Una calda sera d’estate, mentre laggavo sul divano, mi si è aperto uno strano pop-up in basso a sinista, e la mia vita ha preso una svolta inaspettata: “Hai raggiunto un livello di esperienza sufficiente per scegliere una Classe di Prestigio.”
Cliccai.
Un mesetto fa cominciavo così il mio primo articolo su Lega Nerd, dove ho provato a raccontarvi il lungo percorso che mi ha portato, dopo mille peripezie e cambi di direzione, a scrivere il mio primo libro.
- Da Nerd a Scrittore: l’evoluzione della Specie (leganerd.com)
A cuore aperto vi ho raccontato le esperienze “nerdose” che mi hanno accompagnato durante gli anni e che hanno favorito la mia “evoluzione” che partendo da uno stato di divoratore di fumetti mi ha fatto diventare divoratore di libri, consumatore di RPG e giochi online vari e, allo stato attuale, cialtrone che prova a scrivere qualcosa di suo.
Fra i vari commenti che arrivarono (per i quali vi ringrazio, non è mai semplice rompere gli indugi ed esternare pensieri abbastanza privati. Almeno per me.), ci fu quello di @dulyak :
“Un’anteprima per Lega Nerd?
Tipo uno o due capitoli, o tutto il libro?”
Ne ho discusso con MJM Editore, che ha creduto in me, forte del mio affetto per la Lega Nerd e i Legaioli, ed ecco in esclusiva per voi i primi capitoli del libro Project Mercurio!
Prima di lasciare spazio a Mercurio, Fenice, Falco, Chip, ai membri del FULCRO e alle loro avventure, voglio ringraziare Itomi, lo staff della Lega e voi che mi leggete e leggerete.
Spero non sarete troppo cattivi nei giudizi :D e anzi, spero vi divertiate, in quell’angolo di mondo che la mia mente ha partorito.
Ma vi ho gia rubato troppo tempo! Eccovi a voi le prime righe del mio Project Mercurio.
Project Mercurio – Prologo
Sono seduto sul tetto del duomo di Firenze e guardo sotto.
Circondato da arte pura appartenuta a un’epoca che ormai non c’è più, osservo la vita degli esseri umani scorrere tranquillamente sotto i miei occhi.
Loro, ignari, continuano a passeggiare, a ridere, a vivere e a litigare.
***
È entrato nell’edificio solo un’ora fa, ed è già stato convocato per l’esercitazione.
I suoi passi risuonano per i corridoi bianchi illuminati da neon azzurri, seguendo il tricolore segnato sul pavimento, mentre la radio a circuito chiuso che gli è stata data in dotazione, prende vita
«Bene, signori.»
«Signori? In quanti siamo?»
«Benvenuti nell’edificio governativo che da ora in avanti vi ospiterà. Come vi è già stato illustrato precedentemente dai vostri istruttori, siete stati scelti, dopo un’attenta selezione, per entrare a far parte di questo progetto nazionale, qui troverete risposte alle molte domande che sicuramente vi state ponendo.»
«Sarebbe già un inizio…».
«Ma non questa mattina.»
«Appunto…».
«Stamani conoscerete il resto della squadra cui sarete assegnati, premesso che riusciate a passare il test odierno. Tra pochi istanti vi affaccerete su un percorso di guerra immerso nel buio più totale e vi verranno forniti strumenti adatti alle vostre “attitudini”.»
Mentre la voce dell’interlocutore gli rimbomba nella testa, Marco inizia a dubitare di essere nel posto adatto a lui.
Si trova a passeggiare in un palazzo posizionato fra le colline toscane, non molto distante da Firenze, vestito con quella che sembra essere un’uniforme militare, ma completamente bianca, con stivaletti fatti di un materiale simile a quelli in dotazione all’esercito ma decisamente più confortevoli e si appresta a compiere una esercitazione facente parte di una specie di progetto segreto di cui ignorava l’esistenza fino a due giorni prima.
«L’obbiettivo è semplice, dovrete superare gli ostacoli che vi s troverete di fronte e giungere alla stanza centrale. A quel punto vi saranno date nuove istruzioni. Fate del vostro meglio per sopravvivere.»
A sentire le ultime parole incespica e si ferma per un secondo ad osservare la scena che gli si para davanti: Non molto a dire il vero, una porta metallica con un sensore ottico sulla destra, ma prima d’ora un “non molto” non gli era sembrato mai tanto inquietante.
Istintivamente si volta indietro come per calcolare il tempo che gli servirebbe per uscire da quel luogo, poi si guarda le mani, e con un sorriso sarcastico, si avvicina alla porta posizionando la pupilla all’altezza del rilevatore; pochi istanti dopo e un laser esegue la scansione della retina e la via si apre con un rumore sordo.
Deglutendo, oltrepassa quella soglia, e nel momento stesso in cui lo fa, la porta gli si chiude alle spalle.
Una voce elettronica gracchia all’auricolare: «Marco Fanti, incursore. Alla sua destra troverà tutto il materiale assegnatole, alla sua sinistra un pulsante nero; lo prema e darà inizio alla prova. Fine della comunicazione.»
La stanza è bianca, come la tuta e tutto il resto – il che rende tutto paradossale, quasi si trattasse di un non-luogo avvolto fra le nebbie, come la leggendaria Avalon. Mette ansia. L’unico pezzo d’arredamento si riduce ad un tavolo in vetro azzurro su cui sono adagiati alcuni oggetti: un visore notturno, dei guanti di un materiale che sembra lattice e un pugnale da combattimento.
Conosce abbastanza bene questo equipaggiamento, gli è stato mostrato più volte durante i due mesi di intenso addestramento al campo militare di Pisa.
Sorridendo si aggiusta i capelli neri, indossa il visore, sistema i guanti e lega il fodero e il pugnale al braccio sinistro.
Il cuore batte così intensamente che gli sembra voglia uscire dal petto.
Fino a poco tempo fa non avrebbe nemmeno lontanamente pensato alla carriera militare, sognava solamente una tranquilla vita nel quotidiano caos cittadino, ma il destino aveva giocato con lui e, a suo giudizio, non gli aveva messo davanti molte opzioni disponibili.
Visibilmente scosso dalla tensione, preme il pulsante nero e l’adrenalina viene rilasciata.
Concentrazione.
Il pavimento sotto i suoi piedi si apre improvvisamente e precipita a peso morto per un condotto profondo circa un centinaio di metri; la botola sopra la sua testa si chiude di scatto e la luce non è null’altro che un ricordo.
«La cosa più importante in questo lavoro, ragazzo, è il tempo di reazione e la capacità di saper individuare istintivamente il problema ed eseguire la contromisura più efficace.»
Le parole del suo istruttore gli tornano alla mente e ne comprende appieno l’importanza.
Si cala il visore sopra gli occhi e lo accende, mentre contemporaneamente inizia a rallentare la caduta.
Sotto di lui, caratterizzati dai riflessi verdi tipici della visione notturna, spuntano delle lame.
«Sarebbe stato imbarazzante, al primo ostacolo», pensa fra sé e sé.
Planando in modo soffice poggia i piedi sulla pietra, che nella visione notturna sembrerebbe marmo, e si appresta ad avanzare per l’unica via disponibile, quando dalla radio una voce, mai sentita prima, presumibilmente quella di qualcuno più giovane di lui e dal tipico accento fiorentino, lo mette in allerta: «Fossi in te non avanzerei di un passo, le mattonelle che ti trovi davanti fanno scattare alcune trappole che non riesco a disattivare da qui.»
«Chi sei?»
«Non mi pare il momento adatto per le presentazioni, fa attenzione a quel pavimento, ora chiudo e controllo gli altri.»
«Beh, anche se non ho capito molto, grazie…».
Si gratta la testa osservando la pavimentazione, completamente liscia, senza alcuna linea evidente, davanti ai suoi piedi mentre ulteriori domande si fanno strada fra i suoi pensieri.
Decide di ignorarle.
Staccandosi da terra con apparente semplicità il ragazzo fluttua per tutta la lunghezza del corridoio, fino a giungere ad un bivio.
A destra, la strada si interrompe lasciando il posto ad uno stretto cunicolo dal quale esce un fastidioso odore di gas, mentre a sinistra la via pare libera
«Anche troppo libera…», pensa.
L’indice destro si muove andando a premere un tasto sul visore e in un riquadro in basso a destra appare uno zoom che passa in attenta analisi l’area, e come Marco aveva immaginato, su quelle pareti apparentemente sgombre sono posizionati alcuni fori dai quali partono quattordici fili di materiale semitrasparente a differenti altezze.
«Meglio evitare.»
Ricalibrando il sistema per la visione notturna si inginocchia e osserva la strada a destra: dall’odore il gas sembra essere decisamente metano, quindi il pericolo maggiore sarebbe l’asfissia: presa una boccata d’aria a pieni polmoni, si getta a tutta velocità nella angusta via.
I guanti scorrono sulla liscia superficie senza rilevare nulla, fino a quando non sente un poco rassicurante “click”.
Un portellone chiude la strada alle sue spalle mentre un secondo gas viene immesso nello spazio ristretto: questa volta è ben visibile e l’aria è talmente densa da rendere inutilizzabili i sensori di visione notturna, costringendolo a spegnerli, tanto è forte l’abbaglio creato dal visore in reazione a quel particolare vapore, probabilmente messo li proprio per questo motivo.
Sono passati circa trenta secondi da quando ha respirato l’ultima volta, e la fine di quel corridoio infernale sembra più che mai lontana, quando un provvidenziale ronzio si fa vivo negli auricolari.
«Tranquillo, ci sono io…». La stessa voce di prima.
«…Tra circa venti metri svolta a destra e inizia a salire per altri cinquanta, forse puoi passare da quella parte, ci dovrebbe essere una chiusura ma se la apri sei fuori! Ah, non girare assolutamente a sinistra!»
Senza attendere un secondo di più si getta a capofitto lungo la strada indicatagli, finendo per sbattere su una lastra di metallo sigillata da alcune grosse viti.
Estrae il pugnale e le svita una a una: sessanta secondi dall’ultimo respiro.
Quando l’ultima cade, Marco si lascia andare ad una risata liberatoria, risata che subito gli si tronca in gola poiché il tombino, nonostante tutti i suoi sforzi, non si sposta di un centimetro.
Preso dal panico, oramai quasi senz’aria, interamente sprecata con il precedente eccesso di felicità, inizia a colpire con furiosi pugni l’ostacolo apparentemente invalicabile, usa tutta la forza di cui è capace, tutta la rabbia, fino a quando, inaspettatamente, l’acciaio inizia a muoversi, o meglio, a svitarsi…
Il tonfo del metallo che si schianta a terra, il senso di freschezza dell’aria condizionata che gli sfiora il volto e… due mani che lo afferrano, letteralmente spostandolo di peso.
L’indice corre istintivamente sul visore riaccendendo la visione notturna adesso perfettamente funzionante, rivelando ai suoi occhi increduli un uomo di chiare origini nord africane alto circa 190 cm., di stazza decisamente robusta, capelli rasati, vestito con la sua stessa uniforme bianca e con un altro visore calato sugli occhi.
«Continuiamo.»
Quella singola parola, pronunciata in modo secco e con una voce profonda lo fa suonare più come un ordine che come una richiesta, lo scuote facendolo alzare e guardarsi intorno: una grande stanza spoglia sulla quale troneggia un portone sigillato.
La coppia si avvicina guardinga e quando è oramai giunta a circa un metro di distanza la voce che per prima si era fatta udire alla radio, si fa nuovamente viva:
«Benissimo signori, benvenuti ufficialmente al “FULCRO”.»
Il portone automatico si spalanca silenzioso, la luce che ne scaturisce li obbliga a togliersi i visori.
***
Due furgoni bianchi si dirigono a tutta velocità verso l’ospedale Cardarelli di Napoli. Ne escono alcuni uomini dagli sguardi duri che, in tutta fretta, portano dentro quelli che sembrano essere tre corpi coperti da un velo.
Uno di loro chiama con forte accento partenopeo alcuni medici e infermieri invitandoli a liberare una sala.
Il medico di turno si oppone chiedendo spiegazioni, ma dopo pochissimi secondi un’infermiera trafelata gli porta un cordless dicendo che si tratta di una telefonata di molto importante.
L’uomo in camice bianco non ha nemmeno il tempo di parlare, ma dopo aver ascoltato per una manciata di secondi continuando ad umettarsi le labbra, ringrazia, saluta, chiude la comunicazione e sgombera il campo ai nuovi venuti.
Capitolo 1
Un immenso salone illuminato da quattro neon, con una grande scrivania in legno chiaro sulla quale è appoggiato un PC portatile, si spalanca davanti ai loro occhi.
Sulla destra una imponente bandiera italiana campeggia proprio sopra l’esile figura di un ragazzo di circa vent’anni, dai capelli biondi legati dietro la testa e dalla pelle bianca quasi quanto l’uniforme che ha indosso.
Lui sorride con atteggiamento quasi timoroso e i primi saluti lo rivelano per colui che è venuto in soccorso dell’incursore pochi minuti prima
«Ben arrivati, suppongo che ora avremo delle risposte…».
«Supponi bene.»
La squillante voce di una donna irrompe nella surreale atmosfera creatasi, e quando i tre si voltano notano un’atletica figura femminile dai capelli neri, lievemente mossi che le cadono sulle spalle, alta circa un metro e settanta, vestita con l’uniforme dell’Esercito Italiano, col cappello sotto braccio.
L’uomo robusto e il biondino eseguono istintivamente un perfetto saluto militare, imitati da Marco qualche istante dopo, anche se con risultato lievemente più goffo.
«Il mio nome è Capitano Pischi.»
Non è ancora sicuro di capirci qualcosa e, ingenuamente, il suo sguardo lo rende alquanto palese, mentre il soldato, con tono autoritario, prosegue:
«Sapete già che siete stati accuratamente selezionati per entrare a far parte di un progetto di difesa.»
Gli occhi neri passano in rassegna il gruppetto.
«Adesso vi sarà spiegato tutto.»
Uno schermo al plasma cala sulla parete dietro la scrivania, e dopo essersi acceso inizia a trasmettere una serie di immagini: palazzi in fiamme, cadaveri riversi a terra, autobombe appena esplose, kamikaze impegnati nel decantare le proprie folli idee, mafiosi, funerali di poliziotti e carabinieri, Ground Zero…
La stessa voce che li aveva accolti all’inizio, irrompe nella strana atmosfera della sala:
«Non è un bel mondo, vero? Questo momento storico poi è tremendo… per questa ragione alcuni rappresentanti dell’ONU hanno voluto creare anni addietro il cosiddetto FULCRO.»
Gli occhi di Marco danzano sui volti dei presenti notando l’espressione impassibile del Capitano e dell’energumeno, mentre l’altro ragazzo pare confuso almeno quanto lui.
«Dopo molte vicissitudini passate, il FULCRO è divenuta un’agenzia segreta interna alle altre agenzie e nascosta pure ai membri delle stesse, ma avremo tempo per esaminare i dettagli storici del progetto, adesso veniamo a voi…».
Lo schermo cambia ancora, l’immagine dell’uomo dai capelli rasati, con accanto il suo incredibile stato di servizio.
«Colonnello Nicola Braschi, 35 anni. Attualmente in forza ai NOCS, ha partecipato a 147 operazioni di guerra, 23 operazioni di spionaggio in territorio nemico, parla correntemente 6 lingue ed è un cecchino di prim’ordine.»
L’immagine cambia presentando il biondo:
«Agente speciale Francesco Bonni, 20 anni, attualmente in forza alla Guardia di Finanza, genio informatico e scientifico. La sua mente è considerata fra le più brillanti nell’ambiente militare.»
Altra fotografia:
«Agente Marco Fanti, 21 anni. Attualmente in forza a nessun corpo, scelto per le sue capacità fuori dal comune. Buone conoscenze informatiche. A dire il vero il test odierno doveva essere molto più impegnativo ma suppongo dovremmo rivedere i nostri standard di fronte alle presenti capacità.»
Gli pare di avere tutti gli occhi puntati addosso e inizia a sudare, non aveva mai ipotizzato di potersi trovare a confronto con personaggi simili, la sensazione di essere fuori luogo gli pulsa in testa come il timer di un ordigno, vorrebbe scappare: «Cosa c’entro io con questi… fenomeni?!»
Nuova immagine:
«Capitano Anna Pischi, 26 anni, attualmente in forza al FULCRO, conoscenza del campo, 49 missioni segrete di incursione per conto dell’Esercito, 3 missioni segrete di difesa del territorio per conto del FULCRO, corpo potenziato grazie alla nanotecnologia. Guiderà la squadra.»
«Potenziamenti… cosa?»
Tutti e tre sono a bocca aperta, ognuno di loro era sicuro di aver visto molte cose nelle loro esperienze, ma a quanto pare molto dovevano ancora imparare…
«Questi siete voi, il meglio del meglio, fortemente voluti dal dipartimento italiano dell’Agenzia, presto vi sarà dato tutto il tempo per parlare, confrontarvi e conoscervi, ma prima di lasciarvi, vi comunico che non avrete, d’ora in avanti, gradi militari o differenza di gerarchia all’interno del FULCRO, ma sarete per i vostri compagni e il resto dello staff, Agenti. L’agente Pischi vi illustrerà i primi dettagli di cui dovete essere a conoscenza.
Buona giornata signori, ci aspettiamo molto da tutti voi.»
Il televisore si spegne e ritorna meccanicamente e silenziosamente nel soffitto.
Qualcuno bussa alla stessa porta dalla quale era entrata la donna, un cameriere in livrea bianca entra portando un vassoio con quattro caffè e una bottiglia d’acqua ghiacciata, lascia tutto sulla scrivania e si accomiata senza dire una parola.
«Bene agenti, adesso parliamo un po’ e rilassiamoci…».
La voce della donna adesso è più rilassata anche se sempre autoritaria e decisa.
Quando si siede, chiudendo lo schermo del notebook sulla scrivania, indicando agli altri di fare altrettanto, si sfila i guanti verdi.
Sembra quasi una donna normale, almeno agli occhi del giovane Marco. Ha un folle bisogno di vedere intorno a se persone normali, qualsiasi cosa di minimamente normale.
Il colonnello, prende una delle tazze di caffè in mano: «Ottimo, mi avevano accennato qualcosa di tutto questo, ma adesso sono curioso di capire come mai ci hanno scelto… o per dirla tutta, come mai hanno scelto voi…».
I suoi attenti occhi neri guardano la donna, curiosi: «Soprattutto, capitano, se non manco di rispetto, cosa sarebbero quei potenziamenti nanotecnologici?»
«In parole povere, microtecnologie che sostituiscono cellule e organi umani, permettendo di ottenere prestazioni ben superiori ai limiti della nostra specie… almeno questo in teoria.»
Il giovane scienziato aveva timidamente preso la parola mentre si era lentamente avvicinato alla poltrona e osservava la tazza del caffè davanti a lui. «M-ma… non sapevo che… fossero già stati effettivamente realizzati…».
Lo sguardo pare perso nei suoi pensieri, ma la voce tradisce una certa eccitazione.
«Posso assicurare tutti voi che, almeno a livello militare, è una tecnologia che sta prendendo piede, e funziona perfettamente. Sono stata potenziata qualche anno fa alle braccia e alle gambe, in modo da renderle, all’occorrenza, estremamente potenti. Inoltre, nell’occhio destro è stata impiantata una microcamera termica.»
Bonni si siede di schianto, adesso fissando la militare come se avesse avuto un’apparizione mistica, ma lei senza dargli peso, prosegue: «La faccenda della nanotecnologia è nulla se paragonato a ciò che può fare uno di noi qui presenti. E senza l’ausilio di alcun impianto, per giunta… Il percorso era stato studiato per mettere alla prova il più abile incursore, a cui però sarebbe occorso molto più tempo per effettuare la prova, invece…».
Fanti, che si era quasi scordato delle sue capacità, dopo i racconti appena uditi, resta per alcuni secondi in silenzio, mentre gli occhi dei presenti sono fissi su di lui.
«Beh…», esordisce, mentre un rivolo di sudore gli scende lungo il collo. «Ammetto che mi sento fuori luogo qui, voi siete cosi… professionisti…».
Lo sguardo del tunisino si fa ancora più curioso e aggrotta un sopracciglio, mentre la giovane recluta prosegue con fare impacciato: «Comunque pare che io sia stato baciato da ciò che qualcuno ha definito un dono…».
I suoi piedi si staccano da terra e mentre allarga le braccia, quasi fosse la cosa più normale del mondo, si trova a pochi centimetri dal soffitto: «…so volare.»
Un tonfo sordo e anche il colonnello si siede a bocca aperta.
L’unica dei tre militari a non essere rimasta di stucco è la donna, che dopo una breve sorsata di espresso, decide di interrompere l’imbarazzante silenzio.
«Strabiliante vero? Siamo rimasti tutti cosi quando i satelliti hanno individuato per la prima volta la figura di questa persona librarsi sopra i tetti di Prato.»
«A dire il vero ci sono rimasto male anche io la prima volta che è successo», dice Marco mentre torna dolcemente a poggiare i comodi stivaletti sulle mattonelle di marmo. «Ma poi pian piano mi ci sono abituato… in fin dei conti è un po’ come andare in bicicletta, no?»
Braschi e Bonni scoppiano in una risata.
«Dopo questa, perderei i capelli se non li avessi rasati», dice il primo.
«E io dopo questa breve chiacchierata ho materiale da studiare fino a quando non li avrò persi tutti, i capelli!»
La tensione iniziale pare smorzata e i quattro sorseggiano la loro bevanda calda consci, finalmente di essere stati realmente ben selezionati fra i mille possibili candidati.
«Bene signori», esordisce Pischi, «Avremo tempo per conoscerci in modo approfondito più tardi, a cena.»
Estrae alcuni fogli dalla giacca e li distribuisce: «Come già ci ha comunicato il generale, da ora in avanti lasciamo i gradi conquistati precedentemente per considerarci tutti in ugual modo. Qualcuno fra noi ha maggiore esperienza, è palese, ma dovrà dividerla con gli altri e allo stesso tempo apprendere dai suoi stessi colleghi, oltre che da istruttori selezionati che ci seguiranno e addestreranno durante i prossimi durissimi mesi.»
«I documenti che vi ho appena consegnato…». Li indica. «…vi informano sui primi test che dovrete affrontare, sui corsi che dovrete seguire e su altre piccole faccende organizzative all’interno di questa base segreta. In alto troverete i nomi in codice che vi sono stati assegnati, a seconda delle vostre attitudini o esperienze. Tutto lo staff del FULCRO, siano dottori, preparatori, tattici, inservienti o persone di questa o quella agenzia, non dovranno sapere nulla del vostro passato o della vostra reale identità, per loro sarete solamente:
Francesco Bonni: agente Chip
Nicola Braschi: agente Falco
Marco Fanti: agente Mercurio
Anna Pischi: Agente Fenice
Il perché siano stati scelti lo potete intuire facilmente, ma concentriamoci sul punto focale della questione, leggete i vostri ordini e se avete domande chiedete pure.»
Bonni pero aveva già finito di leggere il suo fascicolo:
«Signora, una domanda.»
«Da oggi sono Fenice per te.»
«Scusi, Fenice. A quanto leggo dovremo restare in questa base bunker per un mese prima di poter uscire, giusto?»
«Esatto, la cosa ti turba?»
«No, affatto, ma mi chiedevo se possiamo avere lo stesso contatti con l’esterno, mi riferisco in particolare con le nostre famiglie.»
«No, Chip, non potete. Come avrai letto, ci sposteremo oggi stesso in un bunker segretissimo nei pressi della città di Firenze. Attualmente siamo a circa cento metri sotto il livello stradale e tutta l’area è interamente protetta da possibili intrusioni militari o indagini satellitari, lo stesso possiamo dire per la nostra prossima destinazione, ma non possiamo promettere le stesse coperture per i vostri familiari o per chiunque vorreste chiamare e, anche involontariamente, potreste coinvolgere.»
La donna fa una pausa e punta gli occhi su Fanti, che la osserva a denti stretti.
«Le vostre famiglie, i vostri conoscenti non corrono alcun pericolo, attualmente, ma comprenderete che si tratta di una forma di prevenzione necessaria.»
Gli occhi del giovane ragazzo si alzano verso il soffitto e fissano un punto indefinito, poi senza spostare lo sguardo:
«Signora… Fenice… avrei bisogno di prendere un po’ d’aria…».
«Comprensibile, ma come già detto non è vi sarà possibile uscire per un po’…».
«Ma…».
«Altre domande? No? Ottimo, ci sono delle auto che vi aspettano per condurvi alla nuova base. Alle ore 20:00 in punto vi aspetto nella sala briefing, dove ceneremo e parleremo.»
La donna, dopo aver fatto un preciso saluto militare, esce con passo sicuro.
«Ho bisogno di una doccia», esclama Chip, idea che trova concorde anche gli altri due, e dopo un cenno di saluto il gruppo si scioglie e gli uomini si ritirano nel privato dei loro silenzi a lottare con i propri pensieri.
***
«Cosa diamine è successo qui?»
«Una esplosione dottore… non sappiamo altro al momento.»
«Condizioni?»
«Non buone.»
Qualora queste poche righe vi abbiano incuriosito o qualora vogliate solamente trovare ulteriori spunti per abbattere il mio ego :D attualmente Project Mercurio (circa 320 pagine) è in vendita su Amazon e altri siti online: