Jackie: la forza ed eleganza di una Kennedy

Jackie

È stato l’ultimo ad essere entrato nel Concorso della Mostra del Cinema di Venezia, ma Jackie di Pablo Larraín si conferma essere fin dal primo minuto il vero vincitore di questa 73esima edizione.

Il ritratto oggettivo, carico di giustizia, emotivo e ricco di sfumature di una donna che è divenuta il modello femminile per tutto il mondo. Una donna inquadrata in due momenti diversi della sua personalità. La trasformazione di un’icona conosciuta fino a quel momento esclusivamente per la sua eleganza e non per il suo coraggio.

L’acclamato regista Pablo Larraín porta al Lido con Jackie una storia dalla grandiosa potenza, “usufruendo” di una Natalie Portman che mette fin da subito d’accordo gli animi per la meritata e per ora solo ipotetica nomination agli Oscars 2017.

Prima ancora di poterlo vedere, Jackie trascinava dietro di sé il positivo presentimento di un Leone d’Oro, ma dopo la visione ci sono poche parole da poter dire se non: vincitore assoluto.

La Mostra del Cinema di Venezia non è ancora finita, eppure la stampa è unanime nel dire che la Jackie di Pablo Larraín meriti il premio più prestigioso di tutta la Mostra.

Eppure Jackie è molto più di un “semplice” premio. Dietro questa pellicola c’è la storia di una grande donna che, nel momento più oscuro e disperato della sua vita, ha mostrato al mondo intero la sua tenacia e dignità, il suo orgoglio e forza degna di una First Lady, pronta a prendersi gli oneri lasciati da una personalità come J. F. Kennedy.

Nel mio paese non siamo così legati a questa storia, ma l’ho interpretata come una grande opportunità. Una grande storia da raccontare. E mi sono chiesto: cosa vuol dire mettersi al suo posto?

Afferma Pablo Larraín in conferenza stampa, il quale si contraddistingue, come sempre, per una grande maestria nell’uso della macchina da presa. Cattura sguardi, silenzi e sensazioni senza bisogno di estetismi forzati. Lascia penetrare lo spettatore nello sguardo soggettivo di Jackie Kennedy, e la segue silenziosamente nel suo percorso, nel suo limbo, durante i primi quattro giorni dopo la morte del Presidente.

 

Jackie

 

La pellicola si apre con la sensazione di qualcosa di distorto.

La pellicola si apre con la sensazione di qualcosa di distorto. Qualcosa che ha fin da subito il sapore di tragedia, mancanza. Un’immensa casa isolata. Bianca. Sterile. Fredda. Una casa odiata da Jackie stessa, dove una scena più tardi si immerge nel verde, lasciando sullo sfondo le due piccole figure della ex First Lady e del suo intervistatore.

Nonostante lo sguardo della disperazione sia ancora impresso come un fitto velo negli occhi della donna, la forza di mettere immediatamente le cose in chiaro non le manca. Non una parola verrà distorta. Non una riga verrà pubblicata senza la sua autorizzazione.

Un corpo minuto, estremamente femminile, fasciato da abiti casual ma che non tradiscono la consueta eleganza. Il taglio divenuto un evergreen per tutte le donne e la sigaretta a mezza labbra. Una voce minuta, un sussurro continuo. Eppure inutile farsi ingannare dalle apparenze. La Kennedy riesce immediatamente a spiazzare il suo interlocutore, e con lui il pubblico stesso, ponendosi come capo assoluto di quella situazione, di quella storia.

La narrazione si dirama tra il presente dell’intervista, i due passanti del racconto, ovvero quello durante l’attentato e i giorni successivi alla morte, e un futuro prossimo a quello stesso incontro.

Uno sviluppo non lineare e che proprio per questo motivo riesce a dare dinamismo.

Uno sviluppo non lineare e che proprio per questo motivo riesce a dare dinamismo a una pellicola densa di avvenimenti e di sentimenti. Il racconto sembra addirittura più dilatato della sua reale durata, eppure impossibile è distogliere lo sguardo dallo schermo. Impossibile non discendere nel dolore di una donna, da sempre considerata come unicamente un modello di moda ed eleganza, mostrando al mondo intero l’indole di una vera guerriera.

Pablo Larraín con Jackie porta in scena il battesimo nel sangue di una donna, la perdita della sua ingenuità, che ha avuto il coraggio di mettersi contro le più grandi istituzioni, pur di rendere giustizia all’uomo che lei ha amato. L’uomo che ha guidato gli Stati Uniti per due anni. Uno degli uomini che la società ha sacrificato per la vanità di ideologia senza significato.

 

Jackie

Non era perfetto. Ed era dalla sua imperfezione che migliorava, giorno dopo giorno, diventando sempre più forte.

 

Jackie Kennedy, nel giorno peggiore della sua vita, il 22 Novembre del 1963, nella solitudine di un riflesso sporco di sangue allo specchio, raccoglie le sue forze e si mostra nella sua integrità.

Sopporta in silenzio il tanto riprovevole quanto necessario giuramento del nuovo Presidente, rispondendo con freddezza e indifferenza agli sguardi di compassione.

Non è la pietà che questa donna cerca. Non la misericordia o la compassione di nessuno. Il senso di giustizia e commemorazione, il voler lasciare un segno per suo marito, è ciò che Jackie Kennedy vuole davvero.

Marciare, avvolta dalla folla, senza curarsi degli eventuali pericoli, accanto alla tomba del marito. Un marito sicuramente non perfetto. Un marito, una famiglia con alle spalle molti, troppi segreti. Eppure non si troverà un solo momento in cui Jackie rinfaccerà qualcosa all’uomo che l’ha resa quello che mostra di essere in quei momenti di debolezza.

Una debolezza confessata con vergogna.

Una debolezza confessata con vergogna, alle orecchie indiscrete del proprie prete, in un dialogo perfettamente sceneggiato. Una debolezza che non può mostrare davvero, ma che traspare nel suo sguardo di donna, coperto dal velo del lutto sotto la sacralità di quella lunga marcia funebre. vera ammissione di non potercela fare e che, al tempo stesso, porta con sé il dovere di andare avanti, continuare con la vita.

Pablo Larraín alterna scene di isolamento a scene di gruppo per la sua eroina. La vediamo percorrere, dopo la dura corsa in ospedale, il giuramento, scendere ancora una volta da un’aereo e affrontare la folla, i lunghi corridoi della Casa Bianca.

E con il vestito ancora sporco, divenuto icona di uno degli omicidi più famosi della storia, cammina lentamente per questi enormi e sfarzosi ambienti. Apre le porte. Cerca nelle stanze. Quelle stesse stanze che ha ristrutturato con passione, mantenendo vivo la memoria dei grandi Presidenti che vi hanno alloggiato, mostrandola al mondo intero.

Non proferisce parola, eppure c’è qualcuno che lei sta disperatamente chiamando dentro di sé. Qualcuno che non potrà risponderle, facendo sopraggiungere la rassegnazione. Una rassegnazione che cancella via il sangue sotto l’acqua scrosciante della doccia, ma che non ripulisce dalla disperazione.

Natalie Portman si dimostra essere la scelta perfetta per Pablo Larraín. Chiamare l’Oscar per quest’attrice non è un’esagerazione. La Portaman scivola nelle vesti, esterne e interne, di Jackie Kennedy. Entra in contatto con lei. La comprende. L’accoglie nella sua essenza, trasmettendo l’intero animo di questo personaggio attraverso le parole e gli sguardi.

Ho sentito questo ruolo come il più pericoloso. Perché tutti sanno com’era lei, come parlava e camminava e quindi tutti avevano una loro idea. Mi sono confrontata ogni giorno con l’originale, e mi faceva paura. Ho cercato di fare il mio meglio per far sì che la gente potesse accettare che ero Jackie.

 

Nella sua grazia, voce minuta e quasi svampita, il fuoco è forte e ardente. Natalie Portman riesce a trasmettere ogni sensazione di questo singolare personaggio, non solo icona di moda e stile femminile, ma modello di donna forte e coraggiosa da seguire. A dare luce a un personaggio apparentemente conosciuto, svelando quelli che sono i suoi misteri.

 

Jackie

La grandiosità del funerale di Kennedy, le scelte intraprese da sua moglie, l’abbandonare con dignità quella casa che per due anni l’ha ospitata, mostrandosi al mondo al massimo della sua fierezza, non è un ostentare vanità.

Nell’intervista questa volontà traspare chiara e forte.

Non ho mai voluto la celebrità. Sono solo diventata una Kennedy.

Il lavoro regista e attrice è notevole in questo caso. Pablo Larraín da umilmente sfoggio delle sue abilità come regista, stando attento ai dettagli, alle sequenze più emotive, all’uso della musica e delle vere immagini d’archivio inserite nel racconto, ma si concentra, soprattutto, sulla sua attrice.

La Portman è un miraggio in questa pellicola. Il ruolo meglio interpretato da un’attrice che negli anni ha saputo regalare al suo pubblico enormi sorprese.

La sequenza finale, la chiusura della pellicola, è ciò che solleva alla perfezione la Jackie di Larraín. La scelta di far vedere, solo sul finale per non rubare l’attenzione dalla sua protagonista, la brutalità di quello sparo, il corpo di Kennedy morto, alternato allo sguardo occultato della protagonista durante il funerale, mostra la potenza totale della pellicola.

Pablo Larraín con Jackie porta al cinema il ritratto di una donna apparentemente conosciuta dal mondo, scivolando nella sua personalità più misteriosa. Cerca di svelare il segreto dietro a una delle figure più carismatiche e importanti, conosciuta non sempre per tutti i suoi aspetti. Il regista invita lo spettatore ad andare oltre la storia e captare la reale essenza di Jackie Kennedy senza mai dimenticarla.

 

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