La crisi di Netflix: le cause e cosa sta provando a fare per rialzarsi

Il mese scorso Netflix ha comunicato i deludenti risultati del primo trimestre finanziario del 2022. Per la prima volta in dieci anni, Netflix ha perso 200.000 abbonati. Non solo: il colosso si aspetta di perderne altri 2 milioni nel corso dei prossimi mesi. La notizia ha portato ad un rovinoso crollo in borsa dell’azienda, che in pochi giorni ha perso oltre 70 miliardi di dollari. Dall’inizio dell’anno le azioni di Netflix hanno perso il 60% del loro valore.

Neflix ha cambiato il mondo dell’intrattenimento, aprendo le porte di un nuovo mercato che fino a pochissimi anni fa non esisteva. Ha ucciso colossi come Blockbuster e ha costretto le grandi major a ripensare completamente le loro strategia di distribuzione. Ha anche offerto a milioni di persone la possibilità di accedere a milioni di ore di contenuti ad un prezzo simile a quello di una cena fuori. Ora quel modello è in crisi, e la paura è che le difficoltà di Netflix contagino l’intera industria dello streaming on-demand.

Russia, dopo-covid ed incertezze economiche: la tempesta perfetta

Netflix non è l’unica grande azienda tech ad aver perso colpi. Basta aprire un qualsiasi bollettino della borsa per venire sommersi dal profondo rosso dei titoli in perdita. È difficile individuare un solo fattore responsabile del crollo di Netflix, e sicuramente nell’immediato ha pesato moltissimo la sospensione del servizio in Russia, dove aveva oltre 700mila clienti paganti.

E poi c’è il ritorno alla normalità nel post-covid, un periodo nero che aveva indebolito tutti. Tutti fuorché i giganti del tech. All’epoca si parlava di stay-at-home-stock, le azioni delle aziende che avrebbero beneficiato dalle schiere di milioni di persone costrette a stare a casa tutto il giorno. Una corsa all’intrattenimento digitale, ma anche ai social e alle piattaforme per il telelavoro.

Ad aprile del 2020, dopo le prime quarantene, Netflix aveva guadagnato oltre 15 milioni di nuovi iscritti. Ora la sbornia dei lockdown è finita, e la gente è tornata a fare quello che sognava da anni di poter fare: uscire con gli amici, viaggiare, toccare la proverbiale erba, per rubare dallo slang del web. E il tempo da destinare agli schermi è diminuito. Morale: tutti contenti. Tutti fuorché le aziende tech.

Netflix sta venendo divorata dal mercato iper-competitivo che ha creato

E poi c’è la concorrenza. Netflix sta vendendo risucchiata dal settore iper-competitivo che ha contribuito a creare. Disney+, Prime Video, NOW TV, Peacock, Infinity e Apple TV+. E ci stiamo limitando a citare esclusivamente i servizi attivi in Italia, all’estero l’offerta è ancora più agguerrita ed include, tra gli altri, anche i servizi di HBO/Warner e Paramount. C’è un dettaglio da menzionare: praticamente tutte queste piattaforme costano meno di Netflix.

Altra nota margine: mesi fa c’era chi si era illuso che il covid avesse dato la mazzata finale ai cinema, ma non è andata così. Anche i cinema sono tornati a ruggire, tant’è che un colosso come Disney ha dovuto ripensare completamente i suoi piani per la distribuzione. Addio alle release simultanee ai cinema e in streaming on-demand: colpa della pirateria informatica.

E perfino Netflix ha dovuto capitolare, annunciando che avrebbe aumentato le release cinematografiche di alcuni dei suoi film di punta (come Bardo, ultima commedia di Iñárritu). «In gioco c’è una guerra tra mitologie diverse», scriveva il critico Owen Gleiberman su Variety poche settimane fa. Da una parte la nuova mitologia – quella del cinema digitale, trasmesso sui piccoli schermi di casa e talvolta perfino su quelli piccolissimi degli smartphone -, dall’altra il pantheon hollywoodiano che ha il suo spazio naturale nelle sale cinematografiche. «Per anni Netflix ci ha venduto l’idea che i film visti a casa hanno lo stesso identico valore di quelli guardati al cinema», continua il critico. Ora quel messaggio ha completamente perso di forza. C’entra con la crisi degli iscritti? Non necessariamente, ma è un altro importante segnale di fatica da parte del colosso dello streaming.

Pubblicità, basta condivisioni e nuovi contenuti: il piano per rilanciare Netflix

Netflix ovviamente non ha nessuna intenzione di stare a guardare mentre il suo impero crolla rovinosamente. Il colosso ha già annunciato un pacchetto di nuove strategie, con l’obiettivo di recuperare i vecchi abbonati e guadagnarne di nuovi. E non solo: c’è anche l’annosa questione di far pagare tutti (e proprio tutti) gli utenti che usufruiscono del servizio.

Partiamo da qui: Netflix ha già annunciato di voler uccidere il fenomeno delle condivisioni delle password. Era uno dei principali punti di forza dell’azienda, tant’è che in passato Netflix ci aveva pure scherzato pubblicamente. Il colosso sa benissimo che gli abbonamenti vengono spesso condivise tra una mezza dozzina di persone, tra amici, fidanzati e fidanzate, oltre che parenti alla lontana. Tutto questo andava bene all’azienda, che per molti anni ha scelto di chiudere un occhio sulla condivisione degli account — che comunque era esplicitamente vietata dai termini del servizio.

Ma ora cambia tutto. Lo scorso 16 marzo Chengyi Long, IL director of product innovation di Netflix, ha annunciato che la piattaforma avrebbe testato una sorta di ‘tassa sulle condivisioni’ in tre diversi paesi: Cile, Costa Rica e Peru. In breve: gli utenti potranno ancora condividere lo stesso account con un massimo di due persone non appartenenti al loro nucleo familiare, per per farlo dovranno pagare un extra. Inoltre ogni utente avrà le sue credenziali d’accesso, non dovranno più usare tutti la stessa password. Il costo varia da paese a paese: in Costa Rica gli utenti dovranno pagare un po’ meno di 3€ al mese. Recentemente Netflix ha annunciato che l’esperimento verrà esportato in tutto il mondo, Italia inclusa, entro la fine del 2022.

Prima di farlo, Netflix introdurrà anche una seconda grande novità, cioè il suo chiacchierato nuovo abbonamento con le pubblicità. Costerà un po’ di meno degli attuali pacchetti, ma gli utenti dovranno guardare delle interruzioni pubblicitarie ogni tot ore di visione. È un compromesso con il quale Netflix spera di aumentare il suo bacino di abbonati, includendo anche quelle persone che fino ad oggi erano state scoraggiate dai prezzi (sempre più alti) del servizio. Anche Disney+ ha scelto questa strada. Il nuovo abbonamento e la tassa sulle condivisioni dovrebbero arrivare grossomodo nello stesso periodo dell’anno, ossia tra ottobre e dicembre.

In passato Reed Hasting, co-fondatore e CEO della compagnia, aveva annunciato agli investitori che Netflix avrebbe provato ad introdurre la pubblicità solamente nei prossimi anni, non prima del 2024. Il fatto che recentemente l’azienda abbia confermato ai suoi dipendenti che la novità arriverà tra pochi mesi è un ulteriore segnale di come l’azienda sia in difficoltà. «A parte Apple TV+, praticamente ogni altro servizio ha già o ha annunciato di voler introdurre un nuovo abbonamento con le pubblicità», si legge nella lettera inviata allo staff. «Per ovvi motivi, le persone vogliono avere offerte più economiche».

La verità è che nessuna di queste due novità è una buona notizia per gli abbonati. A nessuno piace la pubblicità e a nessuno piace pagare di più per qualcosa che oggi ha gratuitamente (o quasi). Così l’azienda sta anche continuando ad investire nelle sue produzioni, con l’obiettivo di rafforzare il suo catalogo con una serie di prodotti sperimentali. Tra questi dovrebbero esserci anche i primi eventi trasmessi in diretta. Per il momento non sembra che questo preveda gli eventi sportivi, che invece sono nel mirino di Prime Video e Apple TV. «Non dico che non ce ne occuperemo mai, ma al momento non ci sembra profittevole», aveva spiegato il mese scorso Ted Sarandos, co-CEO della società. Tradotto? I diritti costano troppo e non è detto che questi costi si traducano in nuovi abbonati e nuove entrate. Piuttosto, Netflix è più interessata a trasmettere alcuni eventi di stand-up comedy. Tra gli altri candidati, si parla anche dei reality (come l’apprezzato The Circle) e dei talent show, che offrirebbero entrambi la possibilità di introdurre una qualche forma di interazione con il pubblico. Il sospetto è che nemmeno questo sarà sufficiente.

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