Spotify “resuscita” gli artisti: così l’AI veniva usata per ingannare gli utenti
Spotify travolto dalle polemiche: pubblicati brani AI con il nome di artisti morti. L’industria musicale chiede più trasparenza e tutela per i veri autori.

Spotify è finita al centro di un nuovo scandalo legato all’intelligenza artificiale dopo che sono stati scoperti brani generati al computer pubblicati a nome di artisti ormai scomparsi, senza alcun consenso da parte delle loro famiglie o delle etichette discografiche. L’inchiesta, condotta da 404 Media, ha rivelato che il colosso dello streaming musicale ha ospitato sui profili ufficiali di musicisti deceduti canzoni create da un’intelligenza artificiale, con titoli e sonorità vagamente simili allo stile originale degli artisti — ma completamente apocrife.
L’AI ruba l’identità ai morti
Il caso più emblematico riguarda Blake Foley, cantante country assassinato nel 1989, sul cui profilo è comparso un brano intitolato Together, attribuito a lui. L’immagine del pezzo mostrava un giovane biondo che non somigliava affatto all’artista reale. Un altro esempio è Happened To You, pubblicato come se fosse stato eseguito da Guy Clark, vincitore di un Grammy e scomparso nel 2016. Entrambi i brani sono stati ricondotti a un account chiamato “Syntax Error“, dietro cui si cela una vera e propria produzione industriale di musica AI travestita da reale.
Spotify ha rimosso i contenuti incriminati solo dopo la pubblicazione dell’indagine, ma il problema è molto più ampio. Il mese scorso, un finto gruppo chiamato Velvet Sundown ha raggiunto quasi due milioni di ascolti con una canzone AI che richiama Dust in the Wind dei Kansas, del 1977. E sebbene la bio della band indichi ora che si tratta di un “progetto musicale sintetico”, Spotify non segnala da nessuna parte che si tratta di musica generata artificialmente.
I brani AI devono venire segnalati?

Il CEO di Spotify Daniel Ek ha mantenuto una posizione permissiva sull’uso dell’IA, affermando che i brani sono accettabili finché non imitano artisti reali. Tuttavia, l’effettiva capacità della piattaforma di identificare e rimuovere questi contenuti resta discutibile. Gli strumenti come Suno e Udio consentono oggi di generare interi brani partendo da un semplice prompt testuale, e le major discografiche denunciano che questi modelli vengono addestrati usando opere coperte da copyright senza compensi per autori e detentori dei diritti.
Sophie Jones, dirigente della British Phonographic Industry, ha chiesto nuove tutele per gli artisti, definendo la proliferazione di band AI una minaccia diretta all’arte umana e un chiaro esempio di uso improprio dei contenuti creativi a scopo commerciale. In parallelo, emergono dubbi anche sul piano etico: spacciare contenuti generati da IA come opere di artisti defunti rischia di ingannare il pubblico e danneggiare la memoria degli artisti stessi.
Al momento, solo Deezer ha fatto passi concreti verso una maggiore trasparenza. Il suo algoritmo riconosce brani creati da IA e li etichetta chiaramente, segnalando una linea guida responsabile e rispettosa sia dell’industria che degli utenti. Non ci stupirebbe se Spotify decidesse di implementare qualcosa di simile molto presto. Nel frattempo, Spotify stessa sta investendo sull’AI per scopi più sani, ad esempio attraverso la creazione di playlist altamente personalizzate.


