Favolacce, la recensione: il disagio da favola dei fratelli D’Innocenzo

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La recensione di Favolacce, secondo film dei fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo, premiato con l’Orso d’argento al Festival di Berlino, con protagonista Elio Germano. I bambini ci guardano. E stanno male anche per noi. Dall’11 maggio on demand.

Non è una visione facile quella del secondo film dei fratelli D’Innocenzo. Eppure non ci si può privare di una storia che, a molte ore (se non giorni) di distanza dalla visione, continua a ronzarti in testa, a provocarti disagio quasi fisico, oltre che mentale. Questa recensione di Favolacce parte quindi con un avvertimento: potreste voler cominciare a fare della terapia dopo averlo visto.

 

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A due anni di distanza da La terra dell’abbastanza, Damiano e Fabio D’Innocenzo sono tornati al Festival di Berlino, che li ha premiati con l’Orso d’argento alla migliore sceneggiatura.

A due anni di distanza da La terra dell’abbastanza, Damiano e Fabio D’Innocenzo sono tornati al Festival di Berlino, che li ha premiati con l’Orso d’argento alla migliore sceneggiatura. Ancora una volta a fare da cornice è la periferia romana, quella del litorale: siamo a Spinaceto, dove il cemento fatiscente si mescola a pratoni incolti, spazzatura e corpi umani alla deriva. Le villette a schiera tutte uguali, le famiglie apparentemente perfette, i giorni che si confondono l’uno con l’altro. Sembra quasi di vedere l’inizio di Edward Mani di forbice, se non fosse che i colori qui non sono né pastello, come le case dei borghesi di provincia, né neri, come gli occhi dell’Edward ideato da Tim Burton. Tutto è permeato da una strana luce dai riflessi cangianti, verdi, viola e blu, che sembra ritrarre i personaggi in uno stagno.

 

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A fare da filo conduttore un diario, letto dalla voce narrante di Max Tortora.

A fare da filo conduttore un diario, letto dalla voce narrante di Max Tortora (che ha recitato nel film d’esordio dei D’Innocenzo): nonostante le parole siano scritte da una bambina, non c’è niente di leggero, non c’è niente di sereno. Tutto è permeato da una coltre spessa di disagio.

Scritto da Fabio e Damiano dieci anni fa, ovvero quando non avevano nemmeno vent’anni, Favolacce (dall’undici maggio on demand su SKYPRIMAFILA Premiere, TIMVISION, Chili, Google Play, Infinity, CG Digital e  Rakuten TV)  proviene sicuramente dalla parte più intima dei suoi autori, un’intimità che ha osservato molto e parlato poco.

 

 

Festival di Berlino 2020

 

 

 

I bambini ci guardano

Favolacce è un film fatto di sguardi: quello vuoto degli adulti, sia genitori che insegnanti, e quello profondissimo dei bambini. Che capiscono tutto, anche troppo. I signori Placido, Bruno (Elio Germano) e Dalila (Barbara Chichiarelli, Livia nella serie Suburra), hanno dei figli modello: le loro pagelle sono perfette. Ma non basta: genitori distratti e anaffettivi, danno considerazione ai piccoli soltanto quando, come in una farsa, possono declamare a gran voce i proprio successi scolastici, in modo da diventare forma di vanto. I loro voti permettono ai genitori di farsi belli: quello che hanno realmente imparato non è invece altrettanto interessante.

 

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Poi ci sono i figli di padri ignoranti, violenti, che pensano soltanto a mangiare, a leccarsi la “crosticina del pollo” e a sfogare i propri appetiti sessuali. Quando invece la loro prole si sente quasi minacciata dalla sessualità, preferendo di gran lunga stare accanto a qualcuno che li faccia stare bene. Infine non aiuta nemmeno la scuola: terza fonte di nutrimento dopo il cibo e l’affetto familiare, l’istruzione forse è la più nociva di tutti, perché fornisce mezzi pratici con cui allontanarsi da un mondo che sembra non offrire nessun barlume di speranza.

 

 

 

 

 

I fratelli D’Innocenzo come le gemelline di Shining

Favolacce punta tutto sull’immersione in uno stato d’animo: la messa in scena, i colori, i volti delle persone (ottima la scelta di prendere volti meno conosciuti da affiancare a un attore più riconoscibile come Germano), tutto trasmette un perenne senso di angoscia, inevitabilità. Nonostante i bambini siano il simbolo per eccellenza del futuro, in loro non c’è nessuna scintilla di speranza. L’immobilità e la morte, che forse sono la stessa cosa, incombono su tutto.

 

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Gli occhi grandi di questi bambini sembrano risucchiarci e dirci che è tutta colpa nostra: di genitori, professori, adulti che non hanno nessuna intenzione di aprirsi al nuovo, al sentimento vero, alla vita. Senza curiosità, senza entusiasmo, senza meraviglia la vita è un purgatorio da cui uscire il prima possibile. E sembra quasi che siano gli stessi fratelli D’Innocenzo a dircelo: serissimi come le gemelline di Shining di Stanley Kubrick, si insinuano nel nostro subconscio, facendo nascere in noi un desiderio di fuga.

Favolacce punta tutto sull’immersione in uno stato d’animo

È incredibile come, soltanto all’opera seconda, Damiano e Fabio abbiano trovato un sguardo distintivo e fortissimo, in cui suoni, colori e immagini sono molto più importanti delle parole, che possono mentire e risultare vuote. Un adulto dice a una bambina “sei bellissima”, senza nemmeno guardarla, dopo che si è rasata i capelli. Un neo papà, guardando la figlia appena nata, dice: “Già è cagna”. Non c’è verità, non c’è amore nelle parole di questi adulti bugiardi, che non sanno guardare dentro se stessi, figuriamoci nei propri figli. E allora lasciamole stare le parole e guardiamo alla sostanza, affidandoci all’istinto: quello dei fratelli D’Innocenzo per ora non ha mai sbagliato.

 

 

 

Favolacce è on demand dall’11 maggio su SKYPRIMAFILA Premiere, TIMVISION,
CHILI, GOOGLE PLAY, INFINITY, CG Digital e RAKUTEN TV
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