A Morte Hollywood! I Film che Distruggono il Mito

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Hollywood, la terra dei sogni e degli incubi. Il cinema, macchina di successo e di miseria, trasfigurazione del reale e canale che distorce la percezione del mondo… soprattutto di chi si addentra nelle folli e labirintiche dinamiche della Mecca del Cinema.

Fin dagli albori della Settima Arte il cinema americano ha riflettuto su se stesso; Buster Keaton sovvertiva la grammatica delle inquadrature e le utilizzava a fini comici irresistibili in Sherlock Jr. nel 1924, ma tutto questo ben presto si tradusse in una critica al sistema produttivo.

Autori e registi si resero conto della triste grandezza che si celava dietro i fallimenti e le tragedie che si consumavano dietro i riflettori.

Un filone narrativo, quello del “Hollywood racconta Hollywood” diventato un vero e proprio genere a sé, quasi sempre contraddistinto da un tono cinico, disilluso e satirico.

 

Un filone narrativo, quello del “Hollywood racconta Hollywood” diventato un vero e proprio genere a sé.

La fabbrica dei sogni è in realtà un inferno che inghiotte e dispensa successo al prezzo dell’anima.

In qualche modo i protagonisti di queste storie, consapevoli o meno, finiranno nel tritacarne.

Ed ecco arrivare, nel 2016, Ave, Cesare! il nuovo, attesissimo film dei fratelli Coen, geniacci indiscussi e autori di capolavori che riflettono spesso sulla natura dell’arte e del cinema.

 

 

 

George Clooney è una star bollita, attore rapito nel bel mezzo delle produzione di un kolossal in costume; Channing Tatum il bello senza cervello ballerino provetto; Scarlett Johansson una starlette molto sportiva e Tilda Swinton la regina del gossip… completa il quadro il fixer (ovvero il Mr. Wolf della situazione) incarnato da Josh Brolin.

Tutti personaggi-archetipo della capitale americana del Cinema dell’epoca d’oro: i loro segreti, le loro passioni, le stranezze e le follie saranno raccontate in modo brillante dai Coen, ne sono certo.

Ma quali sono altri notabili esempi di film che hanno esplorato il lato oscuro di Hollywood, mettendo a nudo le contraddizioni, le assurdità e l’ipocrisia?

Inutile cercare di iniziare da un film che non sia il capolavoro assoluto della destrutturazione del mito del cinema – e, incidentalmente, un noir in piena regola pur senza investigatori privati.

 

Viale Del Tramonto

Viale Del Tramonto (Sunset Boulevard, Billy Wilder 1950), che non per niente nelle locandine americane riportava esplicitamente la dicitura “A Hollywood Story“.

Più chiaro di così.

 

 

Un film che raccontava lucidamente e in modo spietato delle miserie che circondavano il dorato mondo del cinema top-level, gli insetti e i relitti che popolavano le patinate collinette di L.A., l’illusione di fermare il tempo (e il declino) di una ex-star del cinema muto incapace di accettare la realtà.

Passando all’erede più recente…

 

 

Maps to the Stars

Film potente, affascinante, denso di significati e troppo sottovalutato del cattivissimo David Cronenberg, che completa un’ideale trilogia della psicanalisi iniziata con Spider e proseguita con A Dangerous Method.

 

Walk of f(l)ame

 

La trama portante è quella di una gustosa quanto straniante satira del mondo del cinema, visto come covo imbecille e superficiale di baby star viziate e apatiche, life-coach bolsi e cialtroni, vecchie glorie ossessionate dal passato.

Con un cast in stato di grazia e una sceneggiatura acidissima di Bruce Wagner, Cronenberg attualizza Viale del Tramonto e ci porta a “riveder le stelle” con una storia che naviga miracolosamente in equilibrio morboso tra dramma, ironia dissacrante e horror vacui, dove noi spettatori siamo in balia di personaggi familiari eppure stranianti.

Capolavoro indiscutibile.

 

 

E, a proposito di certi David

 

 

Mulholland Drive

Uno dei film più importanti e teorici di David Lynch nasce come serie tv, abortita e poi risorta grazie a capitali indipendenti: quale migliore ironia (reale) per un prodotto che avrebbe avuto come “trama orizzontale” e portante quella di un’aspirante attrice nel dorato mondo di Hollywood?

 

Vedi alla voce: "Hai tutta la mia attenzione"

Vedi alla voce: “Hai tutta la mia attenzione”…

 

Tutti i precedenti film di Lynch sono stati atti d’amore e ipnotici viaggi-esperimenti in altrettanti generi della Settima Arte (dadaismo, drammatico, romantico, road movie, fantascienza, noir…), mentre qui si arriva ad un dichiarato omaggio a tutto tondo alla storia passata e recente del Cinema.

In chiave rigorosamente lynchiana, of course.

Abbiamo quindi fin dal titolo il setting della strada che solca le colline di Hollywood, abbiamo una donna sensuale che viene chiamata Rita (qualcuno ha detto Hayworth?), abbiamo un cartello che recita “Sunset Boulevard“, un regista nevrotico, dei produttori dementi, un’aspirante attrice…

Tutta la prima parte, che è in modo evidente il pilot televisivo, viene completamente ribaltata nella seconda, che assume i connotati del controllatissimo delirio “alla Lynch” e assume una profondità magistrale.

 

Qualcuno ha detto "Loggia Nera"?

Qualcuno ha detto “Loggia Nera”?

 

Dal Club del Silenzio, in cui le performance sono talmente artefatte da sembrare vere (il cinema non è la vita reale, neppure per chi ne vive suo malgrado), alla doppia vita delle protagoniste che altro non è che la realtà che ribalta sogni/aspirazioni – fino all’epilogo di morte e follia, naturalmente.

 

 

Da rivedere cento volte, per vederci dentro cento significati diversi.

 

 

 

Il Bruto e La Bella

(The bad and the Beautiful, 1952)

 

Il regista Vincente Minelli riuscì nell’impresa di realizzare un bel film sul “cinema che parla di cinema” due anni dopo l’inarrivabile Viale del Tramonto, ma il suo approccio fu più melodrammatico.

 

Stronzissimo, praticamente David O. Selznick o Orson Welles

Stronzissimo, praticamente David O. Selznick o Orson Welles

 

Classico film che mi sono visto ai tempi dell’università, non ci avrei scommesso due euro, e invece… sebbene il titolo, per una volta fedele in ogni lingua, facesse presagire un torrido e palloso amore torrido tra Kirk Douglas e Lana Turner, la materia tratta è genuina e incandescente: un produttore geniale e megalomane trasforma in successo quel che tocca ma distrugge le persone.

Bello spaccato storico della Hollywood che va dagli anni ’30 ai ’50 del Novecento, ripercorre romanzandoli alcuni fatti e personaggi degli anni immediatamente precedenti, senza però renderlo incomprensibile a noi “pronipoti”.

Sbirciamo dietro le quinte il cinismo e l’arrivismo che imperano e, in un certo qual modo, sono necessari ad alti livelli

 

Odiamo ma comprendiamo il protagonista, e non mancano scene madri di grande effetto. La struttura a flashback, che ci mostra Douglas in relazione agli altri personaggi che nel presente… attendono una sua telefonata, è memore di Orson Welles ma efficacissima.

 

Con amici così, chi ha bisogno di nemici?

Con amici così, chi ha bisogno di nemici?

 

Tra l’altro, questo film ha avuto il curioso primato di vincere 5 premi Oscar senza essere neppure candidato nella categoria “Miglior Film”.

Da recuperare! Così come…

 

 

 

I Dimenticati

(Sullivan’s Travels, 1941)

 

Qui si parla di ambizioni e di sogni infranti. Già nel 1941 l’industria del cinema americano si divideva tra ferventi sostenitori del cinema “d’evasione” e quello “impegnato”.

 

No, non è Truffaut. Giuro.

No, non è Truffaut. Giuro.

 

Preston Sturges, abilissimo sceneggiatore di commedie brillanti e fresco vincitore di un Oscar (nell’anno in cui era candidato contro Chaplin con Il Grande Dittatore…) decise di mettere in scena il dramma di John Sullivan, un regista di commedie brillanti (ma va?) che sente l’esigenza di “fare l’impegnato”.

Sembra una cosa molto vicina a noi, vero?

Sarà l’inizio di una spirale di clamorose sfighe, una più colossale dell’altra.

Ecco, devi sapere che questa sua buona volontà, seguita dal progetto di fingersi un senzatetto per scoprire “la vita degli ultimi” sarà l’inizio di una spirale di clamorose sfighe, una più colossale dell’altra.

Vedere per credere.

 

Veronica Lake. Serve altro?

Veronica Lake. Serve altro?

 

La morale di questa amarissima favola nera, che consiglio caldamente di recuperare perché sorprendente, moderna e scritta davvero bene, è molto meno scontata di quanto si potrebbe pensare, sebbene un po’ paracula.

Ah, come dovrebbe intitolarsi il fantomatico film impegnato del protagonista? Ma ovviamente “Fratello, dove sei?

Esatto. Proprio lo stesso titolo che i fratelli Coen avrebbero ripreso pari pari nella loro divertente epopea cinefila del 2000.

Da bravi studiosi e cultori della Mecca del Cinema dei tempi d’oro, non potevano sottrarsi a questa strizzata d’occhio.

 

 

E, a proposito dell’anno domini 2000…

 

 

 

Hollywood, Vermont

(State and Main, 2000)

Gioiellino di scrittura e satira, firmato e diretto da quel grandissimo che risponde al nome di David Mamet, questa dimenticata pellicola rappresenta in salsa grottesca tutto ciò che uno come lui aveva da dire sull’ambiente hollywoodiano nel quale ha sguazzato alla grande.

Nessuno è innocente, indispensabile o… incorruttibile.

Sostenuta da un cast fantastico – tra cui William H. Macy, il compianto Philip Seymour Hoffman, Alec Baldwin, Sarah Jessica Parker – questa commedia brillante e amara mette in relazione il tronfio cinema di serie A (costretto a ridimensionarsi) e la sperduta provincia americana.

 

Attoroni.

Attoroni.

 

Budget a rischio, location sballate, copioni da riscrivere, registi sotto ricatto e sceneggiatori sull’orlo di una crisi di nervi, star femminili capricciose e maschili ingrifate di ragazzine…

Ce n’è per tutti i gusti e il desolante quadretto non dista di molto, probabilmente, dalla verità.

Dialoghi graffianti, tempi comici (come sempre in Mamet) perfetti, assurdità gustose garantite, tono beffardo e finale dolceamaro: che altro chiedere ad una pellicola che prende in giro il suo stesso ambiente?

 

 

 

Il Disprezzo

(Le Mépris, 1963)

Ma come, nei film che distruggono Hollywood citi una produzione italo-francese tratta da un libro di Alberto Moravia e diretta da Jean-Luc Godard?
Giac, cosa mi combini?

 

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Brigitte Bardot, Bardot / Brigitte beijou, beijou! -1

 

Umpf, fammi citare semplicemente la battuta del laido produttore americano Jerry Prokosch (Jack Palance):

Quando sento parlare di cultura, metto mano al libretto degli assegni.

C’è stato un periodo in cui Hollywood era innamorata dell’Italia e di Cinecittà; un periodo in cui un intellettuale poteva essere chiamato a scrivere una versione cinematografica dell’Odissea per gli americani.

Se il produttore è un viscido marpione con i dollari al posto dei globuli rossi e la moglie dello scrittore (Michel Piccoli) ha il corpo di Brigitte Bardot, il patatrac drammatico – ma anche teorico – è dietro l’angolo.

Ciliegina sulla torta, la presenza del regista tedesco Fritz Lang nei panni di se stesso.

 

Un film che distrugge la figura del produttore americano, della mentalità lucrativo-capitalistica applicata alla Settima arte, ma che al tempo stesso demolisce e ci rende repellente la figura dello scrittore intellettuale pronto a prostrarsi ad ogni compromesso per un quarto d’ora di celebrità.

 

Brigitte Bardot, Bardot / Brigitte beijou, beijou! -2

Brigitte Bardot, Bardot / Brigitte beijou, beijou! -2

 

Un film che parlava di qualcosa che si sarebbe poi puntualmente verificato sulla stessa pellicola.

La prima versione scontentò i produttori, l’italiano Carlo Ponti e lo statunitense Joseph Levine, che vollero Brigitte Bardot utilizzata in modo più erotico.

Godard fu costretto a piegarsi alle volontà di chi cacciava il grano, girando una delle scene sexy più iconiche del cinema e un’altra dove il nudo diventa insignificante rispetto al romanticismo di fondo.

Non male.

 

Brigitte Bardot, Bardot / Brigitte beijou, beijou! -3

Brigitte Bardot, Bardot / Brigitte beijou, beijou! -3

 

E, in conclusione, non possiamo che… tornare ai Coen.

 

 

 

Barton Fink – È successo a Hollywood

(Barton Fink, 1991)

 

Legati da sempre a doppio filo alla Golden Age del cinema sonoro, stregati dalla magia del cinema classico hollywoodiano, i fratelli Coen non potevano che puntare tutto là per quello che rimane il loro film più personale e felliniano (il finale non mente).

 

Taaaac.

Taaaac.

 

La storia dell’artista di talento che passa da Broadway al cinema.

La storia dell’artista di talento che passa da Broadway al cinema, dall’arte alla scrittura su commissione, dall’ispirazione al blocco dello scrittore, è il classico dei classici.

I Coen insaporiscono il piatto con una regia sopraffina, personaggi grotteschi e irresistibili, un viaggio allucinato in un limbo/inferno che simboleggia la “svendita” degli ideali alla macchina assurda e spietata delle Major.

 

 

L’hotel è una prigione mentale, i vicini sono adorabili squinternati che si rivelano psicopatici, gli agenti che dovrebbero rappresentarti sono degli stronzi e le zanzare ti divorano.

Povero Barton Fink, dagli onori del teatro impegnato a un ridicolo copione di un film sul wrestling!

Il quarto film dei Coen è talmente stratificato e ricco di trovate (e di generi: giallo, noir, slapstick) che sarebbe riduttivo considerarlo una “semplice” critica al mostro-Hollywood, sebbene i due siano sempre stati per un’impronta autoriale mal digerita dagli executive che pure li hanno sempre prodotti.

 

Gente rassicurante.

Gente rassicurante.

 

Hitchcock va a braccetto con Polanski, Sturges e Capra con Fellini, ci sono visioni iperrealiste, McGuffin, incubi e omicidi: cose che – appunto – possono succedere a Hollywood.

Visione obbligatoria prima del grande ritorno dei Coen con Ave, Cesare!

 

Altre pellicole meritevoli: I protagonisti di Robert Altman, Ed Wood di Tim Burton, Tropic Thunder di Ben Stiller, Get Shorty di Barry Sonnenfeld, Il Ladro di Orchidee di Spike Jonze, e naturalmente A Morte Hollywood! di quel pazzerellone di John Waters.

 

Ave, Cesare! sarà nelle sale italiane dal 10 marzo, scopri tutto sul film nel nostro hub dedicato: leganerd.com/avecesare
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