Pochi sono i giorni che ci separano da Alien: Covenant, l’atteso film diretto da Ridley Scott appartenente alla nuova trilogia del franchise iniziato nel 2012 con Prometheus. Ma il nuovo film di Scott è davvero un ritorno alle origini oppure una mera illusione dettata dal titolo?
Ridley Scott è pronto a tornare in azione con Alien: Covenant, promettendo più sangue, Xenomorfi e un legame molto più profondo con la storica saga iniziata nel 1979.
La saga di Alien è diventata ben presto un cult della fantascienza, passando tra le mani di quelli che sono i più apprezzati registi della scena contemporanea come James Cameron e David Fincher. Una saga che ha unito sotto di sé moltissime teorie e ipotesi, terrorizzando generazioni differenti, e che si è sviluppata anche all’interno dei videogiochi e dei fumetti.
Mentre i fan attendevano con ansia l’arrivo dell’agognato quinto capitolo – per il quale dopo le recenti dichiarazioni sembrerebbe non ci sia alcuna speranza – nel 2012 Ridley Scott era tornato al cinema con un film fantascientifico con protagonista Michael Fassbender.
La collocazione era esattamente la stessa: una missione nello spazio, robot, forme di vita diverse da quella umana. Prometheus prende vita assieme alla speranza di un grande ritorno. E il primo punto di contatto tra Alien e Prometheus risiede negli ingegneri, una forma umanoide che sembra aver dato origine sia alla razza degli Xenomorfi che a quella umana.
Prometheus aveva il compito di spiegare l’origine di tutto. Compito non propriamente portando a termine, lasciando solo una delusione generale e molti più interrogativi, soprattutto sull’affascinante teoria degli ingegneri.
Cinque anni dopo Ridley Scott torna nuovamente dietro la macchina da presa, questa volta con un titolo che non lascia dubbi nello spettatore, Alien: Covenant.
Sin dal titolo, passando per le prime immagini, teaser trailer e teaser poster, Alien: Covenant sembra un vero ritorno alle origini.
Il mood oscuro, dai colori che vanno tra il nero e il verde, l’effettiva presenza dello Xenomorfo e finalmente teorie che prendono forma andando a fondo in quell’universo creato nel 1979, dando una risposta alle domande che ci portiamo dietro da quasi quarant’anni.
Il detto, però, dice che l’abito non fa il monaco e purtroppo, con sommo dispiacere, in questo caso il titolo non fa il cult. Ridley Scott ci ha teso un bello scherzetto, quasi illudendoci che Alien: Covenant avrebbe reso giustizia alla delusione provata in Prometheus, riportandoci le emozioni provate anni prima con l’unica e inimitabile saga.
Titolo a parte, questo “nuovo Alien” altro non è che Prometheus 2.
Un Prometheus esteticamente bellissimo, dalla suggestiva fotografia e ottima CGI, ma che inciampa negli stessi tranelli del primo film, cercando di portare un po’ di luce nell’oscurità disseminata nella storia precedente.
Una pellicola che non riesce a terrorizzare, rendendosi ancora una volta estremamente inferiore rispetto alla saga creata dallo stesso Scott, finendo con l’essere poco meno di un film splatter, con un’azione ridotta all’osso e molta poca sostanza.
Ambientato dieci anni dopo gli avvenimenti narrati in Prometheus, Alien: Covenant gira attorno all’equipaggio del Covenant, una squadra speciale scelta per trasportare e dare vita ad una nuova colonia di oltre 2.000 esseri umani su un pianeta con condizioni simili alla terra, Origae-6.
Walter (Michael Fassbender) è un androide il cui compito è vegliare sull’equipaggio addormentato, ma a causa di un’esplosione stellare parte dell’equipaggio è costretto a svegliarsi in anticipo.
Diversi sono i morti a causa dell’impatto, ma l’equipaggio non può darsi per vinto. La rotta viene cambiata quando vengono incuriositi da un segnale radio che proviene da un pianeta vicino. Il pianeta in questione sembra avere delle condizioni di colonizzazione perfette, immerso nel verde e con un’aria identica a quella terrestre.
Presi dalla speranza di aver trovato un pianeta come Origae-6, ma molto più vicino, un gruppo di esploratori, tra cui Walter e Daniels (Katherine Waterstone), esperta di terraformazione, scende per constatare se effettivamente hanno finalmente trovato la loro terra promessa.
Ma come è possibile che un pianeta così perfetto sia sfuggito agli anni di ricerca fatti prima?
Nello spazio nessuno può sentirti urlare.
Certo, perché in Alien: Covenant non si urla, ma si ride. Tralasciando i meccanismi narrativi che ricalcano le stesse dinamiche del primo Alien, come appunto il segnale radio, l’astronave abbandonata, la scena in infermeria, la sequenza d’azione finale; quelle che dovrebbero essere le scene di maggior suspense, anche queste mere copie carbone prive di anima prese da tutta la saga, finiscono col diventare cliché che neanche un’abile mente del trash – il trash quello voluto e consapevole – sarebbe in grado di concepire.
I classici errori da film horror di serie Z che non solo stonano nel contesto cinematografico odierno, ma anche e soprattutto con tutta la continuity della saga.
Il livello può essere paragonato alla scena di sesso in un cimitero durante un’apocalisse zombie; al prendere l’unico sentiero buio e tempestoso; ad aprire quell’unica porta che non andrebbe aperta; a tornare nella casa nel bosco dove si sta consumando una mattanza.
Ciò che ha davvero del fantascientifico è che un film di questo genere ambientato nel 2099, girato nel 2017, con un incredibile impianto scenico, abbia incongruenze nella sceneggiatura e faccia commettere errori assurdi ai suoi personaggi, come per esempio calpestare un germoglio sospetto, giocare con una sottospecie di biscia che non ha nulla di amichevole o infilare la testa dentro un uovo grande quanto un ragazzino di dodici anni.
Possiamo accettarlo in un film degli anni ottanta, soprattutto quando si introduce un mondo, un universo fantascientifico mai visto prima, ma da un regista di tale esperienza, su una storia così famosa e longeva, non è davvero possibile credere in un’innocente distrazione di tale portata. Meri escamotage che potrebbe commettere uno studente di sceneggiatura ai suoi primi anni, non certo un John Logan.
I personaggi, al di fuori di Walter e David, si muovono come se fossero allo sbaraglio, senza un minimo di raziocinio e di coscienza. Ogni loro azione non viene né giustificata né motivata.
Le interpretazioni lasciano il tempo che trovano, soprattutto Katherine Waterstone, protagonista femminile che non riesce ad arrivare neanche all’ombra dell’interpretazione – non perfetta di per sé – di Noomi Rapace. Ed evito un paragone con la Ripley di Sigourney Weaver perché non si spara sulla croce rossa…
L’unica interpretazione degna di nota è quella di Michael Fassbender che si giostra tra due personaggi apparentemente simili, ma molto diversi, sia nei pensieri che nelle azioni, riuscendo a ricreare una buona mimica facciale. Probabilmente addirittura troppo buona, “riducendo” parte della pellicola a un Fassbender vs Fassbender.
Alla base del film c’è la curiosità. La curiosità dell’essere umano ormai abusata all’interno dei film di fantascienza e sembra di assistere a un Ridley Scott che copia Ridley Scott.
Un cercare di rielaborare nuove idee su vecchie idee ma riuscendoci solo a metà. Si ha la continua sensazione di vedere un lavoro svolto a metà, che non riesce mai ad esprimere se stesso, restando castrato da “scelte sicure” e dalla vana pretesa di creare un nuovo cult, facendo unicamente affidamento sulla fama del precedente cult, ma senza crederci davvero, senza impegnarsi davvero nel creare, almeno, una sorta di rielaborazione della storia.
Banale, monotono e privo di attrattiva. Tutta l’aspettativa alimentata dai trailer, che giocano molto sul mood della vecchia saga, si esaurisce dopo la prima mezz’ora di pellicola.
La prima parte della pellicola è estremamente lenta, perdendo troppo tempo in sequenze assolutamente inutili ai fini della narrazione. La seconda parte è sciatta. Molte delle scene più interessanti, degli snodi importanti sia per il finale del film che per l’inevitabile terzo capitolo, vengono troncanti a scena aperta.
Lo spettatore prevede immediatamente quello che capiterà successivamente, e si, sebbene alcuni interrogativi vengano svelati – nulla che gran parte del pubblico aveva già previsto – molti altri diventano ancora più oscuri, rendendo ancora più ostici alcuni passaggi che si vanno a scontrare con tutto l’universo creato da Scott.
Quello che ci offre Scott è un mero contentino a livello teorico, sulle supposizioni e ipotesi, ma senza riuscire davvero a soddisfare. Senza travolgere lo spettatore in un film che terrorizzi, appassioni e faccia sentire il brivido dietro alla schiena, quel brivido che si prova ancora anche solo pensando al primo Alien.
Alien: Covenant è un cane che si morde la coda, girando in tondo. Un film con una sostanza insufficiente e che esaspera il suo sviluppo narrativo per arrivare, con estrema sofferenza, agli agognati 120 minuti e lasciare quel poco essenziale per poter lavorare su ulteriori 120 minuti per una nuova pellicola, che avrà le stesse identiche problematiche della precedente. Alien: Covenant non è altro che un nuovo Prometheus mascherato da Alien.
Alien: Covenant sarà nelle sale italiane dall’11 Maggio