Il 26 Ottobre, dopo un’attesa durata cinque mesi, è iniziato finalmente il campionato NBA 2016/2017. Ma questo nuovo avvio ha un sapore agrodolce per i fatti avvenuti e le parole dette durante l’estate.

Quest’anno si chiude ufficialmente un’epoca. Mai come in questo momento la frase “anno nuovo vita nuova” ha avuto un significato così collegato alla realtà. All’inizio del campionato 2015/2016 un annuncio ha gettato nel dramma milioni di fan in tutto il mondo.

Kobe Bryant, in uno stile puramente cinematografico, come richiesto ad una stella che per vent’anni ha giocato e – ahimè – vinto nella capitale mondiale occidentale del cinema, annuncia che quella che stava per iniziare sarebbe stata la sua ultima stagione da giocatore.

Con poche parole, il più grande accentratore di attenzioni sportivo mediatiche dell’era post Jordan, ha messo in piedi una parata conclusiva lunga 82 partite – nessuno si aspettava che i Lakers arrivassero ai playoff – come poche se ne sono viste nel mondo dello sport.

Ogni palazzetto in cui avrebbe giocato per l’ultima volta gli ha dedicato un tributo degno di un eroe di guerra, persino il pubblico degli acerrimi rivali Boston Celtics lo hanno accolto nei migliore dei modi…

salvo poi fischiarlo durante la partita, ma questo, sotto sotto, era quello che lo stesso Bryant voleva.

 

Tim Duncan

Tim Duncan

 

Il miglior giocatore a calcare i parquet NBA del post Jordan.

A fine stagione, mentre il mercato era in subbuglio, come un fulmine a ciel sereno arriva la notizia di un altro ritiro eccellente.

Il miglior giocatore a calcare i parquet NBA del post Jordan, a modesto parere dello scrivente, Tim “The Big Fundamental” Duncan alla vetusta età di 40 anni, dopo aver dominato e vinto la qualsiasi, probabilmente scrivendo un SMS con su scritto solamente “smetto” al suo allenatore, si ritira. Nulla più.

 

Kevin Garnett in canotta Minnesota Timberwolves

Kevin Garnett nella sua prima parentesi Timberwolves (DAVID SHERMAN/NBA)

A poca distanza temporale, il terzo fulmine a cadere nello stesso punto. Un altro giocatore a portare il soprannome di “Big”, questa volta “The Big Ticket”, Kevin Garnett, dice addio.

Notizia anche questa non inattesa, parliamo di un giocatore anche lui nei suoi 40, che ormai da anni era costretto a lottare con infortuni più o meno gravi che stavano limitando parecchio una carriera fondata sull’atleticità.

Da un anno era tornato a giocare nei suoi Minnesota Timberwolves, dove ha iniziato a 19 anni la sua carriera da professionista, e dove non è mai riuscito a vincere. Uno dei più grandi di sempre, che è riuscito a conquistare il tanto agognato anello di campione NBA solamente dopo essersi spostato a Boston, dove insieme a Pierce e Allen ha formato un trio che ha costretto a modificare le strategie di costruzione dei roster alle altre franchigie.

Un giocatore che proprio insieme a Duncan ha definito una generazione e un ruolo, quello dell’ala grande – o power forward come si chiamano negli USA. Rimarrà nell’organizzazione dei Wolves (sua intenzione era quella di acquistare l’intera franchigia), dove continuerà a fare da chioccia ad alcuni dei giovani che sono destinati a definire la prossima generazione – i nomi da segnarsi sono Karl-Anthony Towns e Andrew Wiggins, ma quello della squadra di Minneapolis è un roster ricco di giovani talenti.

 

Boston Celtics forward Paul Pierce pumps his fist after a basket by teammate Rajon Rondo against the Minnesota Timberwolves during the second half of an NBA basketball game in Boston, Monday, Jan. 3, 2011. Pierce had 23 points as the Celtics beat the Timberwolves 96-93. (AP Photo/Charles Krupa)

Paul Pierce festeggia dopo un canestro contro i Minnesota Timberwolves , Monday, Jan. 3, 2011. Pierce ha segnato 23 punti nella vittoria dei celtics per 96-93. (AP Photo/Charles Krupa)

Take this down. My name is Shaquille O’Neal and Paul Pierce is the motherfucking truth. Quote me on that and don’t take nothing out. I knew he could play, but I didn’t know he could play like this. Paul Pierce is The Truth.

Dal punto di vista storico, invece, stiamo assistendo alla fine di un’epoca cestistica, quella del post Jordan. Della serie non c’è due senza tre… e il quattro vien da se, a pochi giorni di distanza dal suo amico di lungo corso e compagno di vittorie e di trade più o meno inaspettate, arriva l’annuncio che quella alle porte sarà la stagione conclusiva per la carriera di Paul Pierce.

Uno dei giocatori, sempre a modestissimo parere del sottoscritto, più sottovalutati della storia.

Uno che a discapito di questa bassa considerazione si è meritato il soprannome di “The Truth”, la verità, e non dai giornalisti, ma dall’allora suo rivale e giocatore cardine dei Lakers, Shaquille O’Neal.

Devo ammettere che non posso non avere che parole d’amore per quello che è stato per 15 lunghi anni, il capitano, la faccia, il cuore e l’anima dei Boston Celtics. Uno giocatore che nonostante essere nato ed aver tifato Los Angeles Lakers da giovane ha legato il suo nome ai rivali della costa est, con loro ha toccato il fondo della gloriosa storia della squadra più vincente dell’NBA, con loro ha vinto e li ha riportati sull’olimpo.

Con loro e per loro è tornato a giocare a poche settimane di distanza da un aggressione costatagli 11, lo ripeto undici, coltellate. Non starò qui ad elencare le sue cifre, vi basti sapere che in canotta Celtics ha segnato più di Larry Bird… ‘nough said!

Ognuno con le informazioni a disposizione è in grado di crearsi la propria immagine del campione da idolatrare.

Da un punto di vista puramente tecnico, probabilmente, la loro mancanza sul rettangolo di gioco non si farà sentire più di tanto -a parte forse il buon Tim Duncan, la cui ultima stagione è durata in ogni caso più di 20 minuti a partita.

Dal punto di vista storico, invece, stiamo assistendo alla fine di un’epoca cestistica, quella del post Jordan. L’epoca a cavallo dell’inizio dell’era digitale, ovvero la prima in cui la quantità di informazioni è diventata superiore alle capacità cognitive di un essere umano medio. Cosa da non sottovalutare se si considera che fino a Jordan le notizie dovevano passare immancabilmente attraverso poche fonti specializzate – soprattutto al di fuori degli USA – le quali erano in grado di decretare chi fosse la vera stella del momento.

Non rientra nello scopo di questo articolo affrontare il discorso di quello che mi piace definire il “personal Jesus”, ovvero ognuno con le informazioni a disposizione è in grado di crearsi la propria immagine del campione da idolatrare, ma è innegabile che questi giocatori godano, almeno agli occhi dei fan leggermente più attempati, di un alone di gloria che le nuove leve non sono in grado di scalfire.

Questi quattro campioni non sono gli ultimi della loro classe ad appendere le scarpe al chiodo, basti pensare che in questa stagione potremo vedere ancora all’opera nomi del calibro di “Wunder” Dirk Nowitzki, Vince “Vinsanity” Carter e Manu Ginobili, non proprio tre nomi qualunque.

Ma, insieme a Pierce, rappresenteranno l’ultimo baluardo di un gioco in via di estinzione, quello in cui il tiro da tre era si importante, ma il gioco all’interno dell’area piccola era ancora ben impresso nei taccuini di ogni allenatore di basket.

 

 

Un gioco dove il tiro da poco oltre la linea di metà campo era l’eccezione piuttosto che la regola. Un gioco dove il tiro da tre serviva per non concedere quel metro in più al difensore che gli avrebbe permesso di bloccare la penetrazione dell’attaccante.

 

Vince Carter e Dirk Nowitzki

Immagini come questa tra un anno, probabilmente, non le vedremo più (Photo: Kevin Jairaj, USA TODAY Sports)

 

La stagione iniziata il 26 Ottobre scorso è monca di tre degli interpreti più sopraffini dell’arte del gioco del basket.

Altri sono sulla rampa di lancio, ma come succede sempre, nessuno è uguale a nessun altro ed ogni nuovo interprete porta con sé qualcosa di nuovo modificando e plasmando il gioco a sua immagine.

Con un po’ di nostalgia rimpiangeremo l’epoca conclusasi, così come prima di noi si era rimpianta l’epoca dei Larry Legend e dei Magic Johnson, e prima ancora quella dei Doctor J, e così via fino alla nascita della lega cestistica più importante al mondo.

Adesso il palcoscenico se lo condivideranno i vari Curry, Durant, Westbrook, Lillard, James, ecc. Finalmente non avranno più il peso delle legende del passato e potranno lottare per lo scettro di migliore al mondo, fermo restando che questo titolo, nell’era di internet difficilmente avrà lo stesso significato di prima.

Al giorno d’oggi, molto probabilmente, arrivare ad essere unanimemente considerato facente parte della ristretta cerchia dei migliori 10 sarà già un successo.

 

 

 

Se vi piace l’idea di avere altre storie di NBA fatemelo sapere nei commenti, sarò ben felice di scrivere di una delle mie passioni più grandi.