romanzi più importanti dedicati al famoso detective Londinese infarcendo il plot con un complesso complotto politico bellico, non sempre narrato in maniera eccelsa, e all’interno del quale viene dato spazio a personagi secondari di cui alla fine non si sarebbe sentita la mancanza.

In sostanza nell’intraccio di trame e sottotrame creato dagli sceneggiatori ci si chiede se davvero c’era bisogno di inserire il personaggio interpretato da Noomi Rapace.

Dicevamo, Ritchie esagera, ma lo fa con la cura di chi può davvero permetterselo.

Se nel primo episodio mi ero stupito per la cura dei costumi, il dettaglio di certe inquadrature, in questa seconda prova ci si stupisce per ben altro.

Il regista ha una cura semimaniacale nel volerci mostrare lo scorrere del tempo mediante il massiccio impiego di spettacolari lunghi ralenty o a inquadrature poste all’interno di ingegnosi macchinari bellici di cui ci viene mostrato passo passo tutto il funzionamento sino ad arrivare all’esplosione che fa da epilogo.

Holmes è ancora più ironico, scorretto, sporco e stupido mentre Watson accentua il suo carattere di macchietta riuscendo però in alcuni punti a “lasciarsi andare” e a ridare umanità al suo personaggio.

Tra le new entry si può apprezzare l’adeguatezza del ruolo assegnato a Jared Harris cui va l’onere non certo facile di portare sullo schermo il prof. Moriarty mentre ci si sganascia dalle risate dinanzi l’eccentricità che Stephen Fry ha saputo dare a Mycroft, il fratello di Holmes.

L’unico ruolo che davvero pare essere incollato a caso è quello di Noomi Rapace che interpreta la zingara di matrice anarchica Sim.

Sulla trama rimane qualche dubbio specie perchè non è sempre facile cogliere i passaggi del complotto in mezzo a tutto il baccano che le scene d’azione regalano per l’intero film.

Quel che davvero si apprezza di questo lavoro è la capacità di Ritchie di fregarsene di tutto e di tutti e di giocare letteralmente con i personaggi che ha già snaturato dal primo episodio.

E il suo modo di giocare non passa solo per l’ironia, ma regala dense dosi di spettacolarità con scene al cardiopalma fra inseguimenti sul treno, attacchi in mezzo ai boschi e demolizioni incontrollate che nemmeno Stallone in Expendables ha avuto il coraggio di mostrare.

Tutto questo fracasso è però sempre condito dal perfetto ruolo di Downey Junior e dai vari comprimari e alla fine in questa esagerazione si finisce con l’apprezzare quel senso di bilanciamento già avvertito nel primo capitolo.

All’altezza del predecessore se non addirittura superiore, Gioco d’Ombre non sarà considerato un capolavoro negli anni a venire, ma sicuramente costituisce un ottimo esempio di come sia possibile rinnovare, dare continuità e suscitare interesse nel pubblico.

Personalmente lo consiglio proprio per questo dualismo che si regge su una regia spettacolare, marcatamente tamarra, con cui viene raccontata una trama complessa e articolata attraverso personaggi spiritosi.

Eccentrico come l’Holmes di Downey Junior, ma lontano anni luce da un romanzo di Doyle.

Fonte

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