Insidious – La Porta Rossa, la recensione: ritorno e futuro

Apriamo questa recensione di Insidious: La Porta Rossa sottolineando come il ritorno alla storia principale della saga abbia decisamente fatto bene, al punto che il lungometraggio con protagonista Patrick Wilson è riuscito nell’operazione di dare risalto agli elementi che avevano reso il primo Insidious un film decisamente intrigante, e, allo stesso tempo, chiamando in causa diverse altre ispirazioni horror, per un film godibile, e che non dispiacerà agli amanti del genere.

Patrick Wilson azzecca regia e interpretazione

La storia di Insidious: La Porta Rossa mette al centro Josh (Patrick Wilson) e Dalton (Ty Simpkins), che viene presentato in una versione decisamente diversa rispetto al ragazzino che avevamo visto nei precedenti capitoli. Dalton è ormai in età da college, ed è pronto per iniziare il suo percorso universitario, senza però aver risolto quelle che sono delle questioni di famiglia piuttosto importanti. Il rapporto con Josh non è dei migliori, ed il trasferimento al college sarà l’occasione per tirare fuori tutte le problematiche padre-figlio. Da ciò però ne nascerà anche uno sguardo verso l’ “Altrove”. Perché il percorso di artista del disegno intrapreso da Dalton aprirà verso quel mondo oscuro che avevamo già visto nei precedenti film, e che, in questo caso, verrà risvegliato, portando verso nuovi terrori.

Patrick Wilson si mette alla prova, oltre che come protagonista di Insidious: La Porta Rossa, anche come regista, e le sue scelte di regia non sono affatto male.

Wilson riprende i canoni di inquadrature, tempi e modi per creare l’effetto suspense ed horror propri della saga, e della regia alla James Wan. L’attenzione per l’inquadratura che porta, con piccole variazioni dei movimenti sulla scena dei personaggi e degli oggetti al jumpscare è utilizzata in maniera sapiente, e non solo fine all’effetto spavento. Questa è la differenza principale tra il modo di girare horror alla James Wan, e quello dozzinale di tanti altri lungometraggi teen-horror, che puntato allo jumpscare come unico elemento caratterizzante del genere. Ma, la scuola James Wan, di cui fa parte Patrick Wilson, riesce a dare valore all’horror, omaggiando e prendendo ispirazione dai grandi maestri, portando anche freschezza.

La regia di Patrick Wilson è uno di quegli elementi che danno valore a questo nuovo capitolo della saga di Insidious, e, allo stesso tempo, è uno dei fattori che fanno comprendere come, anche questa saga, sia figlia di tante altre storie già viste sullo schermo, che sono state ben amalgamate per creare un prodotto capace di portare bene avanti il genere. Superata la metà del film, entrando nella parte clou della storia, si ha come l’idea di camminare in stanze comunicanti, che fanno vedere un po’ di Nightmare: I Guerrieri del Sogno, un po’ di Shining, ed anche qualcosa de L’Esorcista (forse questa è la citazione più debole). Ed è davvero intrigante una scena che mette il personaggio di Dalton in una situazione che fa riferimento alla storia di Hansel e Gretel. Quella scena, un po’ più valorizzata, sarebbe stata davvero di grande livello.

Andare avanti tornando indietro

Gli elementi per un bell’horror ci sono tutti, ed anche la sceneggiatura di Insidious: La Porta Rossa è stata curata in maniera piuttosto interessante. L’attenzione sul percorso al college di Dalton è prominente, però, si tratta di un film che, fin dall’inizio, vuole raccontare la gestione del rapporto padre-figlio con Josh, e per questo motivo, il personaggio di Patrick Wilson ha una grande importanza. Ad un certo punto del film la figura di Josh viene un po’ troppo messa da parte, ma, dopo la metà del lungometraggio, il character e tutto il suo filone della narrazione vengono recuperati per portare verso un finale in cui le alternanze tra le sequenze legate a Josh e quelle incentrate su Dalton si avvicendano con un ritmo ideale. Il tutto serve per portare ad un incrocio finale decisivo e di livello. Insidious: La Porta Rossa non manca di citare e chiamare in causa i personaggi che hanno portato avanti la saga dopo i primi lungometraggi, ma vuole dare tutto lo spazio e l’attenzione ai due protagonisti Josh e Dalton. E riesce bene nell’intento.

Oltre alla famiglia Dalton viene dato spazio anche ad una nuova figura quali è la studentessa Chris, interpretata da Sinclar Daniel. In questo caso è lei il character che spezza la continuità con i precedenti film, e che crea una figura che fa da buona spalla al tormentato Dalton. Anche Ty Simpkins riesce a fare il suo, vestendo i panni del personaggio che cerca di spostare in avanti la propria vita, sapendo bene di avere dei fantasmi con cui fare i conti. Il rapporto difficile tra Dalton e Josh viene ben portato in scena da Ty Simpkins e da Patrick Wilson, che riescono a dare credibilità al contrasto padre-figlio, soprattutto nella scena in cui i due personaggi si trovano insieme al college, e si ritrovano a tirare fuori i rancori del passato. Concludiamo questa recensione di Insidious: La Porta Rossa consigliando la visione del film agli appassionati della saga, ed anche agli amanti dell’horror in generare. Questo quinto capitolo della saga riesce a tornare alle origini, proiettandosi verso il futuro, e chiamando in causa ispirazioni e citazioni varie, dando un senso di fresco, e, chiaramente, di orrore.

 Insidious: La Porta Rossa è nelle sale cinematografiche dal 5 luglio.

65
Insidious: la porta rossa
Recensione di Davide Mirabello

Insidious: La Porta Rosso è un film che torna alle origini della saga, riuscendo però a proiettarsi in avanti, raccontando l'evoluzione del percorso di Josh e Dalton, e approfondendo gli scenari oscuri dell'Altrove.

ME GUSTA
  • La storia iniziale della saga di Insidious viene proiettata in avanti, rispettando il passato.
  • Buona la prova alla regia di Patrick Wilson.
  • Un film che fa sentire le proprie ispirazioni, rinnovandole.
FAIL
  • La parte centrale del film si perde un po', non riuscendo a bilanciare i due filoni narrativi principali.
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