Siamo arrivati a tirare le somme cinematografiche di questo 2020! Quali sono stati i migliori film del 2020? Ecco le dieci scelte ad opera della redazione Entertainment di Lega Nerd!

E nonostante tutto siamo arrivati a quel periodo dell’anno: scegliere i migliori film del 2020.

Nonostante per il cinema sia stato l’anno peggiore dalla sua creazione, proprio nell’anno del compleanno dei 125, in qualche modo – tra on demand, periodi ristretti d’uscita e home video – è riuscito ad emergere.

Molti i Festival saltati, altrettanti i Festival che hanno cercato di far di necessità virtù, riuscendo a dare un minimo di visibilità a pellicole straordinarie che, se tutto va bene, vedremo il prossimo anno in sala. Tante le pellicole rimandate, tanto internazionali quanto nazionali. Alcune cadute nel limbo, altre segnate a date incerte, altre ancora uscite completamente allo sbaraglio.

Ci siamo dovuti districare tra abbonamenti, pacchetti vip, servizi a noleggio, piattaforme streaming, meglio la sala, no meglio lo schermo del cellulare… E questo per parlare unicamente dell’aspetto di intrattenimento. Non scendiamo neanche nel merito dei set chiusi, posti di lavoro saltati, crisi economica, pandemia, lockdown. Diciamo pure che cinematograficamente parlando (e non solo), giochi senza frontiere ci fa un baffo.

I danni registrati non sono pochi o semplici da gestire. Quanto accaduto in questo 2020 ha aperto una profonda breccia di cambiamento – tanto necessario quanto, al tempo stesso, drastico e non misurato – che influenzerà per forza di cose il 2021 cinematografico e gli anni a venire. La sala lascia il posto alle piattaforme streaming, e per quanto agli occhi di qualcuno possa essere una rivoluzione, il caso Wonder Woman 84 dimostra quanto questo possa essere terribilmente deleterio tanto per la sala quanto per il film stesso, incentivando comportamenti non propriamente legali.

Ma questo è un altro discorso e, oggi, non siamo qui per questo!

Oggi siamo qui per celebrare, nonostante tutto, dieci pellicole che – secondo noi – hanno influenzato positivamente questo 2020 e che meritano di essere recuperate ( o riviste) nel modo che più preferite.

Quest’anno, come avrete notato, ho usato il plurale. Si, la mia antipatia per le classifiche di fine anno è ormai nota da quando sono approdata nel lontanissimo 2015 qui su Lega Nerd. E c’è da dire che dal 2015 ad oggi, la sezione Cinema e Serie TV di strada ne ha fatta tanta ed il merito è della straordinaria squadra composta in questi anni. Sempre attenta, reattiva e partecipativa.

Trovo giusto coinvolgere tutti gli incredibili ragazzi e ragazze che hanno svolto un lavoro eccellente

In un anno così sofferente dove il lavoro di squadra è stato fondamentale più che mai, trovo giusto coinvolgere tutti gli incredibili ragazzi e ragazze che hanno svolto un lavoro eccellente, fondamentale per la prosperità, professionalità e rapporto in ambito cinematografico e televisivo del nostra realtà editoriale.

Prima di andare oltre, ringrazio: Valentina Ariete, Gabriele Atero Di Biase, Emanuele Bianchi, Laura Della Corte, Simone Di Gregorio, Jacopo Fioretti e Davide Mirabello.

Quindi, i titoli che leggerete qui di seguito sono il frutto di una media (che oscilla tra l’oggettivo e il soggettivo perché no, non credete a chi vi dice che le classifiche di fine anno sono qualcosa di oggettivo perché vi sta oggettivamente mentendo) tra le scelte di tutta la redazione Entertainment di Lega Nerd che vi dice quali sono stati (per noi) i migliori film di questo (maledetto) 2020.

Prendete la nostra classifica dei migliori film 2020 come un consiglio di visione e fateci sapere quali sono, invece, per voi quelli che più avete apprezzato quest’anno!

 

 

 

10. L’uomo Invisibile

Migliori film 2020

 

Braccio destro di James Wan, Leigh Whannell assieme al produttore Jason Blum ce l’hanno fatta. Dopo i fallimentari Dracula Untold e la Mummia che avevano come obiettivo quello di riportare sul grande schermo il Dark Universe dei Mostri Universal, presentando però una copia scialba, noiosa e patetica delle grandi creature che hanno dominato l’immaginario cinematografico (e prima letterario) dagli anni ’30 agli anni ’50, L’uomo Invisibile è una ventata di aria fresca, inquietante ed intrigante.

Whannell reinventa il minto dell’uomo invisibile tratto dall’omonimo romanzo di H.G. Wells – su cui si era anche basata l’omonima pellicola del 1933 di James Whale – e non solo lo porta ai nostri giorni, ma affronta la tematica con occhio critico e sociale, analizzando un aspetto della violenza sulle donne spesso trascurato: lo stalking.

Il film è un thriller perfettamente costruito con una protagonista da urlo, Elisabeth Moss, che sa come sorprendere ed intrattenere lo spettatore.

L’uso della fotografia, del buio fungono da cornice per aumentare la sensazione di claustrofobia, paranoia e senso di pericolo in cui si sente costantemente la vittima. Una trappola mortale che non risparmia colpi. Il plot twist finale è il colpo di grazia a chiunque possa pensare anche solo per un secondo al “politicamente corretto”. La tematica della vittima e carnefice viene esaltata, sviscerata e riadattata al servizio della narrazione. Forse una delle sorprese più interessanti – soprattutto per il cinema di genere – di questo 2020.

Da recuperare assolutamente!

 

 

 

9. JoJo Rabbit

Migliori film 2020

 

Dalla recensione di Simone Di Gregorio:

[…] Jojo Rabbit nasconde a primo acchito quello che lo rende a tutti gli effetti degno di nota, ovvero la sua dualità tra risata e riflessione, con la prima in un certo senso solo in funzione della seconda. É un film sfaccettato che parte in un modo e finisce in un altro, carburando piano nelle sue intenzioni, percepibile come un proiettile nelle improvvise inversioni di tendenza.

Di un bambino nazi (ma non troppo) che a dieci anni ancora non riesce ad allacciarsi le scarpe, di una madre ottimista e coraggiosa e di una ragazza ebrea faccia a faccia con amore, malinconia e intolleranza. Storia di formazione delicata nel trattare temi in realtà tutto meno che inediti, Jojo Rabbit è un moderno gioco di contrasti capace di stupire. […]

[…] Jojo Rabbit è prima di tutto un film drammatico. Ciascun momento di risata, sollievo e commedia nera esiste esclusivamente per fare da contraltare alle parentesi cupe, delicate ed introspettive della scrittura di Waititi. La cosa diventa evidente mano a mano che si prosegue nel crescendo della trama, con l’alternarsi tra questi due “volti” opposti che diventa cronico e di conseguenza fondamentale.

Dallo scontro tra le due spinte creative viene fuori la tipica volontà di toccare gli aspetti più subdoli dell’assimilazione di una dottrina, fino alla dimostrazione della sua fragilità una volta guardata negli occhi la spietata violenza del mondo reale, ben lontano da fantasticherie ingenue. […]

Pellicola protagonista dell’edizione degli Oscar 2020, vincitore della Miglior Sceneggiatura Non Originale, se vi siete persi questo piccolo gioiello, siete pazzi!

 

 

 

8. I Predatori

Migliori film 2020

Presentato al Festival del Cinema di Venezia di quest’anno nella sezione Orizzonti, nonché vincitore della Miglior Sceneggiatura Originale, l’esordio alla regia di Pietro Castellitto con I Predatori è tra le cose migliori che potevano succedere al cinema italiano.

Castellitto con occhio attento al suo stesso vissuto, al rapporto con la fama dei suoi genitori, all’amore per il cinema e la cultura pop, confeziona una pellicola che è lo specchio di rabbia e frustrazione della generazione dei trentenni di adesso. Siamo abituati a vivere in un mondo dove la colpa è sempre e solo dei giovani. Dove sono loro che non hanno voglia di lavorare, di studiare, di fare qualcosa della propria esistenza. Non vogliono fare figli. Non vogliono sposarsi. Comprare casa. Vivono con i genitori alla giornata. Ed, invece, molto più spesso si è costretti a sottostare ad una società che non è stata affatto giusta nei nostri confronti. Il precariato, gli stipendi da fame, le poche possibilità di crescita in Italia, le differenze sociali, le raccomandazioni. E quindi, come si può reagire a tutto questo? Semplice: scoppiando.

I Predatori, nella perfetta cornice realizzata da Castellitto tra paradosso e vissuto, è lo specchio della nostra realtà: essere prede o predatori, a volte tutti e due.

Scritto, diretto e recitato dallo stesso Castellitto a capo di un cast corale incredibile ed esilarante, I Predatori è una commedia nera dal sapore agrodolce. Rivelazione del Festival di Venezia e, molto probabilmente, esordio per uno dei grandi protagonisti della futura generazione di cineasti italiani che credono in una cinema nuovo, diverso e completamente fuori dai canoni, parlando sì dell’Italia e dei suoi problemi, ma senza retorica, senza morale o perbenismo, ma semplicemente facendo quello che meglio sanno fare: grande cinema.

 

 

 

7. Favolacce

Dalla recensione di Favolacce di Valentina Ariete:

[…] A due anni di distanza da La terra dell’abbastanza, Damiano e Fabio D’Innocenzo sono tornati al Festival di Berlino, che li ha premiati con l’Orso d’argento alla migliore sceneggiatura. Ancora una volta a fare da cornice è la periferia romana, quella del litorale: siamo a Spinaceto, dove il cemento fatiscente si mescola a pratoni incolti, spazzatura e corpi umani alla deriva. Le villette a schiera tutte uguali, le famiglie apparentemente perfette, i giorni che si confondono l’uno con l’altro. Sembra quasi di vedere l’inizio di Edward Mani di forbice, se non fosse che i colori qui non sono né pastello, come le case dei borghesi di provincia, né neri, come gli occhi dell’Edward ideato da Tim Burton. Tutto è permeato da una strana luce dai riflessi cangianti, verdi, viola e blu, che sembra ritrarre i personaggi in uno stagno. […]

[…] Favolacce punta tutto sull’immersione in uno stato d’animo: la messa in scena, i colori, i volti delle persone (ottima la scelta di prendere volti meno conosciuti da affiancare a un attore più riconoscibile come Germano), tutto trasmette un perenne senso di angoscia, inevitabilità. Nonostante i bambini siano il simbolo per eccellenza del futuro, in loro non c’è nessuna scintilla di speranza. L’immobilità e la morte, che forse sono la stessa cosa, incombono su tutto. […]

[…] È incredibile come, soltanto all’opera seconda, Damiano e Fabio abbiano trovato un sguardo distintivo e fortissimo, in cui suoni, colori e immagini sono molto più importanti delle parole, che possono mentire e risultare vuote. Un adulto dice a una bambina “sei bellissima”, senza nemmeno guardarla, dopo che si è rasata i capelli. Un neo papà, guardando la figlia appena nata, dice: “Già è cagna”. Non c’è verità, non c’è amore nelle parole di questi adulti bugiardi, che non sanno guardare dentro se stessi, figuriamoci nei propri figli. E allora lasciamole stare le parole e guardiamo alla sostanza, affidandoci all’istinto: quello dei fratelli D’Innocenzo per ora non ha mai sbagliato.

 

 

 

6. TeneT

 

Dalla recensione di Tenet di Gabriella Giliberti:

[…] Se credevamo che con Dunkirk Nolan avesse completamente superato se stesso, ci sbagliavamo. Dunkirk ha la magia del grande schermo con una messa in scena che fa tremare le sedie e palpitare i cuori dei più deboli, la grande tecnica, la padronanza del mezzo senza rivali (perdonaci Sam Mendes), ma a livello drammaturgico non è stata una delle più grandi storie di Nolan.

Tenet torna indietro a Interstellar, ripesca le suggestioni di Inception – questa volta però giocando con l’entropia degli oggetti – e riproduce il meccanismo strutturale di Memento.

Il risultato? Un film elevatissimo, frastornante e che nelle scene d’azione lascia senza fiato. Una pellicola dove è il Cinema, il grande Cinema, a regnare e lo schermo prende vita sotto le immagini che giocano con la mente dello spettatore. […]

[…] A Nolan piace giocare con i generi e lo sa fare anche molto bene, bisogna dargliene atto. La grandiosità di tanti film di Christopher Nolan risiede anche nella maestria di padroneggiare una vasta gamma di sfumature cinematografiche: il noir, il war movie, il dramma, la fantascienza, l’horror e il thriller. Gli manca solo la commedia, in fondo, anche se forse un piccolo pensierino ce l’ha fatto nella costruzione del rapporto tra Robert Pattinson e John David Washington.

In Tenet c’è un po’ di tutto questo. E forse tutto questo aiuta anche Nolan a svincolarsi dalla critica più aspra che spesso gli viene mossa: la freddezza. Tenet è un film molto intimo. Nel suo essere una pellicola epica, dove l’azione è il fiore all’occhiello di tutto il lavoro, Tenet mostra il cuore di molti dei personaggi. […]

 

 

 

5. Il processo ai Chicago 7

il processo ai chicago 7

Oscar alla Miglior Sceneggiatura nel 2011 per The Social Network, Aaron Sorkin è tra i migliori (se non il migliore) sceneggiatore in circolazione. Nel 2017 ha esordito anche alla regia con il film Molly’s Game con protagonista Jessica Chastain, e quest’anno torna nuovamente con una storia vera tanto alla regia quanto alla sceneggiatura.

Il Processo ai Chicago 7 è forse una delle pagine più imbarazzanti e denigranti e marce del sistema giudiziario statunitense. Il film si basa, appunto, sul processo ai cosiddetti “Chicago Seven”, un gruppo di attivisti contro la guerra del Vietnam accusati di aver cospirato per causare lo scontro tra manifestanti e Guardia Nazionale avvenuto il 28 agosto 1968 a Chicago in occasione delle proteste alla convention del Partito Democratico. Classico esempio di capro espiatorio.

Ciò che più sconvolse del caso non fu “semplicemente” l’accusa forzata nei confronti degli imputanti, quanto più le modalità ingiuste e completamente folli in cui si svolse il processo.

Il film, in un percorso tra il presente del processo e la ricostruzione al passato dei fatti, è una partita di ping pong tra la corte e gli imputati. Un cast corale di grandi nomi – tra cui Sacha Baron Cohen, Eddie Redmayne, Frank Langella, Mark Rylance e Jeremy Strong – che regalano enormi emozioni allo spettatore.

La mano di Sorkin nella costruzione drammaturgica si sente tutta. Un film che non rende gli avvenimenti noiosi o didascalici, ma sa esattamente come accattivare lo spettatore e renderlo parte attiva della narrazione, interrogandolo sugli eventi e spronando a riflettere, a catturare i vari input della vicenda.

Probabilmente una di quelle pellicole di cui sentiremo tanto parlare durante la corsa per gli Oscar.

 

 

 

4. Ema

ema film

Dalla recensione di Ema di Gabriella Giliberti:

[…] Pablo Larraín arriva al Festival di Venezia con un film sensuale, violento, conturbante e fuori dagli schemi. Il regista cileno esce ancora una volta dalla sua comfort zone e ci sorprende con Ema, un piccolo gioiello senza tempo. […]

[…] Dall’infernale viaggio techno di Gaspar Noé Climax ai sabba e baccanali di Suspiria, arriviamo al rivoltoso, arrabbiato e feroce reggaeton di Ema, un viscerale dramma sociale che mescola il musical all’esasperazione di una donna, di una madre, di un gruppo di donne emancipate e rivoltose che urlano la loro indipendenza a suon di danza e lanciafiamme.

Ema (Mariana Di Girolamo), protagonista e datrice del nome dello stesso film, può essere rappresentata un po’ come quella pistola al napalm che stringe tra le mani con tanta forza e passione. Ema è fuoco liquido ardente. Una mina vagante. Impossibile dominarla. Impossibile metterla a tacere. Ema diventa la nuova musa di Larraín mentre lo spettatore si perde sulle linee del suo corpo sinuoso. […]

[…] Il suo taglio punk ossigenato entra già nella leggenda, nella storia. Lei diventa icona di un mondo, il mondo dei più giovani privi di valori e pieni di capricci. Ad Ema tutto è dovuto. È incapace ad accettare un no e come una bambina capricciosa sbatte i piedi a terra fino a quando non ottiene quanto le è dovuto. Non ci sono altre soluzioni. Ciò che Ema vuole, Ema prende. E questo lo stesso Bernal – straordinario come sempre – ce lo comunica benissimo in un monologo che sembra essere il succo dei nostri stessi tempi. Un monologo che non facciamo fatica ad attribuire alla stessa anima di un Larraín forse anche stanco dei tempi modermi, ma non per questo stanco del cinema e della sperimentazione.

Tra la vibrante colonna sonora del DJ Nicolas Jaar e la fotografia al neon di Sergio Armstrong, come recitato nel titolo, Ema è una grande pellicola, una grande prova di coraggio per il regista cileno Pablo Larraín che, ancora una volta, ci sorprende regalandoci forse uno dei migliori film del Festival di Venezia.

 

 

 

3. The Lighthouse

the lighthouse

 

Dalla recensione di The Lighthouse di Gabriella Giliberti:

[…]Il tema della solitudine è stato affrontato più volte nella letteratura così come nel cinema, basti anche solo pensare allo Shining di Stephen King trasposto da Stanley Kubrick. Cosa può fare un uomo solo in un immenso albergo per mesi di buio e freddo?

La stessa domanda se la pone anche Eggers, ma aumenta ancora di più la difficoltà dell’impresa, prendendo liberamente ispirazione dalla tragica vicenda del 1899 delle Isole Flannan dove a Eilean Mor, tre guardiani del Faro sparirono misteriosamente. Gli uomini in questo caso sono due, il luogo è lo stesso: un faro disperso nel nulla per fare luce ed evitare che le navi si schiantino contro la scogliera. […]

[…]The Lighthouse diventa così un incubo ad occhi aperti anche per lo stesso spettatore, fatto di visioni, di sensazioni e suggestioni. Un circolo vizioso dove è impossibile distinguere il vero dal falso, il tutto impreziosito dal bianco e nero, il 35mm, ed uno stile preso in prestito direttamente dal cinema di Lang e Murnau. Giochi di ombre dove Eggers gioca con l’immaginario dello spettatore e dei suoi protagonisti, creando dei veri e propri mostri direttamente derivanti dal subconscio.

Così come in The Witch la componente sonora giocava un ruolo fondamentale, non è da meno neanche in The Lighthouse, dove i suoni che ricreano i rumori del faro, creano un’atmosfera ancora più perturbante, torbida, ricca di orrori e misteri. Il sonoro accompagna dall’inizio alla fine, facendosi più impetuoso, più crescente man mano che la stessa suspense, il climax di maggiore tensione arriva a portare la pellicola verso le sue vette più alte.

Un film difficilmente dimenticabile, che si attacca alla pelle, fa male agli occhi, toglie il respiro, rapendo con la sua fotografia, la sua storia e le interpretazioni di due grandi attori che rendono il tutto ancora più perfetto. […]

 

 

 

2. Soul

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Dalla recensione di Soul di Simone di Gregorio:

[…] Soul è un film che chiaramente vuole estendere il percorso aperto con Inside Out, ma nel farlo passa dalla psiche all’anima, e in questa transizione acquista tanto calore e trasporto che mancava al precedente, se si escludono determinati momenti (ad esempio il celebre abbandono di Bing Bong).

Sono cento minuti praticamente perfetti, che riescono a divertire spesso e commuovere genuinamente, racchiudendo in una struttura semplice e consolidata (quella del viaggio dell’eroe) un discorso così profondo da toccare ogni corda del vissuto individuale.

L’ultima produzione Pixar porta con sé il più grande pregio dei migliori film d’animazione, la capacità di rendersi godibile per un pubblico infantile e risultare estremamente stratificato e ricco di significato per un pubblico adulto, nonostante forse in questo caso la bilancia è molto più pendente verso la seconda categoria. […]

[…] In poco più di un’ora e mezza, Soul tratta con una lucidità impressionante dell’incertezza umana nel dare un senso alla propria esistenza, dell’assenza di passione e di passioni che ci permettono di toccare il nostro io più profondo e poi si traducono in ossessioni, della necessità di arrivare a compromessi con la propria indole essendo comunque felici, della scoperta del vivere più puro, il vivere meravigliato di ogni attimo, in un entusiasmo saturo di gioia che oltrepassa lo schermo. […]

[…] Il nuovo pargolo Pixar è anche molto brillante nel parlare della nostra ingenuità nel vivere in funzione di uno scopo, continuamente in affanno credendo che ad un obiettivo si associ una svolta per una vita che non vediamo epica o abbastanza memorabile. E così, persi in idealismi (non a caso in Soul ci sono tanti divertenti riferimenti diretti a grandi pensatori, scienziati e personaggi della nostra storia), sogni di gloria e ambizioni viviamo in apnea, credendo che la vita vera sia sempre un oltre, e non il quotidiano da cui finiamo per alienarci. Parlo di quello strano approccio del vivere per step, in un continuo percorso che ci spinge con fare subdolo in avanti, e di quella strana sensazione di vuoto che segue quando ci rendiamo conto che quel sogno non è così splendido quanto credevamo, quando ci rendiamo che le difficoltà sono sempre lo stesse, e non esiste formula magica o svolta miracolosa per risolverle od esserne al di sopra. […]

 

 

 

 

1. Mank

mank film

 

Dalla recensione di Mank di Gabriella Giliberti:

[…] Mank ci porta ad esplorare una delle pellicole più suggestive, complesse ed ammalianti di David Fincher. Una pellicola che apparentemente vi potrà sembrare differente dallo stile del regista, ma che invece conserva in sé l’amore e il gusto di esplorazione, approfondimento e rappresentazione delle più controverse figure del nostro mondo, tanto reali quanto irreali. Ma, soprattutto, Fincher mette le mani in pasta su uno degli argomenti più spinosi della storia del cinema, sul quale sono state già scritte fiumi di parole:

di chi è Quarto Potere?

Ecco, questa è una domanda interessante. La domanda che funge da motore di tutta la struttura che abilmente il regista americano mette in scena attraverso una serie di meccanismi, omaggi allo stesso cinema di Welles e a quello della Hollywood degli anni ’30/40, e anche grazie i suoi incredibili personaggi, primo fra tutti Gary Oldman. […]

[…] Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una sempre più crescente esaltazione della Hollywood degli anni ’30/’40/’50. Una macchina grandiosa e incredibile, fabbricatrice di sogni ma anche di tante illusioni dove, appunto, non tutto l’oro luccica.

David Fincher non si esime nel dare un ritratto, per quanto romanzato, veritiero di un periodo che non è stato tutto rosa e fiori. Non lasciatevi ingannare troppo dal tripudio di passione, amore e ossessione nei confronti del cinema, Mank è un film che rappresenta un presagio di rovina quanto un parziale riscatto sociale e morale. […]

[…] Se guardando Mank vi sembrerà di assistere ad un dejavù non vi preoccupate, è tanto normale quanto voluto. Abbiamo già detto come Fincher omaggi quella Hollywood e i suoi protagonisti e lo fa fin dalla scelta della scrittura della pellicola, l’uso del bianco e nero, della pellicola e grana rovinata dal tempo, con lo stesso sonoro tipo del cinema degli anni ’30/’40. In più crea un interessantissimo intreccio di storia nella storia, mescolando gli eventi della vita di Herman J. Mankiewicz con quelli della vita di Charles Foster Kane che, a sua volta, era stato ispirato dall’editore milionario William Randolphy Hearst. […]

[…] Un film che farà brillare gli occhi all’appassionato di cinema, dandogli l’onore e il piacere di vivere una delle più controverse pagine della cinematografia mondiale, ma offrendo la possibilità anche al profano di perdersi nei meandri di una storia non così conosciuta, offrendo un punto di vista atipico e al tempo stesso sorprendente.

Un film che sa trascinare, prendere confondere. Sa esplorare le acque più torbide e profonde del cinema, ma sa soprattutto mostrare la grande magia che, vi è sempre vi è stata e – si spera – sempre vi sarà, ha il potere di meravigliare ed emozionare.