Durante la prima settimana di maggio, l’Unione Europea annuncerà un ambizioso piano per smarcarsi dalla filiera statunitense e asiatica e diventare (di nuovo) un leader mondiale nella produzione dei chip. L’attuale crisi ha mostrato, con una prepotenza disarmante, quanto l’assenza di una vera e propria industria dei semiconduttori made in Europe non sia sostenibile.
L’incapacità da parte dei produttori asiatici e statunitensi di sostenere l’enorme domanda mondiale dei chip ha prodotto delle profonde ferite nel continente. A pagarne il prezzo sono soprattutto le case automobilistiche europee – dalle tedesche del Gruppo Volkswagen e Mercedes-Benz, passando per Stellantis e Volvo -, ma non solo. Rischiamo di essere ad un passo da una crisi della filiera dei modem, con tempi d’attesa superiori alle 60 settimane — e questo è solo un esempio, è un problema per pressoché la totalità dei settori.
Portare i produttori in Europa — con stabilimenti che diano lavoro agli europei e che mettano al primo posto la domanda interna del continente — non sarà semplice, come spiega Natalia Drozdiak su Bloomberg. Significa dover passare per il beneplacito di diverse terze parti.
L’Unione Europa ha già reso chiaro che intende investire con forza per raggiungere il suo obiettivo: ossia far sì che la filiera europea copra il 20% della produzione mondiale di chip entro la fine del 2030.
Nel 1990 in Europa venivano prodotti il 44% dei chip a livello mondiale. Oggi il dato si ferma sotto al 10%.
Per l’Europa si tratterebbe di un ritorno ai fasti di un decennio e mezzo fa, quando brand come Nokia, Ericsson e Siemens dominavano il mercato mondiale. Con la loro dominance, scrive sempre Bloomberg, è morta anche la filiera dei chip europei. Trenta anni fa, nel 1990, l’Europa produceva circa il 44% dei semiconduttori a livello mondiale. Oggi il dato si ferma sotto al 10%, mentre Taiwan, Corea e Giappone da sole sono responsabili del 60% della produzione mondiale.
- Europe Is Trying to Reclaim Its Lost Chipmaking Glory (bloomberg.com)