Tomas Alfredson porta al cinema il settimo capitolo delle avventure di Harry Hole, detective protagonista della fortunata saga letteraria di Jo Nesbø, interpretato da Michael Fassbender. Nonostante una confezione lussuosa, dalla fotografia di Dion Beebe a Thelma Schoonmaker al montaggio e Martin Scorsese come produttore esecutivo, il film non riesce a decollare e inchiodare lo spettatore alla poltrona, come invece fanno i romanzi dell’autore norvegese. Dal 12 ottobre al cinema.

A volte la realtà supera la fantasia: tratto dall’omonimo romanzo di Jo Nesbø, il settimo capitolo della saga letteraria dedicata al detective Harry Hole, mente geniale in un corpo piegato dalla dipendenza, L’uomo di neve, nelle sale italiane dal 12 ottobre, è un mistero, esattamente come quello messo in scena da Tomas Alfredson.

 

 

Considerato uno dei libri migliori dell’autore norvegese, L’uomo di neve inizialmente avrebbe dovuto essere diretto da Martin Scorsese, per poi finire nelle mani di Morten Tyldum prima e infine in quelle di Alfredson.

Considerato uno dei libri migliori dell’autore norvegese, L’uomo di neve inizialmente avrebbe dovuto essere diretto da Martin Scorsese, per poi finire nelle mani di Morten Tyldum prima e infine in quelle di Alfredson, già autore degli ottimi Lasciami entrare (2008) e La Talpa (2011).

Paesaggi imbiancati, silenzi, sprazzi di follia circondati da una realtà rallentata e raggelata: il racconto di Nesbo sembrava la storia perfetta per il regista svedese, così come perfetto è, sulla carta, il cast tecnico, a partire dalla splendida fotografia di Dion Beebe – geniale maestro della luce in Collateral (2004) e Miami Vice (2006), entrambi di Michael Mann, premio Oscar nel 2006 per Memorie di una Geisha -, la leggendaria Thelma Schoonmaker al montaggio e Scorsese come produttore esecutivo.

 

 

 

 

Per non parlare degli attori coinvolti: Michael Fassbender come protagonista, Rebecca Ferguson nei panni Katrine Bratt, giovane detective che si affianca al collega più esperto per risolvere il caso di un assassino che uccide solo donne che hanno avuto figli illegittimi e lascia sul luogo del rapimento inquietanti pupazzi di neve, il premio Oscar J.K. Simmons in quelli dell’influente Arve Støp, e interpreti del calibro di Charlotte Gainsbourg, Chloë Sevigny, Val Kilmer, Toby Jones e Jamie Clayton, la Nomi della serie Sense8, in ruoli di contorno. Eppure tutto questo non basta.

Elegante formalmente, il film si perde però presto in tutto quel ghiaccio, come se la sua linfa vitale fosse raggelata dal peso della parte narrativa, che non riesce mai reggere il confronto con le splendide immagini del regista svedese.

Dopo un inizio brutale, in cui vediamo gli effetti di un padre violento su un figlio e una madre abbandonati al loro destino, il film si dilata, alternando eventi passati e futuri come se si stesse assistendo a un sogno, in cui pezzi del puzzle arrivano disconnessi e il pensiero di un personaggio completa per ellissi quello di un altro, che ha provato un sentimento simile anni prima.

Elegante formalmente, il film si perde però presto in tutto quel ghiaccio, come se la sua linfa vitale fosse raggelata dal peso della parte narrativa, che non riesce mai reggere il confronto con le splendide immagini del regista svedese.

 

 

L’uomo di neve più che confondere e terrorizzare lo spettatore con la forza disturbante della storia di Nesbo, finisce invece per scoprire presto le sue carte, per colpa di una scrittura che non riesce mai a entrare davvero nel cuore dei personaggi.

Esattamente come i corpi delle vittime del killer della neve, fatti a pezzi e scomposti, il film sembra una materia che in principio aveva una sua struttura ben precisa ma che, nel passaggio di mano in mano, di riscrittura della sceneggiatura e di montaggio, ha perso la sua forza, rimanendo congelato nel processo.

L’uomo di neve più che confondere e terrorizzare lo spettatore con la forza disturbante della storia di Nesbo, finisce invece per scoprire presto le sue carte, per colpa di una scrittura che non riesce mai a entrare davvero nel cuore dei personaggi, limitandosi a fornire allo spettatore gli elementi chiave del thriller come se fossero  puntini da unire per comporre il disegno semplice e lineare di un bambino.

Scegliendo di non dare nessun passato al protagonista, che non usa praticamente mai il cellulare ed è spesso disconnesso dalla realtà, è come se si fosse scelto di dare per scontata la statura del personaggio Harry Hole, la cui fama letteraria precede quella del suo alter ego di celluloide, un Fassbender che si impegna come può a costruire un personaggio che è sempre sfuggente e indefinito, molto più del serial killer che sta cercando e che gli manda dei biglietti scritti su carta azzurra.

 

 

 

 

Nonostante la confezione abbagliante, L’uomo di neve non riesce mai davvero a sfidare lo spettatore.

Nonostante la confezione abbagliante, L’uomo di neve non riesce mai davvero a sfidare lo spettatore, perdendosi da solo tra i ghiacci della sua storia, che si scioglie presto proprio come i pupazzi di neve del killer della neve, il cui vero delitto diventa quello di non aver reso giustizia alla forza del romanzo originale.

 

L’uomo di neve è nelle sale italiane dal 12 ottobre.