Martedì scorso una corte distrettuale americana ha ordinato alla Apple di rompere la protezione di un iPhone 5C collegato alla strage di San Bernardino per permettere all’FBI di penetrare forzatamente nel dispositivo e verificare la presenza di ulteriori informazioni utili alle indagini.

La Apple ha risposto dando supporto tecnico e consegnando i dati in loro possesso, ma si sta opponendo in maniera estrema alla creazione di un tool per la penetrazione del dispositivo.

 

Per chi negli ultimi mesi avesse vissuto esclusivamente sui realm di WoW, la Strage di San Bernardino è un attentato avvenuto lo scorso 2 dicembre in un centro per disabili dell’omonima cittadina californiana che si è concluso con la morte di 14 innocenti e il ferimento di altre 23 persone. I due attentatori, morti durante il conflitto a fuoco con le autorità intervenute, sono sospettate di essere affiliate a Daesh e l’FBI sta cercando di capirne di più.

 

Il motivo principale per cui Apple si sta opponendo è squisitamente tecnico: produrre un grimaldello che possa rompere le protezioni dei loro dispositivi diventerebbe un precedente pericolosissimo e potrebbe portare allo sfruttamento di questa debolezza per la creazione di nuovi strumenti di attacco che renderebbero vani (costosissimi) anni di ricerca e sviluppo sul tema sicurezza. Inoltre, creando un precedente per il governo americano, tutti gli stati/governi/regimi con casi di indagine simili potrebbero avanzare analoghe richieste.

 

E se un regime dittatoriale richiedesse di penetrare il telefono di un oppositore politico?

 

La questione è talmente delicata che lo stesso Tim Cook, CEO Apple, ha pubblicato una lettera aperta sulla questione

La questione è talmente delicata che lo stesso Tim Cook, CEO Apple, ha pubblicato una lettera aperta in cui spiega la posizione della società in cui spiega i rischi che possono venire dalla compromissione degli algoritmi di crittatura iOS, in cui introduce il problema della sicurezza dei dati e delle informazioni personali.

Alla tematica puramente tecnologica si affianca quindi la questione privacy: una persona soggetta ad indagine per qualsivoglia presunto crimine ha ancora diritto alla segretezza delle proprie comunicazioni?

 

Il caso arriverà probabilmente alla Corte Suprema

Su questi due temi si sta oggi dibattendo molto, e come era prevedibile altre aziende e influencer si stanno schierando con la Apple (come Twitter, Google, Facebook, Whatsapp, Amnesty International e altre associazioni per i diritti civili) o con il governo federale (Donald Trump ha chiesto il boicottaggio dei prodotti della Mela), ma l’ordine del giudice è esecutivo, e l’azienda di Tim Cook è riuscita solo ad ottenere qualche giorno in più per decidere sul da farsi. Il caso arriverà probabilmente alla Corte Suprema, al cui giudizio difficilmente la Apple riuscirà a opporsi.

 

La resa dei conti è quindi prevista per questa settimana: chi vincerà questo braccio di ferro, l’FBI o la Apple?