Quando era stato annunciato un volerci riprovare con The Suicide Squad dopo il disastro del 2016 di David Ayer, il brividino dietro la schiena è arrivato un po’ per tutti quanti. Nonostante la regia del caro e fidato James Gunn, “acciuffato” dalla DC nel momento di rotta con la Disney in seguito alla polemica che vedeva Gunn nell’occhio di un ciclone di tweet piuttosto violenti di una dozzina d’anni prima, la paura era effettivamente dietro l’angolo. E poi diciamocelo, qualsiasi film annunciato dalla DC fa venire i sudori freddi visti i non sempre particolarmente brillanti precedenti.
Oggi, invece, con questa recensione di The Suicide Squad – Missione Suicida possiamo davvero affermare che i miracoli esistono e che James Gunn ha firmato il miglior prodotto del DC Cinematic Universe e uno dei migliori cinecomic da quando questa parola è stata coniata.
Due ore e un quarto di puro delirio, violenza e divertimento. Un film di senso compiuto (incredibile ma vero) che intrattiene, diverte e sa anche appassionare senza perdere mai, e dico davvero mai, un colpo. I personaggi sono moltissimi è vero, ma al di là della loro permanenza su schermo, vengono tutti trattati con estremo rispetto. Tutti caratterizzati e approfonditi come se dovessero essere presenti dall’inizio alla fine. E questo è molto importante con il pubblico che può empatizzare, affezionarsi e, quindi, anche soffrire di più!
Non credevo che lo avrei mai detto con un film di questo tipo ma James Gunn si supera come regista e come autore, mostrando la sua anima da incurabile nerd, amante dello splatter e dell’azione; ma, soprattutto, la sua maestria nel gestire una storia, una pellicola e dei personaggi, non particolarmente semplici. Padrone dall’inizio alla fine del progetto, tiene le redini e ci rivela un universo che fa brillare gli occhi e ci fa un po’ sentire come Gene Wilder nei dott. Frederick von Frankenstein nell’iconica pellicola Frankenstein Junior di Mel Brooks e il suo intramontabile:
Si può fare!
Ne I Guardiani della Galassia lo abbiamo sicuramente amato e sappiamo quanto James Gunn sia abile nella gestione di un cast corale, visto lo splendido lavoro fatto in entrambe le pellicole della saga (in attesa di vedere il terzo) ma qui siamo ben oltre le più floride aspettative.
È indubbio che il regista statunitense abbia avuto “carta bianca” da parte della Warner Bros. e della DC, rispetto a quanta ne abbia mai avuta lato Disney Marvel, e ha saputo sfruttare al massimo ogni paletto caduto, ogni limite da poter superare, ogni concessione.
Dimentichiamo il 2016. Anzi, ricordiamocelo per un breve istante solo per dire: avete presente il film di David Ayer? Perfetto: l’esatto opposto! Si, il The Suicide Squad di James Gunn è esattamente quello che avremmo voluto vedere e avere da Ayer con il suo Suicide Squad e che non abbiamo ottenuto. Prima di tutto un film. Si, perché diciamo anche questo, salvo la prima parte della pellicola di Ayer, la seconda parte è tutto meno che un film.
Adesso però dimentichiamoci il passato, i brutti ricordi e i brutti film e volgiamo lo sguardo sul presente e sulla folle, stralunata e sgangherata squadra di criminali suicidi messi su da una sempre più cinica, algida e senza scrupoli Amanda Waller (Viola Davis) e lanciamoci, più nello specifico, in questa recensione di The Suicide Squad – Missione Suicida.
Brutti (o quasi), sporchi e cattivi
I peggiori criminali dell’Universo DC vengono riuniti, ancora una volta, da Amanda Waller per fronteggiare quella che sembra una minaccia per tutta l’umanità: il progetto StarFish. La squadra capitana da Rick Flag (Joel Kinnaman), con l’immancabile Harley Quinn (Margot Robbie), ci lascia intendere che la Suicide Squad sia stata messa in piedi in più di un’occasione, senza però fare collegamenti con le pellicole precedenti – eccezion fatta per quel paio di attori che hanno riconfermato i loro ruoli.
Questo particolare atteggiamento di intesa che fin dall’inizio si percepisce da alcuni membri è già un buon punto di partenza per gli spettatori. Gunn mette le radici di un rapporto di complicità che va subito anche a coinvolgere lo spettatore e che, man mano che proseguono i minuti, si diffonde lungo tutti i personaggi. Ovvio che qualcuno vi resterà nel cuore più degli altri – si, King Shark, parlo proprio di te – ma complessivamente la relazione instaurata è ottima con tutti dall’inizio alla fine.
Questo lascia intendere anche lo studio intenso che Gunn ha fatto sia sulla storia che su suoi personaggi. Fermo restando che la storia – nella sua follia – è sempre molto bilancia, ma il motore trainante di tutto sono proprio i personaggi. E ciò che più mi ha piacevolmente stupito è il fatto che nessuno “mangi in testa all’altro”. Cosa intendo? Che sono tutti perfettamente bilanciati. Nessuno è più preponderante dell’altro oscurando il resto, ma tutti hanno il loro spazio vitale, la loro porzione di palcoscenico, riuscendo a restare impressi e, al tempo stesso, senza oscurare gli altri. In parole povere? Fin dall’inizio James Gunn dimostra una grande lavoro di sceneggiatura.
Ma andiamo avanti con qualche altra linea di trama. Dicevamo che in base alla difficoltà della missione, la Waller è pronta a tirare fuori dalla bocca dell’Inferno la feccia della feccia, scendendo al loro stesso livello pur di ottenere il proprio obiettivo. E non le importa quante teste dovranno volare, la missione prima di tutto!
Ci ritroviamo ben presto sommersi da personaggi, da violenti criminali, ad alieni, passando per metaumani ed esseri antropomorfi. Senza cadere mai nel didascalico, ma con una semina ben costruita e qualche piccolo flashback, veniamo informati di nomi e poteri – i quali arrivano tutti al momento giusto. Non si perde altro tempo, si comincia subito nel pieno dell’azione. Un’azione particolarmente sanguinosa e violenta. Si, perché fin dal minuto 0, James Gunn sembra volerci dire che qui non si scherza per nulla e quando era stato detto che The Suicide Squad – Missione Suicida sarebbe stato un film con un discreto uso di sangue, cervella e violenza, non si stava ingigantendo la cosa neanche per nulla.
Un po’ un ritorno alle origini del cinema di James Gunn, veniamo catapultati in un frullatore bizzarro di esplosioni, arti volanti, viscere disseminate un po’ ovunque e geyser di sangue. Così de botto, senza senso, come diretto gli sceneggiatori di Boris, ma in realtà il senso qui c’è, c’è proprio tutto. Giustamente la Suicide Squad è una squadra suicida, che non ha più nulla da perdere, disposta a tutto (o quasi) per arrivare all’obiettivo designato pur di avere uno sconto sulla pena. Pertanto la violenza deve essere la parola chiave di questo gruppo di folli e Gunn la fa diventare il centro del film.
Da King Shark a Star Fish: l’amore per la Troma non muore mai
Fin dalla sua messa in scena, dalla scelta di una fotografia dal gusto vintage e dal cuore pop, da una CGI che elogia il mostro, il deforme, la creatura posta nel nucleo cittadino e che improvvisamente distrugge tutto con innata ferocia e gusto per la distruzione, combattuta da un gruppo strampalato di personaggi, James Gunn fa vivere tutto il suo amore per il cinema, quello di serie A e di serie B, quello di quell’industria indipendenti di film a basso costo con mostri, azione, scene irriverenti, scorrette e ironia scomoda, il cui cuore batte nella Troma Production fondata nella metà degli anni ’70 da due veri geni pazzi “criminali”, Lloyd Kaufman e Michael Herz.
Del resto Gunn e molti altri registi come per esempio Oliver Stone, Brian De Palma o attori dalla caratura di Robert De Niro, Samuel L. Jackson, Kevin Costner, devono i loro esordi proprio alla Troma.
The Suicide Squad nel suo essere così bizzarro, sgangherato, violento, splatter con quelle sue trovate assurde e ingegnosissime che costellano la pellicola, l’umorismo malsano e disturbante così come scene che mettono profondamente a disagio, è la perfetta esaltazione di un cinema che spesso tendiamo a dimenticare, ma che funge da culla di grandi ed intramontabili cult.
Nell’era del grande cinecomic mainstream, standardizzato, costruito a tavolino, spesso privo di passione e sostanza, James Gunn a testa alta e con aria beffarda sforna una pellicola che vuole riportare un po’ tutti con i piedi per terra. Una pellicola dove lui si diverte, i personaggi si divertono ed il pubblico si diverte.
Una pellicola di ultimi, di mostri, di follie ma anche fatta di amore per il cinema, di maestria nel sapere governare e maneggiare il genere, la macchina da presa, al completo servizio della storia, senza dare nulla per scontato o fare troppo affidamento alla sospensione dell’incredulità.
Le esplosioni, gli effetti speciali così come Starro e King Shark sono incredibili. Nella loro essenza volutamente old school sanno essere piacevoli e gustosi. Le scene d’azione sono il fiore all’occhiello della pellicola, martellanti e fuori dall’ordinario, per non parlare del laboratorio di Gaius Grives (Peter Capaldi) che riporta direttamente cruente vibes da La casa dei 1000 corpi e il terrificante laboratorio del Doctor Satan.
A completare il tutto c’è la colonna sonora di John Murphy, già famosa per aver lavorato a pellicole fuori dall’ordinario, che dà ancora più sostanza, identità e profondità alla creatura di James Gunn, creando un vero e proprio mondo musicale che dà vita tanto alle situazioni quanto ai personaggi.
Un lavoro completo con una propria firma, ben distinta da tutto il resto e subito riconoscibile!
Tutte le maestranze scelte da Gunn, combaciano perfettamente con il suo lavoro, il suo gusto, il suo stile, dando così piena vita ad un film che non vuole prendersi sul serio, ma proprio per questo si eleva a gioiello, a progetto di enorme autorevolezza superiore e al tempo stesso unico rispetto a tante altre pellicole del genere.
Molto più di un film con dei super cattivi
Come stiamo vendendo in questa recensione di The Suicide Squad – Missione Suicida, violenza e personaggi sono il punto focale del film di James Gunn, ma non sono solo questo.
A cominciare dai suoi interpreti, tutti completamente nel personaggio (John Cena è quello che dal punto di vista recitativo sorprende di più, dimostrandosi essere molto più di quello che ci saremmo aspettati da Peacemaker), mostrando un gioco di squadra sul set che fa respirare la pellicola e brillare di luce propria, la storia prosegue senza alcun intoppo. La struttura drammaturgica è tale da sorprendere anche lo spettatore più scettico, portarlo fino alla fine col fiato sospeso, noncurante di quello che effettivamente potrebbe succedere.
Colpi di scena, segreti e tradimenti diventano il mix letale di un film che, quasi quasi, finisce troppo in fretta. Non che Gunn avrebbe dovuto far durare la pellicola tre ore o più (lasciamo a Snyder questo tipo di epopee), ma lancia indubbiamente le basi per un universo – che in parte rivedremo in versione televisiva – che ci farebbe sicuramente piacere ritrovare, ancora una volta, al cinema.
Il cinema che sa divertire, sa intrattenere, appassionare e anche emozionare fregandosene delle regole.
Si perché in The Suicide Squad – Missione Suicida c’è tutto questo. Ed è un film libertino, stanco dei canoni imposti dal genere, di film imbellettati e ripuliti di cui siamo stanchi, saturi ed annoiati. Gunn alza un dito medio – forse anche un po’ verso sé stesso – e si lascia trasportare dal piacere della libertà. Libertà inserita anche nella lettura più profonda dei suoi personaggi.
Si legge la volontà di raccontare un gruppo di ultimi non particolarmente stabili mentalmente che, improvvisamente, decide di ribellarsi. La Suicide Squad si trasforma nello specchio di quella società abbandonata, abbindolata e raggirata. Stanchi di vivere solo il presente scappando dal passato, ma desiderosi di poter aspirare al… futuro.
Quella società a cui viene imposto di portare lo sguardo basto, di seguire semplicemente le regole/ordini e non fare domande. Ed è così che questi pazzi criminali diventano un modello di rivolta e rivoluzione. Solidarietà, unione ed empatia. Quell’empatia che spesso e volentieri tendiamo e dimenticare, pensando con egoismo unicamente a noi stessi quando, la chiave di volta, la risoluzione finale, sta proprio nell’unione.
Non è di certo la redenzione che questi personaggi stanno cercano. James Gunn non vuole far di loro degli eroi, non è mai stata questa la sua intenzione, fa però qualcosa di più. Mostra la loro umanità! Il loro voler andare oltre l’apparenza, oltre il mero guadagno o fine personale. Per una volta vogliono sentirsi parte di una squadra, di una società, di un mondo e fare qualcosa che, forse, troppi eroi hanno dimenticato di fare: smettere di prendere ordini e cominciare a seguire il libero arbitrio, proteggendo gli innocenti, anche quando fanno parte del dominio di un fittizio nemico.
Creano le proprie regole. Picchiano forte. Sono volgari. Sboccati. Trucidi. Eppure… hanno tutti un cuore immenso.
Forse è questo che tanto mi è piaciuto, e tanto sta piacendo, di The Suicide Squad. Il suo cuore, la sua essenza, il suo non volersi prendere sul serio. Il suo non volersi elevare chissà a cosa o avere pretese esagerati. Una pellicola che parla sinceramente, senza paura e con coraggio di osare, di essere ribelle e quindi anche di sbagliare, al suo pubblico. Va oltre lo standard, l’apparenza, il ragionamento a compartimenti stagni.
Va oltre l’aspettativa, la struttura abusata, la battuta stantia e l’ironia per famiglie. James Gunn e la sua squadra suicida non voglio distruggere il genere – troppo semplice e banale – lo ricostruiscono nuovamente. Mostrano che qualcosa di diverso si può fare, anche meglio, anche in maniera più efficace.
Senza tradire gli eroi o i villain. Senza tradire le storie. Senza tradire il cinema.
The Suicide Squad – Missione Suicida vi aspetta al cinema con Warner Bros. dal 5 Agosto
James Gunn compie il miracolo, confezionando non solo un film che cancella davvero tutto e ricomincia da capo in grande stile, ma portando a casa uno dei migliori cinecomic di sempre. I suoi personaggi sono folli, il sangue e la violenza non manca, l'ironica e il sarcasmo nero neanche, ma la storia è completa, pulita, arriva dritta al punto, intrattenendo, appassionando e senza mai annoiare lo spettatore. Un gioco di musica, colori ed esplosioni, che strizza un po' l'occhio ai cult della Troma e al tempo stesso trova una sua identità posizionando il suo autore direttamente nell'Olimpo dei registi più completi ed interessanti del nostro secolo.
- I personaggi sono tutti fantastici, approfonditi e bilanciati, nessuno oscura l'altro
- La follia, l'ironia e la violenza diventano subito i punti focali della pellicola
- La storia è ben scritta, strutturata, ricca di adrenalina e colpi di scena. Intrattiene dall'inizio alla fine senza annoiare mai lo spettatore
- John Cena è una vera e propria rivelazione
- La CGI leggermente posticcia fa parte del gioco, dando alla pellicola un mood quasi vintage e che strizza volutamente l'occhio ai cult della Troma
- Non pervenuti