Molte vittime della paralisi hanno un cervello perfettamente funzionante, ma non hanno modo di comunicare fisicamente. Fortunatamente, alcuni ricercatori californiani hanno progettato un dispositivo che consente a un avatar digitale di esprimere verbalmente i pensieri dei pazienti. “Il nostro obiettivo è ripristinare un modo di comunicare completo e incarnato, che è il modo più naturale per parlare con gli altri“. -Edward Chang, titolare della cattedra di chirurgia neurologica all’Università della California di San Francisco (UCSF).
Due team di ricercatori hanno lavorato insieme per inventare una macchina in grado di intercettare le onde cerebrali di un paziente e trasformarle in discorsi ed espressioni facciali, che vengono poi esternati attraverso un avatar digitale del paziente. In altre parole, chi è affetto da paralisi potrebbe presto avere un modo per comunicare con i propri cari in maniera più precisa rispetto alla rozza tecnologia di interfaccia attualmente disponibile.
Dal pensiero alla voce
L’impianto cerebrale sviluppato dall’équipe di Chang ha permesso ai pazienti di comunicare fino a 80 parole al minuto, semplicemente pensando, anche se la media è di 60-70 parole al minuto.
Sebbene sia ancora molto lontano dalle 160 parole al minuto che la maggior parte degli esseri umani produce naturalmente parlando, si tratta di un punto di riferimento incredibilmente promettente e di oltre tre volte il precedente record di traduzione dal pensiero alla voce. L’algoritmo è stato addestrato osservando i segnali elettrici provenienti dal cervello di un paziente mentre ripeteva a sé stesso determinate parole e frasi. L’algoritmo non ricerca parole intere, ma unità distinte di suono chiamate fonemi. Per aiutare l’avatar digitale a produrre qualcosa di simile al parlato reale, i ricercatori hanno dotato l’impianto di un software di animazione che funziona grazie a un’intelligenza artificiale personalizzata che traduce i segnali delle parole del paziente e simula le espressioni facciali appropriate per accompagnare i diversi suoni emessi dalla parola. I ricercatori hanno poi abbinato a questo software una ricostruzione della voce del paziente, consentendo a un sosia animato di imitare l’aspetto e il suono che avrebbero se il paziente stesso stesse parlando.
L’unico inconveniente?
Il prototipo di impianto ha un vocabolario di 125.000 parole ma un tasso di errore di quasi il 24%. Se da un lato questo non sminuisce il lavoro pionieristico svolto dai ricercatori, dall’altro significa che allo stato attuale la tecnologia ha il potenziale di frustrare i pazienti che cercano di utilizzarla per comunicare. Fortunatamente, ora che il metodo ha dimostrato di funzionare su soggetti reali, i ricercatori possono lavorare per perfezionare il processo e ridurre il tasso di errore. Con tutti i timori negativi che hanno circondato l’intelligenza artificiale negli ultimi anni, è bello vedere che la tecnologia viene utilizzata in modo proficuo. Questo metodo appena scoperto, che consente alle vittime di paralisi di comunicare attraverso avatar digitali, non sarebbe stato possibile senza l’uso dell’intelligenza artificiale e dimostra che, almeno in campo medico, l’IA può essere utilizzata per migliorare la società nel suo complesso.