Arriva a Venezia in anteprima l’atteso film La Profezia dell’Armadillo, turbolenta trasposizione dell’omonima graphic novel di Zerocalcare, diretto da Emanuele Scaringi e che arriverà nelle nostre sale il 13 settembre.
I libri non si giudicano mai dalla copertina e i film non si giudicano dai loro trailer, clip o produzione tormentata. Anche quando si tratta di trasposizioni – forse soprattutto in questo caso.
Il meccanismo di un giudizio affrettato, prevenuto, porta quasi sempre lo spettatore a porsi di fronte al film con una sorta di filtro che gli impedisce di essere realmente obiettivo nei confronti del film.
Questo è esattamente il caso de La Profezia dell’Armadillo, arrivato in questi giorni in anteprima alla 75° Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica di Venezia nella sezione Orizzonti, e che vedremo nelle sale di tutta Italia il 13 Settembre.
Il film diretto da Emanuele Scaringi è tratto dall’omonima graphic novel dell’artista Zerocalcare, edita da Bao Publishing.
La produzione del film ha trovato non pochi problemi in corso d’opera. Indubbiamente le trasposizioni sono sempre un atto di coraggio. Spesso il risultato non rispecchia l’aspettativa – del pubblico e dell’autore – o l’anima del soggetto da cui è tratto.
È anche vero che una trasposizione di un soggetto da un medium all’altro deve passare a un necessario processo di cambiamento e rivalutazione di alcuni elementi. Non è detto che ciò che funziona su carta funzioni anche su schermo, e viceversa.
La Profezia dell’Armadillo film nasce come un progetto dello stesso Michele Rech e di Valerio Mastandrea. In corsa il progetto ha subito alcune modifiche, a partire dall’abbandono dell’operazione da parte di Mastandrea per motivi interni alla lavorazione del film. Questo fa del film un prodotto brutto a prescindere? No.
Nel cinema o nella serie televisive i cambi di regia, attori o showrunner sono all’ordine del giorno. Perché questa lunga premessa?
Perché troppo spesso si giudica un lavoro – senza minimamente conoscere il sudore, le mani, le menti che ci sono dietro – con troppa leggerezza, senza minimamente contestualizzare.
La Profezia dell’Armadillo di Emanuele Scaringi, senza se e senza ma, senza filtri o pregiudizi, è una valida trasposizione di una graphic novel. Un prodotto godibile che intrattiene, a volte diverte, altre volte addolora e altre ancora – giustamente – fa storcere il naso.
Un film che in parte mantiene l’efficacia di Zerocalcare su carta – cosa non semplice – dall’altra parte sceglie una strada leggermente differente, adattando la storia – non sempre al meglio – per un medium come il cinema.
Emanuele Scaringi e gli sceneggiatori del film preferiscono concentrarsi sull’orizzontalità del romanzo originale, la linea di trama principale che vede un giovane Zero (Simone Liberati) diviso tra più lavori e il sogno di diventare un fumettista. Oltre all’amico di una vita Secco (Pietro Castellitto), Zero “convive”, nel suo appartamento di Rebibbia, o più precisamente a Tiburtina Valley, con un Armadillo gigante (Valerio Aprea), ovvero la rappresentazione della sua coscienza.
Una vera e propria voce che da forma ai pensieri, paura, ansie e paranoie del protagonista.
Quella che sembra essere la solita vita di sempre, viene bruscamente arrestata dalla notizia della morte di una vecchia compagna di scuola che, anni prima, si era trasferita in Francia: Camille.
Intervallato da spezzoni con l’amico Secco, il rapporto con la mamma, le continue deadline e l’ansia di non superare un nuovo colloquio, il film diventa un vero e proprio percorso di accettazione del lutto. Esattamente come la graphic novel, il fumetto segue Zero in un preciso frangente della sua vita, dove i rimorsi e i ricordi del passato ritornano prepotentemente a tormentarlo.
Nelle sequenze ambientate nel presente, nelle piccole gag con Secco, si sente fortemente l’essenza di Zerocalcare, mostrando un film molto fedele, attento al dettaglio, alle ricostruzioni degli ambienti, dei luoghi, di alcuni degli elementi caratterizzanti di questo personaggio alter-ego del suo creatore.
Tutto questo messo in scena all’interno di una Roma dove si sente fortemente la divisione tra Nord e Sud, quasi come se si parlasse di due comunità appartenenti ai lati opposti del globo.
Cominciano i veri problemi quando si torna ancora indietro nel passato, con i flashback che contornano il viaggio di Zero. Scene dal mood fin troppo naive.
L’atmosfera da nostalgia anni ’90 è anche coerente con il racconto, ma la modalità in cui il tutto viene raccontato non convince fino in fondo, distaccandosi dallo stile precedete – e anche dallo stile del fumettista romano.
In particolar modo nel rapporto tra i giovanissimi Zero e Camille si respira quasi un’aurea da Il Tempo delle Mele a tratti smielata e per altri versi insopportabile.
A rendere ancora meno digeribile il tutto sono i giovani attori, poco preparati e incapaci di mostrare la spontaneità che, invece, la controparte adulta riesce a mostrare dall’inizio alla fine del film.
Sembra quasi che i giovani attori stiano leggendo un gobbo, senza dare un minimo di emozione ed intensità a ciò che stanno dicendo, rendendo i dialoghi piatti e banali.
Probabilmente il difetto più grande del film risiede proprio in questo, un errore non da poco, considerando che una buona parte del film è ambientata nel passato.
Scaringi e sceneggiatori si prendono anche qualche licenza per quanto riguarda il finale del film, aggiungendo elementi – a quanto parte molto privati – che neanche nel fumetto è possibile trovare, infarcendoli di una retorica non necessaria e del tutto opposta allo stile di Zerocalcare.
Eccezionale il lavoro, invece, del cast principale.
Simone Liberati sembra essere quasi la fotocopia dello Zero dei fumetti, facendo un ottimo lavoro sulla gestualità, il tono di voce e anche la naturalezza nei rapporti umani all’interno del film.
Davvero sorprendente Pietro Castellitto che diverte – e forse si diverte anche – in modo genuino. Scatenato, incredibilmente immerso nel ruolo dell’amico Secco, compagno di dis(avventure) di Zero.
Valerio Aprea garanzia dall’inizio alla fine – per quanto la scelta di realizzare il costume dell’Armadillo con materiali di riciclo dando troppo l’effetto di riciclo e posticcio, sia altamente discutibile – entra in perfetta sintonia con il personaggio/voce, ammettendo – durante un’intervista – di essere molto simile all’Armadillo anche lui nella vita reale.
Probabilmente il vero grosso limite de La Profezia dell’Armadillo è il suo essere eccessivamente esclusivo.
Da una parte troviamo un mood molto giovanile, un target forse perfino più basso di quello dei lettori di Zerocalcare; dall’altra parte, invece, la fedeltà di alcuni dettagli e scene presuppone che lo spettatore conosca già sia Zerocalcare che il suo fumetto, non spiegando alcuni elementi – come per esempio lo stesso Armadillo – che per un pubblico profano potrebbe essere ostico da capire.
In conclusione La Profezia dell’Armadillo è un film spensierato, leggero come quella leggerezza persa che forse avrebbe salvato la vita di Camille.
Un film sicuramente imperfetto, un po’ scosso dalle turbolenze iniziali pre-produttive, ma che va giudicato nella sua complessità e non con spezzoni trovati in rete.
Un film godibile, non eccelso, ma neanche il disastro annunciato dai tanti che si basano su una suggestione, immagine o trailer. Una pellicola che potrebbe riservare delle sorprese a un pubblico più giovane, farlo avvicinare al mondo di Zerocalcare e che, al tempo stesso, può tranquillamente strappare un sorriso anche ai fan più scettici.