Al 71° Festival di Cannes arriva l’attesissimo nuovo film di Matteo Garrone, Dogman, liberamente tratto dal cruento evento di cronaca del 1988 de “er Canaro della Magliana”, che porta sullo schermo non il ritratto di un mostro, ma quello di un uomo in cui il pubblico può subito riconoscersi.
Nonostante il Festival di Cannes quest’anno non abbia propriamente fatto esaltare critica e pubblico, se c’è qualcosa di cui essere fieri sono proprio i nostri italiani in concorso. Due maestranze totalmente diverse tra di loro che hanno conquistato, fin dalla prima visione, la stampa internazionali, portandosi tra i preferiti della kermesse francese.
Alice Rohrwacher con il suo Lazzaro Felice parlava di un uomo talmente tanto buono, puro e incapace di giudicare il bene e il male; un ragazzo dalla profonda innocenza capace di riflettere l’imperfezione, il lato più marcio di una società troppo impegnata nel combattere una guerra tra poveri.
Matteo Garrone e il suo Dogman continuano sulla scia del ritratto umano, questa volta portando lo spettatore all’interno del quotidiano di un altro uomo buono, portato fino al punto di rottura, ma mostrandoci la sua stasi anche nel momento più drammatico della sua esistenza.
Dopo Il Racconto dei Racconti, Matteo Garrone torna in sala con un cinema del reale, dove cronaca e fantasia si mescolano per poter creare l’intimo ritratto di un personaggio che non vuole essere mai rappresentato come un mostro, ma semplicemente come un essere umano.
Fin dal primo secondo di pellicola, Matteo Garrone con il suo Dogman ci porta nel quotidiano di Marcello (Marcello Fonte), un uomo ben voluto da tutta la piccola comunità di quello che sembra essere un luogo sospeso nel tempo e nello spazio.
Un vero e proprio luogo di frontiera ma dove tutti conoscono tutti. Marcello ha una piccola bottega come toelettatore e dogsitter. Lo vediamo nelle sue pratiche, mostrandoci subito il suo amore e rispetto nei confronti dei cani.
Subito dopo lo vediamo interagire con gli amici, i vicini, e con sua figlia, alla quale cerca di non far mancare mai nulla, lavorando per realizzare il suo sogno: fare immersione nel Mar Rosso.
Marcello è un ometto talmente buono e innocuo da essere l’unico a sopportare le angherie di Simoncino (Edoardo Pesce), un avanzo di galera grande e grosso che piega alla sua volontà capricciosa e infantile l’intera comunità. Per poter arrotondare, Marcello vende cocaina e questo lo porta a interagire troppo spesso con Simoncino, restando irrimediabilmente coinvolto in una serie di eventi che capovolgeranno del tutto l’opinione, il giudizio della comunità nei confronti del “canaro”.
Dall’avere tutto Marcello si ritrova con nulla. I sacrifici di sempre calpestati. Trattato come un appestato, a Marcello sembrano restare solo i cani eppure, apparentemente, l’uomo continua come sempre, con un’ingenuità che fa stringere il cuore.
Garrone indugia moltissimo, dall’inizio alla fine, sul volto del suo protagonista.
Porta lo spettatore a scavare nella sua mente, ad entrare in sintonia con lui, la sua visione del mondo, delle persone e degli animali. I suoi sentimenti, la bontà ma anche il senso di impotenza e frustrazione che lo porteranno verso il punto di non ritorno, verso un finale in sospensione che lascia lo spettatore per qualche secondo senza respiro.
Dogman si distacca dall’evento di cronaca dal quale è tratto, ovvero il brutale omicidio dell’ex-pugile Giancarlo Ricci nell’88 per mano di Pietro De Negri, conosciuto come er canaro della Magliana.
Negri uccise, torturò e brucio il cadavere di Ricci, uomo dal quale era spesso tenuto sotto scacco. Molte delle pratiche che De Negri riservò a Ricci non vennero mai provate e, ancora oggi, ci si chiede cosa quella notte, in quella bottega, sia davvero successo e se Pietro De Negri fosse davvero da solo oppure no.
Ad alimentare la congettura della complicità ci pensa anche Matteo Garrone ma in modo molto più sottile, esattamente come tutta la struttura narrativa della pellicola. A Garrone non interessa raccontare una storia di vendetta e tortura, una storia splatter dove alimentare i feticci per il morboso e macabro.
Quello di Garrone è il vero e proprio ritratto, un po’ come se ci trovassimo all’interno di un quadro di Hopper, dove ad emergere è l’essere umano. Un uomo che dall’inizio alla fine, vero elemento sconvolgente di tutto il film, resta uguale. Un’innocenza quasi malata che stringe allo stomaco, fa male, viola quasi la mente del pubblico.
Quella di Garrone è una sottile violenza psicologica che parte dal collettivo per arrivare all’intimo. Un racconto fatto di immagini che raccontano le persone, dove il metafisico si mette al servizio del concreto, dove l’immagine, la macchina da presa, la fotografia e la scenografia sono votate unicamente verso la storia.
Non c’è mai dell’autocompiacimento nel cinema di Garrone, il quale è sempre interessato nel raccontare l’umanità dei suoi soggetti, tra il difetto e il pregio.
Matteo Garrone e Marcello Fonte, interprete principale di questo meraviglioso gioiello italiano, creano un enorme rapporto di empatia tra personaggi e pubblico.
Impossibile giudicare Marcello perché, per un’ora e quaranta minuti, Marcello siamo noi.
E di questo va detto grazie a Marcello Fonte, meraviglioso interprete, attore di teatro, che con la sua fisicità, la sua naturalezza nell’approccio alla psicologia ci porta di fronte una grande, grandissima performance. Il cinema del reale, quello dell’attore “preso dalla strada” e che ci riporta nell’autenticità del racconto.
Nota di merito anche per Edoardo Pesce, del tutto trasformato per questo brutale ruolo. Simoncino provoca subito disagio, rabbia e frustrazione nello spettatori. Pesce si immerge del tutto in questo ruolo, annullando del tutto se stesso. Anche nel rapporto morboso tra Simoncino e Marcello è possibile ritrovare quelle fragilità tipiche dell’essere umano e del cinema di Garrone.
La sequenza finale è ciò che solleva direttamente sull’olimpo del grande cinema d’autore e di genere il Dogman di Garrone. Lo sguardo nel vuoto, la semplicità, la ricerca di approvazione in netto contrasto con la drammaticità, la brutalità della situazione.
Matteo Garrone, insieme ad Alice Rohrwacher, in questo Cannes ci riporta direttamente ai fasti del Neorealismo, del cinema fatto di storie, di personaggi e non di estetismo autoreferenziale e povero di significato. Matteo Garrone e Dogman ci ricordano che cos’è davvero il cinema e di questo non possiamo che ringraziarlo!
Dogman sarà nelle nostre sale dal 17 Maggio grazie a 01 Distribution.