Il mercato cinese delle auto elettriche sta implodendo?
Lo sostiene una lunga inchiesta del The Atlantic, secondo la quale i produttori starebbero facendo carte false, inondando il mercato di finte auto usate, per rispettare ritmi di produzione sempre più irragionevoli.

Dietro l’immagine scintillante dell’auto elettrica cinese si nasconde una realtà molto più fragile. In tutto il Paese è ormai comune acquistare vetture “usate” che, in realtà, non sono mai state guidate. È una conseguenza diretta della guerra dei numeri che travolge il settore: per raggiungere gli obiettivi di vendita, molti costruttori vendono le auto ai concessionari, che le registrano come “vendute” pur senza alcun cliente reale. Queste stesse vetture finiscono poi sul mercato dell’usato, a prezzi fortemente scontati.
Il fenomeno, tanto diffuso da spingere il Partito Comunista Cinese a intervenire, è stato criticato persino dal quotidiano ufficiale People’s Daily, che ha parlato di una pratica che “distorce fortemente il mercato”. Secondo The Atlantic, sarebbe il sintomo di una crisi profonda che rischia di danneggiare permanentemente uno dei settori simbolo del successo industriale cinese.
Una fase di involuzione
Dopo anni di sussidi e investimenti pubblici, l’industria dei veicoli elettrici è entrata in una fase di involuzione, come la chiamano gli analisti cinesi per eludere la censura economica. Il Paese conta 46 marchi di auto elettriche attivi, troppi anche per la seconda economia mondiale. Colossi come BYD, Nio, Xpeng e nuovi arrivati come Xiaomi si contendono un mercato saturo, dove le aziende tagliano i prezzi per sopravvivere, comprimendo i margini fino quasi a scomparire.
Il problema nasce proprio dal successo della strategia statale: tra il 2009 e il 2023, Pechino ha investito oltre 230 miliardi di dollari in sussidi al settore, spingendo la crescita a ritmi insostenibili. Le autorità locali, temendo la perdita di posti di lavoro, continuano a salvare aziende in perdita. È accaduto a Nio, salvata nel 2020 dal governo di Hefei, e a WM Motor, rimessa in moto grazie a fondi pubblici. Ma molti costruttori continuano a bruciare capitali — Nio ha perso 1,6 miliardi di dollari solo nella prima metà del 2025.
Questa dinamica mostra il lato oscuro del modello economico dirigista cinese: l’intervento costante dello Stato tiene in vita imprese non redditizie e alimenta un eccesso di offerta. Pur di mantenere le fabbriche attive, il governo preferisce sostenere artificialmente la produzione, anche se ciò significa gonfiare una bolla industriale pronta a esplodere.
I dazi non aiutano
Sul piano internazionale, la situazione si complica ulteriormente. Gli Stati Uniti hanno imposto dazi del 100% sulle auto elettriche cinesi, seguiti da Unione Europea, Canada e Turchia, che hanno innalzato le tariffe per proteggere le proprie industrie. Il rischio è che i produttori cinesi, tagliati fuori dai mercati chiave, non riescano più a sostenersi senza aiuti statali.
L’analista Gregor Sebastian del Rhodium Group stima che Pechino spenda circa il 3% delle entrate fiscali centrali per sovvenzionare il settore automobilistico, un livello difficilmente sostenibile a lungo termine.