Una storia editoriale: Dall’editoria a pagamento al self publishing

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Visto e considerato che siamo una comunità piuttosto creativa, e che la rubrica coolstorybro è una figata, credo che raccontare un’esperienza editoriale possa essere d’aiuto, specie ai più giovani aspiranti scrittori.

Poco più che ventenne mi ero un po’ fatto prendere la mano dal cinema ed avevo scritto una sceneggiatura. Una figata: in testa mia avevo ovviamente scritto il film del secolo, una roba infarcita di easter eggs, di citazioni, con una colonna sonora della madonna. Ecco… pure troppo: mai fosse diventato un film avrebbe fatto la fine della serie “The Wonder Years”, che non vide mai la luce in dvd perchè i soli diritti per la musica sarebbero costati più dell’intera serie.

Il cinema è una strada molto travagliata: non è il solito discorso per cui “si va avanti per conoscenze” , più che altro richiede l’ambiente giusto per far circolare le idee. E io non sto né a Roma né a Milano, per cui la possibilità di far arrivare nelle mani giuste il mio manoscritto, mi parve subito piuttosto remota.

Però l’idea c’era, la storia funzionava, ed io avevo voglia di raccontarla.

Presi questa ora e quarantacinque di indicazioni di regia, voci in campo e fuori campo e ambiente interno/esterno e la convertii in un romanzo. Il risultato finale non era male, anche se mi mancava totalmente tutto quell’impianto di musica e colori con cui me l’ero immaginata. Sono uno di quelli che ha ancora in mente le pagine dei libri di King in cui tributava i diritti per il materiale coperto da copyright che citava.

E puntualmente alla fine andavo a cercare i titoli delle canzoni per andarle a scoprire di cosa si trattasse. Per me era fondamentale tributare in qualche modo un ringraziamento per tutte le cose che mi avevano ispirato. Più facile in un film che in un libro, ma si poteva fare.

Una volta finito il libro e fatto circolare un po’ tra gli amici mi resi conto che, tutto sommato, aveva una sua dignità editoriale e così mi misi alla ricerca di una soluzione per pubblicarlo. Il primo tentativo lo feci con il giornale per il quale scrivevo. Il direttore editoriale, un mammasantissima della cultura nella nostra area, mi disse chiaramente:

Il libro c’è, funziona. Ma è inutile che noi come casa editrice te ne stampiamo cento copie: finisce che, senza il marketing che non siamo in grado di sostenere, non lo leggono neanche da una piazza all’altra del paese. Prova qualcosa di diverso, punta più in alto.

Ringalluzzito come The Ultimate Warrior dopo aver scosso le corde mi fiondo su Internet ed inizio a valutare le varie opportunità. Siamo nel 2007 e il concetto di editoria a pagamento non è ancora né diffuso né clamorosamente sputtanato. Trovo un sacco di case editrici disposte a valutare gratuitamente il manoscritto, oltre a diverse agenzie letterarie che chiedevano uno sproposito solo per leggerlo.

Ovviamente, alla ricerca di feedback e rassicurazioni lo mando in valutazione a tutte le case editrici che trovo. Mentre attendo il responso leggo moltissime esperienze di autori contenti e soddisfatti di questa o quell’altra realtà.

Finché non mi risponde una grossa casa editrice di Roma. Ed ora come ora la definirei famigerata, ma all’epoca era solo grossa.

Si propongono per pubblicare il mio libro e, tra le sei o sette offerte che ricevo, sembrano decisamente essere i più seri. Certo, la pubblicazione è con contributo, ma d’altra parte:

Chi sono io per pensare che qualcuno si prenda un rischio editoriale per me?

E poi hanno un sito internet fotonico, con decine di pubblicazioni: premio di questo, premio di quello… grandi nomi della letteratura come Moravia e De Crescenzo a fare da endorser… saranno seri, penso.

In questo contrattone che mi mandano, una cosa in particolare mi attrae come una calamita; mi fotte, dovrei meglio dire: la casa editrice è proprietaria di una mediamente nota casa di produzione cinematografica romana. I nuovi autori scelti dalla casa editrice parteciperanno da contratto ad un concorso per cui il libro ritenuto più spendibile, diventerà un film, prodotto appunto in collaborazione tra le due realtà. Penso: è fatta.

Il mio libro è, sostanzialmente, un film, per cui siamo a cavallo.

Il mio libro è, sostanzialmente, un film, per cui siamo a cavallo. Oltre a questo poi la casa editrice era titolare di un programma radiofonico e di un programma televisivo sul satellite nei quali promuovere le sue opere.

Dunque, fermi tutti… non è che non mi sia insospettito o non abbia storto il naso a fronte della cifra richiesta; come avrebbe fatto chiunque di voi, prima di mettere mano al portafoglio mi sono confrontato con loro alla ricerca di rassicurazioni. La mia preoccupazione narcisisticamente più importante era ovviamente:

Non è che pubblicate la qualunque solo per prendere i soldi del contributo e poi chi s’è visto s’è visto?”.

La risposta, ineccepibile dal punto di vista del marketing, mi tranquillizzò in qualche modo:

Ha visto con che autori collaboriamo? Se pubblichiamo un libro di scarsa qualità ne va della nostra reputazione, abbiamo scelto il suo prodotto e ci abbiamo messo la nostra faccia. Se lei vende ci guadagniamo noi, non avrebbe senso pubblicare libri non all’altezza.

Beh… il ragionamento filava. Ed è l’unica cosa che ha funzionato. Il ragionamento dico, non la messa in pratica dello stesso.

Vediamo un po’ nel dettaglio questo gran marketing che ho pagato profumatamente. Programma radio: 7 minuti di intervista alle 22.30 di sera in una frequenza radio che non andava fuori dal raccordo anulare. Programma televisivo: invitato a Roma per 3 minuti di trasmissione insieme ad altri venti autori. Rapporto costo-beneficio drammatico. Concorso per la pubblicazione del film: non pervenuto. Non pervenuto il programma , non pervenuto l’esito, non pervenuto l’invito ad una manifestazione. Il concorso non è probabilmente mai esistito.

E vorrei dirvi di più, ma al numero della casa di produzione cinematografica risponde seccata una signora dicendo che è la milionesima telefonata e che quello è un ospedale, mentre una stagista dalla casa editrice lo definisce come un concorso “interno”.

Supporto di marketing: per una presentazione che io ho organizzato mi mandano una locandina che sembra realizzata da un bambino che stia imparando ad usare Paint, mentre per la marea di concorsi ai quali mi aspettavo mi avrebbero proposto, ricevo un file Word impaginato da una scimmia ubriaca con quattro indirizzi mai in croce.

Cose, diciamo, del livello del “Festival della porchetta di San Vitale”, “La sagra delle rane di Santa Lucia di Piave” o la “Festa del carburatore di Codroipo”.

Al ché io mi faccio un quadro della situazione , anagrammo la parola Codroipo, e penso di aver preso una grossa, grossa cantonata. Nonostante i soldi… quelli per la verità arrivano. Sono pochi ovviamente, e sono il frutto della mia misera attività di passaparola. Arrivano, ironicamente, poco prima dello scoppio della bomba.

Cioè quando nel 2010, al Salone del Libro di Torino, la rappresentante della casa editrice viene affossata da una figura di merda senza precedenti che fa il giro d’Italia via Striscia la Notizia: sgamata in pieno per aver proposto un contratto ad un libro creato ad hoc per smascherare la “truffa” (si può dire?) con un clamoroso copia/incolla da Wikipedia. Lei glissa, sia arrampica sugli specchi come Messner, si arrovella nelle parole… ma la verità è presto evidente a tutti. Il reportage “Quando i sogni hanno un prezzo” lo trovate a fondo pagina. Per non dimenticare.

Mi sento come se un africano di due metri stia giocando a “nascondi il salame” alle mie spalle.

Ok, visto questo avevo capito di aver sprecato una chance importante, forse l’unica, per il mio lavoro. Mi sento come se un africano di due metri stia giocando a “nascondi il salame” alle mie spalle. Sconforto a mille, rabbia, incazzatura per la mia ingenuità sono arrivati come la grandine in agosto e si sono portati via la mia voglia di scrivere. Che è forse il danno maggiore, aldilà dei soldi.

Però il libro tutto sommato un suo perchè ce l’ha, i ragazzini ne vanno matti, i figli dei colleghi e degli amici di famiglia lo consumano, qui e lì qualcuno lo cita, tutti a distanza di anni lo ricordano con affetto… cose che non fanno altro che accrescere la rabbia finché, per caso, un giorno mi scarico su iPad  “Reckless Road”, un libro più o meno biografico sui Guns n’Roses. Sapevo che era pieno zeppo di foto e non mi andava di spendere venti euro per un libro di immagini, per cui opto per l’iBookstore più per devozione alla causa che per altro.

Quando inizio a leggere l’ebook rimango folgorato: nel testo, che è più che altro un ipertesto, sono incorporati video, immagini, musica e un sacco di link a cose interessanti. Semplicemente cliccando si accede ad un mondo.

E penso: un film non lo faranno mai del mio libro, ma se fosse possibile rendere disponibili tramite il testo tutte quelle cose che avevo in mente, farlo diventare in qualche modo un contenitore… potrei comunicare in modo multimediale l’esperienza di questa storia. Dargli forma, suoni, colori.

Allora inizio furiosamente a riscrivere, linkando ogni brano, ogni citazione ai film etc.

Creo un universo social nel quale accedere a tutti i contenuti extra con un clic e do un’impaginazione nuova al libro, con foto e colori (per i quali mi avevano riso in faccia dalla casa editrice). E tutto questo gratis. Al costo del mio solo impegno. Con mille difficoltà ovviamente, ma con soddisfazione per il risultato finale.

Mi sarebbe piaciuto includere nelle pagine tutti i video e le canzoni via widget, per esempio, ma per quanto Apple esorti la multimedialità ci sono una marea di questioni di diritti, e in più non si può produrre un file da una tonnellata di mega altrimenti non lo scarica nessuno.

Inoltre il link diretto ad altre piattaforme è sconsigliato, se non bocciato. Ed è un peccato in verità perchè nell’economia del clic un passaggio in più rischia di far perdere il filo. Personalmente non ho trovato soluzione migliore che una pagina di istruzioni dove suggerire, in un certo senso, che i contenuti extra potrebbero interrompere la lettura e sono comodamente disponibili e raggruppati nell’appendice.

Non molto effettivamente, ma la politica di Apple su tutto ciò che è non Apple è piuttosto stringente: me ne sono reso conto quando ho messo un pulsante gigantesco per accedere alle playlist della colonna sonora di Spotify e poi ho letto il contratto sui “concorrenti di Apple”.

Ecco, non una mossa saggia diciamo… così come non lo è forse nemmeno la scelta di iBookstore: probabilmente Amazon ha molto più mercato e pubblico, ma a breve lo convertirò anche per e-reader più popolari, giocandomi magari l’impianto immediato (abbastanza immediato) di contenuti extra ma guadagnando in accessibilità.

Ora, è chiaro ed evidente che non ho fatto nulla di nuovo, né di eccezionale. Probabilmente gli ebookstore pullulano di storie come la mia e non ho certo scoperto l’acqua calda né aperto nuove vie. Fuor di dubbio arrivo pure con un colpevole ritardo.

Ma quello che vorrei comunicarvi con la mia storia, che passa per la gogna dell’editoria a pagamento (ecco… forse questa pirlata non l’hanno fatta tutti)

È questo senso di editoria pulita che le nuove tecnologie mi hanno restituito.

Alla fine gli autori scrivono perchè hanno qualcosa da raccontare. Non per fare soldi (ma neanche per rimettercene). E quello che chiedono è solo l’accesso ad un pubblico che ascolti la loro storia.

Se avete un qualcosa nel cassetto, scegliete una di queste nuove forme di pubblicazione e credeteci.

Per quel che vale il mio consiglio, se avete un qualcosa nel cassetto, scegliete una di queste nuove forme di pubblicazione e credeteci. Ok, in Italia gli ebook non vanno tanto forte… ok, dovrete smazzarvi per le condivisioni e il passaparola… ok non tutti hanno un ebook reader … tutto vero.

Però sarete su un palcoscenico, avrete un pubblico. Grande o piccolo che sia non importa, se avrete fortuna basta che una sola persona, quella giusta, lo scarichi, e potrebbero aprirsi nuove strade impreviste.

Magari saranno le case editrici a venire in cerca di voi, quelle serie intendo, quelle che scommettono sull’autore ed intraprendono con lui un percorso. Quelle che sanno cos’è il marketing in e offline e non si aspettano che spammiate  l’universo per poi raccogliere il 90% dei vostri guadagni.

Vostri. Perché ricordatevi sempre che la storia è vostra. E se è una bella storia, vi siete anche risposti alla domanda che non avrei dovuto farmi e non dovreste farvi voi: chi sono io per…? Sei un autore, cazzo. Uno che ha avuto un’idea, ci ha lavorato e l’ha portato a termine. Se è una buona idea, scritta bene, hai tutto il diritto del mondo di non sentirti in debito con nessuno. Se è un brutto libro, nonostante il tuo impegno, non c’è cifra o casa editrice che ti possa salvare, per cui i tuoi risparmi tieniteli bene stretti.

In un panorama così affamato di novità, è ormai sempre più raro che il talento, o semplicemente la spendibilità commerciale, passino inosservate. Siamo tutti sulla stessa barca alla ricerca di qualcuno che ci valuti e creda in noi: youtuber, blogger, cantanti, musicisti, registi emergenti condividono una giungla di piattaforme dedicate allo sharing delle opere intellettuali. Rappresentano una vetrina, una piazza che premia con il passaparola.

Lo so, non è molto, ma è un inizio. Un inizio di un percorso in cui personalmente credo; ottimisticamente? ingenuamente ? magari sì, ma a costo zero. Stavolta…
Sperando che qualcuno dei giovani coolstorybro possa trovare in questa storia editoriale qualche stimolo ad agire e soprattutto non ripeta i miei errori, vi saluto.

Ora vado, devo rompere il cazzo a tutti i miei contatti sui social. Un cinque alto a tutti voi.

 

 

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