Con Richard Jewell Clint Eastwood torna con una storia, ispirata a fatti realmente accaduti, che mette al centro l’uomo comune, con tutti i suoi pregi e difetti. A 90 anni il regista ha ormai uno sguardo chirurgico e umanissimo.
Mario Monicelli disse che la commedia italiana è finita quando i registi hanno smesso di prendere l’autobus. Clint Eastwood, almeno metaforicamente, non l’ha mai fatto.
Il regista americano ha messo da sempre al centro del suo cinema l’uomo comune, con tutti i suoi pregi e difetti, raccontando in questo modo storie che toccano tutti, perché umanissime. Richard Jewel, nelle sale italiane dal 16 gennaio, non fa eccezione.
1996, Olimpiadi di Atlanta
Dopo American Sniper, Sully e Ore 15:17 – Attacco al potere, in Richard Jewell Clint Eastwood torna a raccontare la storia vera di un uomo diventato eroe per caso, una persona che, secondo gli standard della società occidentale, è perdente in tutto: obeso, vergine, ancora a casa con mamma, con il sogno di diventare un poliziotto, ma mai preso sul serio. Sul lavoro la gente ride di lui, addirittura non gli rivolge la parola. Soltanto un avvocato, Watson Bryant (nel film interpretato da Sam Rockwell), lo vede come un essere umano e scopre una persona gentile, con delle passioni, devota alla bandiera in modo quasi ingenuo.
È proprio quella devozione per la patria e le istituzioni a far desiderare a Richard di essere un tutore della legge. Licenziato dal corpo di sicurezza dell’università di Piedmont per eccesso di zelo, nel 1996 Jewell è tra le guardie di sicurezza dell’AT&T Pavilion alle Olimpiadi di Atlanta. Il 27 luglio, durante un concerto a Centennial Park, l’uomo nota uno zaino abbandonato e, nonostante inizialmente nessuno lo prenda sul serio, convince i colleghi a controllare. La sua osservazione si rivela giusta: la segnalazione tempestiva impedisce una strage, dato che lo zaino contiene tre ordigni esplosivi.
Indicato dai media come un eroe, Richard Jewell si sente finalmente realizzato: ha realizzato ciò per cui si è sempre sentito destinato. Ha salvato delle vite, facendo semplicemente il suo lavoro.
Invitato in tv e osannato dai giornali, il sogno si trasforma però presto in un incubo: unendo le forze, l’agente FBI Tom Shaw (Jon Hamm), che conduce le indagini sull’attentato, e la giornalista dell’Atlanta Journal-Constitution Kathy Scruggs (Olivia Wilde), puntano il dito contro di lui, accusandolo di aver posizionato la bomba per poter sembrare poi un eroe.
La passione di Eastwood per “gli eroi per caso”
Sappiamo come Clint Eastwood non abbia mai nascosto di vivere la politica in modo molto attento e in questi suoi ultimi film c’è una scelta precisa, la volontà di puntare l’attenzione sull’uomo comune. I suoi ultimi protagonisti sono persone normalissime, se vogliamo anche poco interessanti, non propriamente personaggi da Hollywood, nemmeno nell’aspetto, che è dimesso anche quando a interpretare uno sniper è il divo Bradley Cooper. Si tratta semplicemente di uomini che hanno fatto il proprio lavoro e, inconsapevolmente, hanno compiuto un’impresa straordinaria.
È palpabile come il regista abbia un debole per queste figure. A essere nel suo mirino sono invece le istituzioni, tra cui l’uomo semplice è schiacciato, un’America in cui Eastwood non si riconosce più e che evidentemente trova ingiusta.
Il morbido Richard, sia nell’aspetto che nel carattere, si ritrova infatti stritolato tra la legge e la stampa, incarnati dall’agente dell’FBI e la giornalista interpretati (non a caso) da Jon Hamm e Olvia Wilde, entrambi espressione vivente dell’ideale di forza e bellezza americane, con mandibola volitiva e presenza fisica importante. Per un fallo nel sistema, dovuto a errori umani, ambizione e interessi personali, un uomo che ha semplicemente fatto il proprio dovere diventa improvvisamente un bersaglio, il capro espiatorio di paure e mancanze di un’intera nazione.
La grande prova di Paul Walter Hauser
Pochi autori sanno dare come Eastwood una fotografia lucida, quasi chirurgica, della realtà, senza dire allo spettatore come sentirsi in ogni momento. È per questo che i suoi antieroi così umani arrivano come un pugno alla bocca dello stomaco, perché portano con sé un’aura di verità. Richard Jewell era un uomo che faceva la guardia di sicurezza alle Olimpiadi di Atlanta nel 1996, ma potrebbe essere ognuno di noi, in qualsiasi epoca, in qualsiasi situazione.
Eastwood racconta un altro antieroe
A 90 anni Eastwood continua a interrogarsi sul senso della vita umana, delle politica, della società e sembra dirci di voler stare dalla parte dei più semplici perché, nonostante sia un uomo che ha vissuto di finzione, non mentono, non mistificano. Ecco perché Richard Jewell nella sua linearità, nei toni quasi dimessi, è forse la vera gemma della produzione recente del regista americano.
Richard Jewell è inoltre un importante trampolino per Paul Walter Hauser, al suo primo ruolo da protagonista, che, nonostante si trovi accanto a grandi attori come Kathy Bates (straordinaria nel ruolo della madre di Richard), Sam Rockwell, Jon Hamm e Olvia Wilde svetta su tutti. Già meraviglioso in I, Tonya e BlacKkKlansman (in cui ha ruoli da comprimario ma memorabili), Hauser qui si rivela il grande attore che è: non aiutato dal fisico, è straordinario nella sua umanità, che emerge dagli occhi, o nei piccoli tremori delle labbra quando il suo avvocato lo esorta a reagire, a non farsi prendere in giro dall’FBI solo perché rappresenta tutto ciò in cui crede.
Eccola, ancora una volta, la grande lezione di Eastwood: anche quando amiamo fortemente qualcosa o qualcuno, anche quando pensiamo che agiscano nel giusto, non bisogna mai perdere di vista la verità. Non bisogna mai smettere di farsi domande.
Che il Dio del cinema ce lo preservi ancora a lungo.