Il mondo Tech è preso in ostaggio dalla mancanza di microchip

Closeup electronic circuit board background.

La mancanza di microchip ci fa pensare alle PS5 e alle Xbox Series X, ma il problema si estende ben oltre a simili aspettative.

Avete perso l’occasione di prenotare la PS5 e ora siete nella febbrile attesa di riuscire a mettere mano a una seconda ondata di rifornimenti che non sembra mai arrivare? Non rovinatevi la giornata aggiornando costantemente le pagine dei vostri megastore di riferimento, le console scarseggiano e tutto dipende da un unico, minuscolo, problema di fondo: la carenza di semiconduttori.

La PlayStation 5 di casa Sony è solamente la vittima più in vista, quella più pop, del difetto in questione, tuttavia l’assenza di componenti sta praticamente tenendo in ostaggio intere filiere di produzione, causando tutta una serie di contraccolpi che certamente generano frustrazione negli acquirenti mancati, ma anche seri tracolli alle economie di intere nazioni.

Tutto parte da Taiwan, Paese che ha assorbito e quasi monopolizzato la produzione globale dei chip e dei semiconduttori che usiamo per tutti quegli apparecchi elettronici, piccoli o grandi che siano, con cui allietiamo le nostre giornate.

Tra le fabbriche specializzate che operano in loco, la Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC) è certamente quella più potente e influente, un punto di riferimento che, tuttavia, si trova a sua volta ad ammettere di essere oberata da un carico di lavoro che ha mandato nel pallone lei e tutte le industrie omologhe.

 

 

Cos’è successo?

Semplice, la pandemia di Coronavirus. O meglio: la pandemia e l’industria automobilistica. Come ricordiamo tutti, nel pieno della prima ondata di Covid-19 i Governi di tutto il mondo hanno imposto draconiane chiusure e severe regole di salute pubblica, norme che immancabilmente hanno impattato su ogni attività commerciale.

Per evitare che il virus si propagasse più velocemente di quanto non abbia comunque fatto, fabbricanti di autovetture, rivenditori e showroom sono stati tutti chiusi e per mesi le vendite si sono conseguentemente arenate.

Aziende come Ford, General Motors, Daimler (la produttrice di Mercedes) e Volkswagen si sono trovate nella posizione di dover frenare il normale flusso degli ordini dei semiconduttori, chip che ormai sono essenziali al funzionamento di qualsiasi autovettura.

 

Render delle macchine elettriche Volkswagen.

 

Con un calo della domanda, le fabbriche di microcomponenti hanno deciso coralmente di ridurre la produzione delle parti automobilistiche per andare piuttosto a concentrarsi su quelle aziende che hanno mantenuto invece alte le ordinazioni.

Non appena le restrizioni contro il Covid-19 si sono alleggerite, il settore dell’automotive ha sofferto tutte le conseguenze di quella che, a suo modo, è una naturale evoluzione del Mercato. In pratica, le più grandi fabbriche di auto si sono trovate bloccate dalla mancanza di microchip e quindi non sono riuscite a soddisfare tutti quei compratori che ora vogliono fare un cambio d’auto, magari approfittando dei vari incentivi governativi che molti Paesi offrono.

 

 

Ma perché stiamo ancora parlando di auto?

L’automotive, a ben vedere, non è un cliente mastodontico, per quanto riguarda l’acquisto delle microcomponenti. Se si tiene conto dell’intero settore, la sua domanda copre circa un decimo della produzione globale, una quota certo non indifferente, ma che allo stesso tempo non è tanto importante da convincere Taiwan a mollare tutto per dare supporto ai grandi produttori di autoveicoli.

Nella prospettiva dei singoli Paesi, tuttavia, il Mercato dell’auto è assolutamente tra i più fruttuosi e importanti, tira cifre tanto impressionanti che la minaccia di tassare l’export automobilistico risulta una strategia diplomatica efficiente e abusata.

 

area residenziale Taiwan

Uno scorcio di un’area residenziale di Taiwan.

 

Per contestualizzare, basti notare che appena un anno fa, il presidente degli Stati Uniti aveva usato proprio questa leva per convincere gli alleati europei a mantenere una posizione aggressiva nei confronti dell’Iran, causando danni diplomatici che ci porteremo appresso per parecchio tempo.

Pur tenendo conto che non tutte le aziende automobilistiche stiano ora subendo il fatidico contraccolpo – alcune hanno infatti continuato a ordinare semiconduttori come se nulla fosse -, si stima che l’intero settore abbia perso la bellezza di 61 miliardi di dollari, a causa di questo specifico intoppo.

Notata l’emergenza, i singoli Governi hanno suonato gli allarmi e molte Amministrazioni, adeguatamente sollecitate dai lobbysti del caso, hanno deciso di bussare alle porte di Taiwan, chiedendo di avere un canale prioritario con cui soddisfare le proprie necessità.

 

 

Il gioco delle sedie musicali

Si è quindi venuto a generare un collo di bottiglia, una strettoia in cui le aziende di Taiwan sono soverchiate dalle prenotazioni e molte realtà aziendali sono state messe da parte, nell’attesa che la situazione si normalizzi progressivamente.

La mancanza di microchip, d’altronde, non si può neppure compensare con un aumento del ritmo lavorativo delle fabbriche: TSMC ha fatto sapere che la sua capacità di produzione interna è adoperata pienamente, ma anche che i suoi fornitori esterni – Unimicron Technology, Kinsus Interconnect Technology e Nan Ya PCB – sono ormai nella medesima situazione e a secco di disponibilità.

L’unica soluzione sarebbe quindi quella di praticare ingenti investimenti per estendere le possibilità di produzione dei superconduttori, una strada poco praticabile, visto che i nuovi macchinari finirebbero facilmente in disuso, non appena la situazione pandemica sarà risolta.

 

Questo non è il genere di auto che sopravvivrà al mondo post-apocalittico di Mad Max.

 

L’idea autarchica per cui le aziende automobilistiche occidentali possano di per loro iniziare a produrre le componenti mancanti internamente, poi, è ancora più estrema e improbabile. Non solo sarebbe terribilmente anti-economico, ma la creazione di una filiera diretta finirebbe con il sollevare tutta una serie di insidie che i dirigenti non vogliono certamente avere per le mani.

Non è infatti insolito che le materie prime per chip e semiconduttori vengano recuperate da Paesi che non rispettano i diritti umani, abusano del lavoro minorile o scatenano costanti colpi di Stato per contendersi gli introiti che cadono a pioggia dalle nazioni del cosiddetto Primo Mondo. Tutte situazioni che è meglio delegare a terzi, insomma.

 

 

Ma quindi qual è la situazione attuale?

La situazione è, senza mezzi termini, drammatica, almeno per la filiera Tech. L’Advanced Micro Devices (AMD) statunitense è stata molto chiara nel prospettare un panorama tutt’altro che roseo e che, a conti fatti, è necessariamente condiviso con le aziende omologhe.

Nel presentare gli straordinari risultati economici che l’azienda ha portato in chiusura del 2020, la CEO Lisa Su ha infatti sottolineato come la mancanza di microchip andrà a impattare negativamente l’intero mondo tecnologico, ma anche che a patirne maggiormente saranno i videogiocatori, sia su PC che su console.

 

Lisa Su impegnata a presentare i prodotti AMD.

 

In periodo pandemico la richiesta di schede grafiche e processori ha superato ogni aspettativa, con la Radeon RX 6000 e il Ryzen 5000 che sono andati a ruba, in alcuni casi letteralmente. Ora i magazzini sono quasi vuoti.

Su stima di fatto che bisognerà tirare la cinghia almeno fino alla metà del 2021, periodo in cui la capacità produttiva di Taiwan dovrebbe ormai aver ammortizzato il colpo pandemico.

Fino ad allora, AMD non potrà che fornire poche componenti, rallentando di conseguenza anche le uscite di “fascia bassa” dei PC da gaming e delle console domestiche, tacitamente ammettendo che i prodotti con margine elevato otterranno una certa precedenza.

Questa lugubre previsione di Mercato è sventuratamente condivisa da Mike Spencer, dirigente dei rapporti con gli investitori di Microsoft, il quale ha riformulato il messaggio di Su, preservandone tuttavia i punti salienti.

 

 

Durante la presentazione dei dati economici ottenuti dalla Big Tech fondata da Bill Gates, Spencer ha ammesso che l’azienda abbia completamente terminato le sue scorte di Xbox Seris X, lamentando a sua volta l’impossibilità di ottenere i chip necessari a garantire un restock.

Stando alla sua analisi, questo ingolfamento si sbloccherà più avanti nel 2021, ma Microsoft riuscirà a coprire completamente le richieste del mercato videoludico solamente verso giugno.

Il briefing sui risultati finanziari di Sony ci offre invece lo spaccato di tutto ciò che riguarda l’universo PlayStation, spaccato che tuttavia suona in perfetta armonia con quanto visto fino a ora.

Il direttore finanziario della ditta giapponese, Hiroki Totoki, non ha voluto sbilanciarsi sulle tempistiche necessarie a risolvere il problema della carenza di PS5, ma ha ammesso a sua volta che sia “difficile” aumentare la produzione della console, il tutto a causa della carenza degli ormai famigerati chip.

 

Anche Sony patisce la mancanza di microchip.

 

Sony, tra le altre, dovrà affrontare un ulteriore problema, per quanto concerne la produzione delle PlayStation di ultima generazione. Per promuovere il proprio prodotto, l’azienda sta già vendendo la propria piattaforma videoludica a un prezzo sotto-costo, ovvero ci sta rimettendo economicamente pur di garantirsi la fidelizzazione dei videogiocatori, tuttavia la situazione potrebbe ulteriormente degenerare.

Stando a Samsung, ennesimo gigante Tech a subire la mancanza di componenti, il costo dei microchip potrebbe subire un innalzamento, un dettaglio che farà certamente felici le fabbriche di Taiwan, ma che andrebbe a rendere ancora più marcato il lungimirante sacrificio di Sony.

 

 

Cosa fare, dunque?

In verità, ogni tanto Sony riesce ancora a distribuire qualche migliaio di console in giro per il mondo, ma queste vengono solitamente fatte fuori in pochi secondi dagli “scalper“, bagarini del mondo digitale che riescono a bruciare sul tempo i normali acquirenti grazie a sistemi automatizzati che controllano in tempo reale i siti dei grandi e-store.

Non esistono modi efficienti di contrastare la loro influenza nefasta, soprattutto perché le nuove console sono uscite in un periodo in cui non era possibile – e non era ragionevole – organizzare la vendita nei negozi, cosa che ha permesso agli sciacalli della Rete di ottenere una forma di monopolio.

A questo punto è certamente possibile fiondarsi come furie sui siti che hanno ottenuto qualche nuova unità, ma sempre con la consapevolezza esista il rischio concreto di passare ore a fare la coda su una web page sovraccaricata per scoprire infine che il prodotto è andato esaurito nei primi 10 minuti.

Tra la mancanza di microchip e alta domanda di mercato, il consiglio è piuttosto quello di andare sui vari e-commerce, attivare le varie notifiche di restock e non pensarci più, accettando la situazione e procedendo con tranquillità alla propria esistenza.

 

 

The Gateway è il magazine settimanale di Lega Nerd che vi parla del mondo della tecnologia e dell’innovazione.

 

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