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L’eredità della vecchia Playstation, però, non era completamente morta. A fronte di molti titoli che presentavano soluzioni assolutamente nuove e approcci completamente diversi, vi erano comunque altri videogiochi che proseguivano il cammino iniziato nella generazione precedente. Curiosamente, per quanto vi siano stati porting anche su console, la massima espressione del “Movie Inside a Videogame” avviene proprio su PC. La qualità delle trame esposte arriva a livelli hollywoodiani, tanto da rendere il confine tra videogioco e cinema labile come non mai.
Mafia: The City of Lost Heaven (2002)
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La regia al servizio del videogioco. Difficile trovare un titolo curato come il primo episodio di Mafia. Ingiustamente bollato, soprattutto in Italia, come titolo che favoreggiava la criminalità organizzata egli, in realtà, nascondeva un’anima estremamente delicata, contornata da punte di violenza inevitabili per la storia che si stava raccontando. Una fotografia splendida e un’ambientazione affascinante come la Chicago degli anni trenta (qui chiamata City Of Lost Heaven) facevano da cornice alle vicende di Tommy Angelo, un uomo comune finito all’interno di una storia più grande di lui. Una trama eccellente, fortemente orientata sul concetto di equilibrio, più volte esposto durante la narrazione, che porterà i nostri eroi/antieroi a combattere sia contro i propri nemici ma, soprattutto, contro sé stessi.
Perché è arte: trama di altissimo livello, musiche impeccabili, regia praticamente cinematografica, realizzazione di prim’ordine, emozionante, coinvolgente. Un film, ma interattivo.
Max Payne (2001)
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Altro titolo che poté affermarsi con forza in quest’epoca fu Max Payne, videogioco dalle fortissime tinte pulp nel primo, indimenticabile, capitolo e noir nel secondo, non altrettanto memorabile episodio. Tarantino probabilmente lo avrebbe amato se fosse stato un game designer, tanto era ispirato nella trama e nei dialoghi. Da ricordare per vari motivi, dall’introduzione del bullet time di matrixiana memoria, agli onirici viaggi introspettivi di Max, fino alle bellissime cut-scene realizzate in pieno graphic novel style. Invece di quella schifezza di film che hanno realizzato, avrei voluto vedere Snyder all’opera su questo titolo. Potenzialmente era perfetto, per il suo stile.
Perché è arte: sparatorie epiche come se fossero coreografie, introspettivo e angosciante, coinvolgente, dotato di un ritmo assolutamente invidiabile, trama non particolarmente originale ma raccontata in modo perfetto, tavole realizzate a regola d’arte.
Titoli da menzionare: Fahreneit.
Arriviamo così ad un’altra forma di arte che si sviluppò proprio in questo periodo, probabilmente una delle più difficili da creare ma, al contempo, una di quelle maggiormente soddisfacenti sotto un profilo prettamente qualitativo. Parlo, ovviamente, della “Introspective Art”. Un videogioco, in poche parole, capace di trasmettere qualcosa che vada ben aldilà di ciò che possiamo effettivamente vedere e che tocchi più il nostro animo, che la nostra vista.
ICO (2001)
È il gioco preferito di John Greenwood, chitarrista dei Radiohead, già questo dovrebbe dirci qualcosa. Il viaggio di Ico è in assoluto l’esempio perfetto d’ntrospezione videoludica. Il gioco non è più semplicemente un fine ma un mezzo, necessario al giocatore per provare emozioni che difficilmente aveva avuto modo di sentre prima di allora (forse solo Another World ne era stato un precursore). La delicatezza del gameplay, la fragilità di Yorda, i momenti poetici della narrazione sono tutte caratteristiche che aggiungono valore a questo meraviglioso titolo. Ogni passo, ogni scorcio, è parte integrante dell’emotività che vuole trasmettere. Si gioca un po’ con sé stessi, interagendo con Ico.
Perché è arte: altissima introspezione, emotivamente coinvolgente, design elegantissimo, tocca le corde dell’anima, innovativo.
Shadow Of The Colossus(2005)
Seguito spirituale di Ico è un vero e proprio capolavoro almeno quanto il suo predecessore ma, forse, più difficile da comprendere. Le lande spoglie che compongono il paesaggio infatti, sono fortemente volute. È il giocatore a riempirle con le proprie emozioni, la grafica non è che un tramite per portare l’utente a respirare un’atmosfera di solitudine e malinconia costante, come quella che il protagonista stesso prova. La caccia dei giganti è altrettanto emozionante, con un design chiaramente perfetto e che ricorda i grandi capolavori fantasy del passato, anche se dotati di una direzione decisamente più onirica. Viene persino citato in “Reign Over Me”, interessante film di Mike Binder che condivide il proprio viaggio introspettivo con il protagonista di Shadow Of The Colossus.
Perché è arte: altissima introspezione, sensazione di solitudine unica nel suo genere, emozionante, poetico.
Qua il trailer di entrambi i titoli:
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Infine, una menzione speciale ad un titolo uscito proprio alla fine del ciclo della Playstation 2:
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Uscito praticamente in sordina, Ōkami rappresenta l’essenza dell’illustrazione in formato videoludico. Difficile dare una dimensione artistica a questo titolo, come fatto in precedenza con gli altri. Ciò è dovuto ad una sua particolare caratteristica, ovvero quella di essere un vero e proprio quadro in movimento. Se prima gli accostamenti pittorici erano volutamente forzati e relativi soltanto all’ideologia che portavano al loro interno, in Ōkami questo collegamento è tanto forte quanto evidente. Lo stesso stile grafico richiama fortemente le tipiche illustrazioni giapponesi ad acquerello, donandogli così un’eleganza e una delicatezza veramente invidiabile. Un gioco, insomma, che meriterebbe di essere letteralmente incorniciato ed appeso, piuttosto che essere inserito in un contesto tecnologico, ma freddo, come la televisione. Meraviglioso.
Perché è arte: trama d’alto livello, graficamente è meraviglioso, personaggi ben caratterizzati, emozionante.
Articolo di Code2 su Ōkami qui.
Episodi precedenti: Albori-1990 | 1990-1995 | 1995-2000 | 2000-2005 (prima parte)
Ps. Finalmente, dopo tre settimane, posso tornare a scrivere su LN!