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Nessuno è immortale.
Questa frase vale tanto per gli esseri umani, quanto per le console. La Playstation, vera e propria dominatrice del mercato degli anni novanta, finì così il suo ciclo, probabilmente uno dei più floridi se non il più florido di tutti i tempi. La regina era morta, ma non il mercato dei videogiochi che, invece, era in continua ed inarrestabile espansione.
La commercializzazione del prodotto proseguiva sempre più veloce e irrefrenabile ma il mercato riservava ancora molte sorprese, alcune diventate vere e proprie opere d’arte, altre semplice culto e altre ancora arrivate persino ad influenzare l’industria videoludica moderna.
Riordiniamo, però, il materiale a nostra disposizione, indicando le linee guida che il videogioco “artistico” si ritrovò a tracciare in questo determinato periodo storico. Per primo è quasi impossibile non notare come la riproduzione virtuale del mondo reale fosse la nuova frontiera e il nuovo albero della cuccagna per tutta l’industria. Nasceva quindi il concetto di “sandbox game” e con esso l’idea di “Arte Come Rappresentazione Della Realtà”. Accostandolo alla pittura, possiamo definire questo filone quasi come classico, volto unicamente alla ricreazione più possibilmente fedele del mondo in cui viviamo.
Vediamo, quindi, alcuni esempi pertinenti a quest’ordine:
La serie di GTA (2001)
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Il suo avvento fu come un meteorite all’interno dell’ambiente interattivo, distrusse letteralmente la concorrenza schiacciandola sotto la forza dei suoi poligoni e, come ogni società che nasce a seguito di una catastrofe, riscrisse completamente le regole del gioco. Seguire una serie di livelli concatenati era ormai preistoria, ognuno voleva decidere come e quando affrontarli, magari perdendosi completamente nell’ambiente di gioco tra una missione e un’altra, semplicemente svagandosi senza limitazioni. Oggi può sembrarci normale, ma allora fu qualcosa di strabiliante, anche grazie all’implementazione della grafica 3D che permise un livello d’immersione mai raggiunto dagli episodi precedenti.
Perché è arte: massima libertà al giocatore, ha aperto la via dei sandbox games ed è sempre stato dotato di una profonda ironia, in ogni suo episodio. Mondo palpitante e vario, musicalmente sempre ai massimi livelli.
Shenmue (2000)
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Quando si parla di sandbox games non è possibile non citare questa vera e propria perla del passato. Shenmue è stato il capostipite del genere, nonché uno dei principali motori di innovazione per quanto riguarda l’industria videoludica. Graficamente superbo per l’epoca, elegante e, cosa da non sottovalutare, dotato di una trama che si dipanava alla perfezione lungo l’arco della narrazione, tra indizi e avventure, Shenmue rendeva alla perfezione il concetto di libertà virtuale. Oltre all’avventura principale, infatti, era possibile seguire varie missioni secondarie e minigiochi, particolarità implementate poi in numerosi altri titoli usciti successivamente. Ma la vera innovazione si celava in un’altra sua caratteristica, ovvero il QTE (Quick Time Event). Oggi diffusi peggio di un virus influenzale all’interno dei videogiochi, all’epoca rappresentavano una vera e propria rivoluzione che rendeva assolutamente cinematografica l’esperienza di gioco, senza però renderla inflazionata o dipendente da quest’ultimi. Un dosaggio d’ingredienti perfetto, per un titolo che è un vero e proprio capolavoro.
Perché e arte: riproduzione della realtà impressionante, introduzione dei QTE, ambiente di gioco poetico, trama avvincente e narrata elegantemente, colonna sonora favolosa, riproduzione del clima in tempo reale (pioggia, sole, neve).
The Elder Scrolls III: Morrowind (2002)
[more]Trailer di Morrowind[/more]
Poteva esistere qualcosa di altrettanto esteso in ambito ruolistico? Ebbene sì e il suo nome è ancora oggi il punto di riferimento per quanto riguarda il mondo dei Giochi Di Ruolo. Morrowind apriva le porte di un mondo vastissimo, ricco di dettagli, vario e dotato di un numero indefinito di caratteristiche quali armi, dungeon, ambienti da esplorare e nemici da incontrare. Da sottolineare la possibilità di dialogare praticamente con chiunque oltre a poter uccidere qualsiasi essere vivente presente, Dei compresi. Una libertà che difficilmente abbiamo avuto modo di respirare nuovamente, così come una delle ambientazioni più affascinanti che abbiamo mai potuto esplorare. Un capolavoro che ancora attende di essere eguagliato.
Perchè è arte: ambientazione enorme, libertà praticamente assoluta, storia avvincente, quest secondarie praticamente infinite, musiche ispirate, emozionante come un viaggio vero.
I videogiochi, ovviamente, non erano solo libertà e lustrini, oltre che cloni delle meccaniche appena citate, fortunatamente. Altre correnti di pensiero andarono a svilupparsi, alcune fortemente caratterizzate da un profilo prettamente visuale e concettuale, completamente distaccate dalla mera riproduzione della realtà che ci circonda. Nasce la “Visual Videogame Art” che fa delle proprie produzioni un folle viaggio psichedelico, volto a stupire il giocatore più per le trovate artistiche che per l’emotività stessa dell’esperienza. È l’occhio la parte che viene più colpita, coadiuvata, spesso, da un reparto sonoro in grado di sostenere le soluzioni grafiche applicate. Il giocatore, insomma, si ritrova a giocare all’interno di una vera e propria opera d’arte visuale, modificandone i contenuti, scoprendo mano a mano le interessanti grafiche escogitate dai designers che lo hanno programmato. Non è troppo distante, se ci si pensa bene, dalle installazioni interattive, in ambito artistico.
Rez (2001)
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È davvero un semplice videogioco? Me lo sono chiesto più volte e ho sempre trovato di difficile interpretazione un’eventuale risposta. REZ, infatti, è veramente qualcosa di unico nel suo genere, un titolo che trascende il semplice concetto di videogioco e che lo trasmuta a tal punto dal renderlo un’esperienza contemporaneamente divertente ed onirica. Graficamente incredibile, dotato di soluzioni innovative e concettualmente soddisfacenti, esso faceva del design il suo fiore all’occhiello, nonché la base su cui si sosteneva l’intero concept di gioco. Un’esperienza unica, fatta di colori sgargianti e da musiche minimal immersive. È davvero difficile descriverlo alla perfezione, possiamo solo dire che esistono videogiochi divertenti, esistono videogiochi immersivi, esistono videogiochi emozionanti. Poi c’è REZ.
Perché è arte: Design, musica, giocabilità di altissimo livello, serve altro? È un’opera moderna interattiva, non un semplice videogioco.
Killer 7 (2005)
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Altro gioco, altro esempio. Killer 7 possiede tutte le caratteristiche necessarie ad elevarlo dallo status di semplice prodotto di intrattenimento. Ogni caratteristica della “Visual Videogame Art” è qui presente, partendo dalla raffinata grafica in cell shading, che non si risparmia dal proporre anche soluzioni vettoriali e cambi di scena innovativi, fino ad arrivare alle musiche elettroniche, minimali, ripetitive ma dannatamente coinvolgenti. Non un titolo perfetto, forse, sotto il profilo della giocabilità, come lo era REZ, ma sicuramente un videogioco capace di regalare incredibili scorci artistici e di design durante tutto l’arco della partita.
Perché è arte: soluzioni grafiche innovative, design curato, musiche coinvolgenti e di alta qualità, storia assurdamente psichedelica.
Titoli da menzionare: Viewtiful joe(articolo scritto da Drugo).
Ps. Spero che il nuovo formato della rubrica venga apprezzato, ho cercato di rendere il tutto più semplice e immediato.
Episodi precedenti: Albori-1990 | 1990-1995 | 1995-2000