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Alle ultime ore del 2019 arriva il fatidico momento di tirare le fila di questo 2019 cinematografico. Un 2019 particolare, fatto di alti e bassi, troppi blockbuster e poche, ma per fortuna meravigliose, perle d’autore. Per farla breve, basandoci su quanto visto quest’anno, vediamo quali sono i dieci migliori film dell’anno.
E anche quest’anno è giunto il momento più atteso – per voi – e più odiato – per me – dell’anno: la Top 10 dei migliori film dell’anno.
Chiariamoci: io amo il cinema e ogni volta che vedo una pellicola nuova – bella o brutta che sia – per me è un momento magico. Quando i film mi lasciano qualcosa dentro mi viene spontaneo dire quelle terribili parole che so già mi si ritorceranno contro a fine anno:
Si, è decisamente il miglior film dell’anno!
Obiettivamente ci sono alcune pellicole che basta vederle una volta per entrare già in un Olimpo oggettivamente destinato ad essere la forza motrice delle classifiche di fine anno. Ma il problema sta proprio in una parola che ho appena pronunciato: oggettività.
Si, noi critici cinematografici dobbiamo essere sempre obiettivi ed imparziali, e questo con un’analisi, una recensione o un approfondimento è abbastanza “semplice” e scontato (o almeno dovrebbe esserlo); la situazione cambia quando si tratta di classifiche.
Si, è un po’ come quando si mette un voto. Sulla base di cosa do un dieci ad un film e un cinque ad un altro? Sulla base di cosa un mio collega darà un cinque al film a cui ho messo dieci e viceversa? Cosa rende per me il miglior film o cosa quel “miglior film” non merita neanche di entrare in classifica per un altro? Ebbene, non c’è una vera risposta a questo perché non c’è un metodo scientifico, analitico o matematico per calcolare tutto ciò.
Perché dico questo? Perché le mie scelte non saranno mai le vostre. E magari vi troverete d’accordo o magari vi chiederete perché Avengers: End Game non sia in questa Top 10 mentre Joker si (e se ve lo state chiedendo, vi prego andate di più al cinema e smettetela coi cinecomic), perché La Favorita arriva solo adesso o perché non vedete in classifica un film grandioso e meraviglioso come The Lighthouse (a questo vi rispondo io: non ha ancora una data di uscita in Italia).
Prendete queste classifiche come spunto di riflessione, suggerimento e sana discussione.
Un momento di esplorazione su cosa il cinema ci ha donato quest’anno rispetto agli altri anni, su cosa può ancora donarci e cosa avrebbe potuto darci. Come cambia la cinematografia di anno in anno e come la distribuzione.
Le classifiche non sono una scienza esatta, ma un momento di raccordo e raccoglimento di idee, storie ed immagini. Alcune viste di recente, altre mesi fa, altre ancora anni fa (già, grazie distribuzione italiana…)
E se il vostro film del cuore non è in questa classifica, semplicemente non era per me tra i migliori dieci basandomi sulla storia, scrittura, regia, interpretazione e valore emozionale e sociale, ma questo non vuol dire che non mi sia piaciuto.
E fatta questa doverosa introduzione di cui, in fondo, nessuno sentiva il bisogno, ecco quali sono per me i migliori film di questo 2019 che, se non avete ancora visto, dovreste proprio recuperare.
.10
Midsommar
Ari Aster
Il film che fa discutere ci vuole sempre all’interno di una top ten e, sicuramente, Ari Aster del fattore “far discutere” ne sa qualcosa. Del resto, Midsommar è una delle pellicole più controverse di questo 2019 e che più ha diviso critica e pubblico. Mi sembra doveroso iniziare questa classifica con questa pellicola, indubbiamente una delle più suggestive e dissacranti di questo 2019, nel bene e nel male.
Ari Aster ci aveva già deliziati nel 2018 con il suo Hereditary, già lo scorso anno degno di nota. E se già con Hereditary, Aster aveva sfidato i canoni della narrazione tradizionale, dando uno scossone forte e necessario al genere horror, creando qualcosa di assolutamente ansiogeno ed intenso, con Midsommar il regista e sceneggiatore statunitense vuole davvero mettere a dura prova i suoi spettatori, portandoli all’interno di un incubo che strizza non poco l’occhio a una pellicola cult come The Wicker Man.
Aster ci fa confrontare di nuovo con il senso di lutto, di vita al di là della morte, questa volta passando dal totale buio di Hereditary alla continua luce della Svezia, facendo perdere lo spettatore assieme ai suoi protagonisti in un trip allucinogeno che ridefinisce, ancora una volta, i limiti dell’horror.
Midsommar è dominato da una poetica complessa e simbolista, carica di rimandi e di metafore, di espressioni e silenzi più che di parole.
È una storia che parla di morte, ma anche di vita e, soprattutto, di rinascita e… sacrificio.
Si, perché per ogni nuova vita una vecchia deve andare e fare il suo corso, e a spiegarcelo Aster lo fa nel modo più cruento e suggestivo dei modi.
.09
La Favorita
Yorgos Lanthimos
Una battaglia fatta di colpi di ironia, intelligenza e furbizia. Ecco qual è la ricetta del The Favourite di Yorgos Lanthimos, presentato nel Concorso del Festival di Venezia del 2018 e arrivato da noi lo scorso Gennaio 2019.
Il film si avvale di tre grandi interpreti – Olivia Colman, Rachel Weisz ed Emma Stone – e si ambienta nel Regno Unito di fine ‘600, a cavallo dell’aspra guerra tra inglesi e francesi.
Una scenografia curata nel minimo dettaglio, costumi raffinati ed incredibilmente scenici, per una composizione del dialogo che rapisce. Divertente, accattivante, grottesco.
Yorgos Lanthimos si conferma essere un regista “dell’assurdo”, ma questa volta decide di approdare su lidi leggermente differenti, scegliendo un racconto più lineare e razionale, dove la visione è “facile” per qualsiasi tipo di pubblico.
Anche per i meno amanti del regista greco sarà difficile non apprezzare The Favourite, una commedia nera in cui nessuno risparmia un colpo e tutti sono pronti a spingersi oltre ogni limite pur di arrivare al proprio obiettivo.
La nostra recensione:
.08
L’ufficiale e la spia
Roman Polaski
Durante il Festival di Venezia di questo 2019 ha fatto molto discutere di sè; del resto, come potrebbe essere il contrario nel caso di Roman Polanski, il cui nome è avvolto tanto nella grande della sua regia quanto nella vergogna degli atti deplorevoli da lui commessi nel passato.
E in J’Accuse – L’ufficiale e la Spia, Polanski mette molto di sé stesso e dell’ironia del senso di giustizia, confezionando un dramma storico dalla struttura classica, senza annoiare o essere pedante, e che riesce a far riflettere su alcune condizioni sociali e politiche del mondo contemporaneo.
La forza di J’Accuse sta nella sua struttura, solida e classica, ma anche nel suo svolgimento.
Un thriller politico capace di raccontare con grande accuratezza storica una delle più grandi ingiustizie mai avvenute, appunto quella ai danni di Alfred Dreyfus, capitano francese di origine ebraica, in servizio presso lo Stato Maggiore dell’Esercito.
Il film riesce non solo ad appassionare, ma anche ad emozionare, creando uno stato di empatia e scoperta nello sguardo dello spettatore che, senza troppa fatica, si affeziona ai personaggi e, soprattutto, al loro forte senso di giustizia.
La nostra recensione:
.07
Il traditore
Marco Bellocchio
Fiore all’occhiello di quest’anno, nostro rappresentante a Cannes ed anche agli Oscar (ma che all’ultimo non ce l’ha fatta). Biopic sulla vita di un personaggio reale, controverso, sfaccettato. Una storia di mafia, ma non solo. Diretta da un bravo regista, interpretata da uno dei nostri migliori interpreti. Il Traditore non poteva non comparire nella top 10 dei dieci migliori film dell’anno, rappresentando egregiamente l’Italia in questo 2019.
Di straordinarie pellicole italiane ne abbiamo avute quest’anno; certo, non tante quante ne avremmo volute. Eppure Il Traditore ha una marcia in più, dettata probabilmente proprio dal suo interprete, Pierfrancesco Favino che calca i panni del pentito malavitoso Tommaso Buscetta, membro di spicco all’interno della mafia siciliana di Cosa Nostra, e successivamente diventato collaboratore della giustizia.
Dal taglio documentaristico, il Traditore ripercorre gli anni di Buscetta passati scappando, da un posto all’altro. Ci lascia addentrare nella vita dell’uomo, nelle sue scelte, nei suoi peccati e rimorsi, costruendo un racconto che analizza la mafia in modo diverso, dandoci visione di tutte le sue contraddizioni ed ipocrisie, e lasciandoci avvicinare quasi con far invadete all’interno della vita del suo protagonista.
.06
C’era una volta a… Hollywood!
Quentin Tarantino
Once Upon A Time In Hollywood non è probabilmente il film che ci aspettavamo di vedere. Non è sicuramente il migliore di Tarantino e, come continuerò a dire, probabilmente il suo più imperfetto. Tutto questo, però, non va intenso con un’accezione negativa, al contrario. Perché proprio per questo motivo, Once Upon a Time in Hollywood è il film più sincero e con più cuore di Quentin Tarantino.
Un’opera complessa che nella sua struttura goliardica e sarcastica, a tratti perfino cinica, ad altri comica, assume le sembianze di una lettera al giovane cineasta che nel 1992 debuttava sul grande schermo come regista con il film Le Iene, mostrando immediatamente al mondo del cinema che nella grande Hollywood un nuovo scomodissimo e necessario artista era ormai arrivato.
Un inizio incerto, che lascia un po’ dubbiosi. I difetti che vengono a galla ma che, man mano che la visione va avanti e prendere forma, ci mostra la vera essenza del film. Un film di amici, un film di sentimenti, un film metacinematografico, dominato dall’amore per la settima arte. Un finissimo lavoro fatto sulla caratterizzazione dei personaggi e sulle loro interpretazioni, dove Brad Pitt e Leonardo Di Caprio fanno quasi a gara a chi sia più mostro di bravura. Si viene del tutto trascinati nel loro mondo, in un cinema che forse non è neanche esistito veramente, ma che strizza notevolmente l’occhio alla bellezza della Hollywood degli anni ’60/’70. Una Hollywood ricca di sogni e di promesse, ma anche piena di insidie, dove spesso il successo non è sinonimo di felicità.
Once Upon A Time In Hollywood diventa quindi una parabola sul cinema, sul cinema di Tarantino, sul ruolo del cinema per Tarantino, ma anche su come il cinema sia cambiato negli anni. Su cosa sia davvero il cinema.
La nostra recensione:
.05
Joker
Todd Phillips
Dissacrante, grottesco e realistico. Arriviamo a parlare di uno dei film che più ha fatto parlare di sé quest’anno. Certo, forse non fossimo stati “vittime” degli ultimi cinque anni di bombardamenti di un cinema standard e piegato alle regole di un mercato buonisti, politicamente corretto e fabbricatore di soldi su saghe e saghe e saghe e universi e multiuniversi tutti simili tra loro, il Joker di Phillips avrebbe avuto un impatto minore.
Ed, invece, viviamo in un mondo che è esattamente quello disegnato da Phillips al massimo della sua regia: misurata ma feroce. Un regista che si accompagna ad un grande interprete, Joaquin Phoenix, che da voce ad un personaggio tormentato, disturbato, complesso. Un folle frutto della stessa società che alla fine lo ha ripudiato e sulla quale – quasi come se non avesse scelta – vuole prendersi la sua meritata rivincita.
Joker è la distruzione irreversibile della parte migliore di ognuno di noi, rappresentata ovviamente da Arthur, ormai sopraffatta dal marcio, dagli abusi, dalla feroce e gratuita violenza ed ipocrisia degli altri.
Arthur soccombe a quella parte malata di sé, stanco di subire, stanco di essere vittima, stanco di essere un invisibile tra gli invisibili.
Todd Phillips ci fa compiere un viaggio all’interno delle psicosi di un uomo che si arrende e si trasforma, abbandonando il suo involucro di essere umano per diventare la sua stessa maschera, quella del famoso pagliaccio dalla risata inconfondibile.
Una risata che è icona. È l’urlo di ribellione contro l’ipocrisia, l’indifferenza di chi ignora i più deboli, facendoli sentire privi di sostanza, invisibili, inesistenti; il rancore nei confronti del più ricco che continua ad arricchirsi, alle spalle dei più poveri che vengono consumati dal degrado.
La nostra recensione:
.04
Marriage Story
Noah Baumbach
Marriage Story è un piccolo, intimo e al tempo stesso feroce viaggio all’interno di una coppia sposata che ha “deciso” di separarsi. In realtà, con l’andare avanti del film capiamo che quello di Baumbach è un vero e proprio trattato sull’imprevedibilità dell’amore, delle sue sfumature più dolorose e di quanto, a volte, le separazioni siano molto più difficili e dolorose del previsto.
Rispetto a quanto si potrebbe pensare, Marriage Story è una storia di rottura, ma non su una storia d’amore finita; anzi, il racconto di Noah Baumbach insiste sulla difficoltà di una separazione, sul non riuscire ad accettare questa fine, ma al tempo stesso sentirne la necessità.
Marriage Story riflette su quanto, a volte, bisogna quasi aspettare che qualcosa si rompa prima di comprenderla per davvero. In questo caso, come abbiamo già detto, è proprio attraverso un divorzio che il regista racconta la storia di un matrimonio, di un amore, sfruttando a proprio vantaggio la natura “divisoria” del sistema giuridico che governa i matrimoni. Dividere una famiglia, le persone, il tempo.
La nostra recensione:
.03
Dolor y Gloria
Pedro Almodóvar
Dolor y Gloria, ventiduesima pellicola di Pedro Almodóvar è un meraviglioso ed intimo, fragile e violento affresco di uno dei più grandi cineasti del nostro tempo. La pellicola che in questo 2019 mi ha più commosso e genuinamente emozionato, lasciandomi senza parole di fronte a quello che sembra essere un vero e proprio testamento per immagini di Pedro Almodóvar.
Una discesa nelle tenebre, nel limbo dietro l’artista che svela la sofferenza, la dipendenza dalle droghe e il conflitto con l’arte.
Un andare e venire tra passato e presente, dove una serie di personaggi si muovono attorno a Salvador, un incredibile Antonio Banderas che rende omaggio ad uno dei suoi grandi maestri, uno dei primi registi che ha segnato la carriera di questo attore che, dopo anni di fermo, si riscatta con un ruolo unico, forse quello più alto della sua stessa filmografia.
Dolor y Gloria non è solo una lettera aperta alla vita del regista spagnolo, ma anche un vero e proprio omaggio al cinema, il grande cinema, la musa. Una musa affamata che pretende, a volte lasciando senza fiato. Prende, scava con violenza nell’animo dell’artista, spolpando la carne fino alle ossa.
La nostra recensione:
.02
The Irishman
Martin Scorsese
Nell’anno delle grandi riunioni, da Tarantino a Jarmusch, non potevano di certo mancare il ritorno di quei bravi ragazzi. Un gruppo di amici, si, ma anche un composto di grandi nomi, maestri e volti del cinema.
Scorsese dirige De Niro, Al Pacino e Joe Pesci in una pellicola che non è semplicemente un ritorno alle origini, ma un vero e proprio testamento.
Un film che nella sua anima tradizionale abbraccia i cambiamenti della macchina del cinema, come le nuove tecnologia o la fruizione non più destinata unicamente sul grande schermo ma anche semplicemente dal proprio divano, in casa propria.
Un kolossal di oltre tre ore e mezza arrivato a fine anno, atteso da anni. Una pellicola non designata ad essere la più bella o più importante di Scorsese, ma indubbiamente dietro di sé si porta dietro un peso non indifferente, un peso che va tenuto conto in relazione ai film presentati in questo 2019. Un film non rivolto a tutti e che non vuole nemmeno comparire sotto l’etichetta del blockbuster.
Una pellicola non esente da difetti ma che al tempo stesso vive e respira di un grande cinema. Un cinema degli anni ’70 che resta ancora fortemente vivido nella memoria di chi lo guarda, ricordandoci l’importanza e la necessità che abbiamo oggi più che mai di autori, di sognatori, di cineasti come Scorsese.
La nostra recensione:
.01
Parasite
Bong Joon-ho
È difficile mettere così tanto d’accordo la critica tanto quanto ha fatto Parasite di Bong Joon-ho. Fin dalla prima visione al Festival di Cannes, da cui ne è uscito vincitore, questo dramma sociale vestito da commedia ha ammutolito l’intera sala, mettendo tutti d’accordo sul fatto che di fronte ai nostri occhi non c’era unicamente la Palma D’Oro di Cannes, ma anche il film più bello del 2019. Eh si, a Maggio forse poteva essere semplicemente una supposizione, ma adesso la mano sul fuoco ce la possiamo assolutamente mettere.
Focus del film sono due famiglie: una costretta alla povertà più totale, l’altra avvolta nell’agio e benessere.
Miseria, degrado e abbandono sociale che portano gli esseri umani a diventare delle bestie, dei carnefici, dei parassiti pur di sopravvivere.
Si, perché il film di Bong Joon-ho è uno spietato affresco di sangue e violenza della società odierna, ma dipinto con pennellate che oscillano tra l’ironico e il satirico, trascinando in un vortice di emozioni, spiazzanti e disturbanti. Una pellicola che mette un senso di disagio ed inquietudine difficile da togliere dalla pelle.
Probabilmente la più bella pellicola diretta dal regista sud-coreano che torna nel suo Paese d’origine per regalarci una storia unica, dalla regia complessa e stile articolato, ma anche dalla sceneggiatura minuziosa e studiata per diventare un racconto dettato da un crescendo appassionato e coinvolgente.
Parasite non è solo la palma d’oro di Cannes o il miglior film dell’anno, non è neanche il probabile Oscar al miglior film straniero; Parasite è probabilmente una delle più intese, suggestive e belle pellicole della storia del cinema contemporaneo.
La nostra recensione: