Scrivo di getto, perché se aspettassi, non avrei le stesse emozioni di questo momento. Oggi finisce il mio secondo Comic-Con International di San Diego. Non è un’esperienza che può essere descritta su due piedi, ma ci voglio provare lo stesso. È finito da appena 2 ore.

Ho preparato l’evento per mesi prima di partecipare, convinto di avere le idee chiare e di sapere come muovermi nel modo più efficace. È stato così, ma soltanto in parte.

La parola d’ordine del mio primo Comic-Con è stata “grande”. Tutto era grande.

La parola d’ordine del mio primo Comic-Con è stata “grande”. Tutto era grande. Il centro fieristico, smisurato come solo gli americani sono in grado di fare. Gli stand delle case di produzione dell’entertainment come Warner, Fox, Lionsgate. Grandi le auto, i camion, gli stessi visitatori. E grande era stato il mio stupore da provinciale.

Credevo di essere stato ormai battezzato. Il Comic-Con è un’esperienza totalmente immersiva. Non è solo una questione di tenere uno stand, o di interagire con il pubblico. Ci si muove di continuo da una parte all’altra per parlare con produttori, editori, artisti.

A mezzo metro può passarti accanto un professionista di Hollywood di cui nemmeno conosci il nome. L’anno scorso, Arya Stark si è fatta una foto davanti al nostro stand! Può succedere praticamente di tutto.

Credevo appunto di essere stato battezzato al “grande”. Infatti, quest’anno non ho subito lo stesso stupore. Non ho sgranato gli occhi di fronte alla magniloquenza, né ho accusato il senso di piccolezza che la prima volta mi ha tolto il fiato.

Quello che mi ha colpito enormemente è stato ben altro. È stata la “velocità”.

 

L’americano medio che frequenta il Comic-Con è davvero una persona squisita.

Un piccolo inciso. L’americano medio che frequenta il Comic-Con è davvero una persona squisita. Una cortesia a tratti inquietante. Subisci una lieve spallata da qualcuno? “Sorry”. Ti sorpassa qualcuno a piedi tagliandoti la strada? “Sorry”.

Un ordine e una pulizia che solitamente associamo ai giapponesi, ma che gli americani sanno interpretare al massimo. Dopo 5 giorni di fiera, il pavimento di moquette (!!!) del centro fieristico non aveva un pezzo di carta per terra, né una macchia.

Mentre sei in bagno a pisciare, è frequente vedere un operatore che aspetta solo che tu ti sposti per pulire il tuo posto. Nessuno, e dico nessuno, butta mai in terra un bicchiere o quant’altro. Sono sempre tutti in fila, e la rispettano con rigore sacrale.

Quando provavo a spiegare qualcosa di complesso in inglese (fallendo miseramente), ho sempre trovato comprensione e pazienza. Anzi, direi curiosità. Non vorrei esaltare l’americano, perché si entrerebbe in un discorso molto lungo sulla loro impostazione mentale e il loro “rigore superiore”. Però sull’aspetto del calore umano, dei sorrisi e della cortesia, c’è ben poco di negativo da dire.

 

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Se il pubblico americano è il polso del consumatore occidentale, il Comic-Con è dove ne senti il battito.

Dicevamo però, la “velocità”. Se il pubblico americano è il polso del consumatore occidentale, il Comic-Con è dove ne senti il battito. Tutto l’entertainment che conta è presente. Ed è presente con l’artiglieria pesante. Ci sono file sterminate di artisti che aspettano ore per mostrare il proprio portfolio a case come la Blizzard o la Disney. Ci sono continue presentazioni cinematografiche, e attori in batteria per firmare autografi. Ho visto file per ottenere un badge per fare la fila per prendere autografi! La pornografia del controllo.

I brand sono più o meno sempre gli stessi, sia fra i grandi che fra i (diciamo) piccoli.
Quello che cambia radicalmente è ciò che il pubblico cerca.

L’anno scorso, ogni volta che parlavo di Mordraud, sentivo questa domanda: is it like Game of Thrones? La sentivo sempre. Lo chiedeva il pubblico, lo chiedeva il professionista, lo chiedeva la casa di produzione. Una valanga di Cosplayers indossavano abiti tratti da GoT. Quest’anno, dopo migliaia di chiacchierate, posso annoverare solo DUE domande simili. Ed ho avuto la percezione che la risposta sperata fosse “No”.

 

 

Bam. Quello che pensi sia un brand in vetta, scopri che sta già tramontando. Anche se i cartelloni grandi come tre palazzi direbbero il contrario. Anche se ancora se ne parla ovunque. Il pubblico cerca altro, ed è esigente, vuole “altro”. Un anno, e tutto cambia.

Altro esempio. Star Wars ovunque. Cosplayers, stand appositi, promoting brutale in ogni angolo. Ma la percezione qual è? Che sia una moda “puntuale”. Non c’era un reale interesse del pubblico verso argomenti “alla Star Wars”. Uscito il film, finito l’hype, è probabile che tutto finisca in una (ricchissima e lucrosissima) bolla di sapone.

Ogni grande saga/serie/prodotto televisivo-videoludico è come un oggetto dotato di massa e gravità.

Ho pensato questo: ogni grande saga/serie/prodotto televisivo-videoludico è come un oggetto dotato di massa e gravità, che genera una forza d’attrazione pari non solo a quanto il marketing impone la propria presenza, ma anche all’alchimia inafferrabile del “desiderio collettivo”.

Quando il cosmo dell’entertainment è ben popolato di grandi pianeti, il pubblico è ancorato e catturato da tali forze, e lì resta finché tali forze di gravità sono massicce. Più pianeti sono presenti, più si creano simulacri. Tutti vogliono l’opera “che somiglia ma non è” a qualcos’altro.

Tutti vogliono qualcosa di nuovo, ma non troppo.

 

Ognuno chiede ciò che vorrebbe, o che crede di volere senza sapere esattamente di cosa si tratti.

Ma quando i pianeti iniziano a collassare, il pubblico diventa una massa informe e velocissima di meteore. Ognuno chiede ciò che vorrebbe, o che crede di volere senza sapere esattamente di cosa si tratti. Ognuno è alla ricerca di una nuova immensa “massa di emozioni” a cui ancorarsi.

C’è chi desidera gargoyles che diventano uomini, altri che sperano in un fantasy senza la magia, altri in Sci-fi con i maghi. Incredibile la richiesta di un passante: ma è un thriller-noir-fantasy? Mi piacerebbe leggere un thriller-noir-fantasy.

La velocità di cui parlavo rappresenta quindi due fenomeni in uno. La velocità con cui i grandi pianeti dell’entertainment sono in grado di collassare, e la velocità con cui il pubblico cerca nuovi stimoli, con la fame vorace di chi non può immaginare di restare senza nuove emozioni.

 

In questa complessa galassia, i supereroi fungono da energia oscura.

Le grandi case di produzione hanno inondato il mercato di supereroi. Ho visto cose… tipo il Batman comunista, o Supergirl. Praticamente ogni trooper del cazzo di Star Wars viene proposto, a livello comunicativo, come un piccolo inutile supereroe.

E dire che una volta erano Cannon Fodder di plastica bianca senza faccia né storia. Perché i supereroi? Perché il mercato americano è ipersaturo di prodotti derivanti da tale cultura, e le case di produzione dispongono di decenni di materiale accumulato. Inoltre, la formula del supereroe è una delle più facili in assoluto da formalizzare / proporre / vendere. Il supereroe funziona perché ha dinamiche estremamente semplici, e forme narrative lineari e “tranquillizzanti”.

Il Circolo dell’Eroe spinto ai massimi vertici di ottimizzazione.

Il Circolo dell’Eroe spinto ai massimi vertici di ottimizzazione. È il perfetto riempitivo: puoi temporeggiare un anno riempiendo sale del cinema, senza lasciare alcuno strascico per i brand futuri su cui stai già lavorando, ma che ancora non hai pronto. Rifai Spiderman 10 volte in 20 anni, sapendo che tanto il pubblico lo ingerirà, digerirà e criticherà dimenticandosi, dalla sera alla mattina, il proprio disappunto.

Non che il fantasy, preso come genere in toto, sia “meglio” o peggio rispetto ai supereroi. In realtà stiamo parlando di pianeti similari. Il problema al massimo è nell’iconografia ormai granitica dei supereroi. È quasi impossibile inventarne di nuovi. Anche volendo, tali new entries vanno inevitabilmente a cascare nel solco degli ingombranti antenati. Da questo problema nascono le fusioni modello Avengers, dove si fa una paella di supereroi che a livello di marketing riescono ad accontentare più di un miliardo di spettatori, ma che a livello di spessore narrativo sono spumosi come panna montata.

Questo tipo di approccio non crea nuovi pianeti: riempie solo i vuoti cosmici, nell’attesa che nasca una nuova stella nel firmamento in grado di attrarre nuovamente il pubblico nel vortice di una nuova storia, in grado di far “sognare sogni nuovi”.

 

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Pensavo a quanto il pubblico sia sempre alla ricerca di un centro di gravità, di una luce intorno a cui roteare.

Pensavo a questo, mentre camminavo a passo svelto fra gli stand ipercolorati, affollati di action figures improbabili, stemmi, marchi, loghi, cartelloni. Pensavo a quanto il pubblico sia sempre alla ricerca di un centro di gravità, di una luce intorno a cui roteare. Il Comic-Con è forse il non-luogo più potente che abbia mai visto.

Un concentrato di stimoli sparati a palla per attrarti e catturarti, per confonderti le idee e allo stesso tempo per tranquillizzarti: non devi preoccuparti, abbiamo già qualcosa di pronto per te. Non proprio in questo momento, ma stiamo lavorando per te. Per ora, gustati il batman comunista: tanto sappiamo che te lo dimenticherai fra pochi passi, non appena avrai distolto gli occhi.

Camminavo e mi guardavo intorno chiedendomi se anch’io fossi diventato parte di questa foresta di simboli, o se mi stessi perdendo dentro di essa.