La vendetta del branco

«Guarda quella che sta salendo adesso sul calci in culo. Oh, sto parlando con te, Lupo! Ma l’hai vista? Mamma mia, cosa le farei…» urlò Cinghiale tutto sudato per l’afosa aria notturna, cercando di sovrastare con la sua voce profonda il volume della musica di M2O pompata dalle enormi casse dei giostrai.

Lupo guardò nella direzione indicatagli dal suo interlocutore, ma non rispose e continuò a bere dalla bottiglia di birra che aveva in mano.

«Ma chi? Quella? La vedo la domenica cantare nel coro parrocchiale» si intromise Bufalo.

«Le farei cantare io tutte le note della scala musicale, se solo riuscissi a metterle le mani addosso» continuò Cinghiale, mentre mimava dei colpi con il bacino e schiaffeggiava l’aria davanti al suo ventre pronunciato.

«Stasera sembra proprio che il nostro Cinghialotto sia su di giri!» disse Iena sghignazzando in modo sguaiato e attirandosi la rabbia e le bestemmie del compagno, oltre ad un pugno ben assestato sulla spalla sinistra a tradimento.

«Non mi chiamare più così o la prossima volta ti arriva in faccia» gli rispose il compagno.

«Guardandola bene, fa venire anche a me certi istinti» continuò Iena massaggiandosi con la destra sulla spalla dolorante per il colpo. Prima di scagliarsi, a sua volta, sul compare. Grazie alla sua costituzione fisica molto alta e magra riusciva a colpire Cinghiale e poi tenerlo a distanza quando quest’ultimo provava ad avvicinarsi. Lupo, nel frattempo, distolse lo sguardo da quello spettacolo scuotendo la testa rasata e si guardò intorno finché i suoi occhi non si posarono su qualcuno la cui vista gli fece ribollire il sangue nelle vene.

«Dai, fate i bravi. Stasera non ho voglia di vedere scenate» disse Bufalo, riuscendo con fatica a far cessare la scaramuccia tra i due. «E poi la ragazza che avete puntato è già impegnata»

«Ah sì?» esclamò, fingendosi stupito, Cinghiale. «E da quando questo è un problema?» disse grattandosi la testa e guardando la giostra che girava.

«Da quando esce con il figlio del Falco» fece Bufalo, indicando con un cenno del capo appena percepibile nella direzione opposta alla loro.

Gli altri due ragazzi guardarono dalla parte indicata dal loro compagno e i loro sguardi caddero sullo stesso soggetto visto da Lupo. Quello che videro era un loro coetaneo appoggiato a una transenna con le mani in tasca. Non era molto alto, ma dava l’impressione di essere molto solido, aveva i capelli scuri e indossava una camicia bianca e un paio di jeans. Sorrideva mentre guardava i vani tentativi della sua ragazza e l’amica di lei di acchiappare il codino appeso a mezz’aria che avrebbe garantito loro un giro gratis.

«Viste le poppe che si ritrova la biondina con cui esce, datemi l’opportunità e trasformerò la ragazza del figlio di un Falco in quella del figlio di un Becco. Cadesse in mano mia per cinque minuti, non se lo dimenticherebbe per tutta la vita. Uomo di panza, uomo di sostanza» disse Cinghiale toccandosi la pancia, suscitando le risate sguaiate di Iena e un sorriso sarcastico da parte di Bufalo. Lupo, però, continuava a bere e a lanciare occhiatacce dalla parte del figlio del Falco.

Intanto dalle casse risuonò la voce del giostraio che annunciava la fine del giro. Non appena la giostra si fermò, la ragazza scese dal seggiolino, si aggiustò la fine maglietta rossa che le era risalita durante la corsa, disse qualcosa all’orecchio dell’amica e si affrettò a dare un bacio al ragazzo che l’aspettava appoggiato alla transenna. Nel viaggio attirò su di sé gli sguardi di tutti i presenti, era bionda e bella e di gentile aspetto. Dopo aver scambiato quella fugace effusione amorosa, tornò a sedersi davanti all’amica che era rimasta ad aspettarla sulla giostra.

I quattro seguirono i passi della ragazza con sguardo lascivo, prima che Cinghiale riprendesse a parlare.

«Allora? Chi va per primo?» chiese tergendosi la testa piena di goccioline di sudore con il fazzoletto che teneva sempre in tasca per questi spiacevoli inconvenienti.

«Devi sempre farti riconoscere? Ti ho già detto che stasera non ho voglia di scenate. Nel caso tu non l’abbia capito, e visto come ti comporti non credo tu l’abbia afferrato, questo significa che dobbiamo tenere un basso profilo. Ultimamente stiamo attirando un po’ troppo l’attenzione» gli rispose Bufalo con tono pedante.

«Sempre a bacchettare, sta’ un po’ zitto, va!» fece Iena non appena il compagno finì di parlare.

«Cosa hai detto, scusa?» rispose Bufalo, lanciandogli uno sguardo torvo. «Se non era per me, saresti diventato cibo per i vermi durante l’ultima operazione. Te lo ricordi vero?»

«Eh, adesso! Senti cosa sta dicendo questo! Sbaglio o è stato il mio destro a stendere il bastardo che aveva strappato la maschera a Iena?» disse Cinghiale tutto fiero.

A Lupo scattò l’angolo destro della bocca e gli si dilatarono le narici non appena sentì pronunciare le parole “operazione” e “maschera”, ma la folta barba che gli ricopriva il viso nascose queste sue manifestazioni emotive. Bufalo, intanto, si piantò in faccia a Cinghiale, con la testa un po’ abbassata, come se volesse partire alla carica.

«Ok, ma chi è corso ad aiutare Iena quando quel incompetente è finito a terra, eh? Se stavamo ad aspettare che arrivassi tu, a quest’ora eravamo finiti!» rispose Bufalo tutto accalorato.

«Oh, incompetente a chi?!» si intromise Iena, dopo che ebbe realizzato che l’incompetente in questione era proprio lui.

«Stattene fuori dagli affari dei grandi, Iena, è una faccenda personale tra me e Bufalo! Ti faccio vedere io se arrivo in tempo o no…» disse Cinghiale, la cui camicia aveva assunto una gradazione di colore più scuro per il sudore. Dicendo così serrò la mano destra e si preparò a sferrare il suo colpo più micidiale. Iena continuava a spostare lo sguardo da un compagno all’altro, per capire chi avrebbe attaccato per primo e, quindi, chi aiutare a sopraffare l’altro.

«Camerati!» parlò, in fine, Lupo, facendo scattare sull’attenti gli altri. «Mantenete il giusto contegno, vi state comportando come degli animali, in pubblico. Piantatela di dare spettacolo, non vogliamo che gli altri ci notino più del solito. Voi due: se vi sento ancora parlare davanti ad altre persone delle nostre scampagnate vi taglio la lingua con le mie stesse mani, intesi?» rimproverò Bufalo e Cinghiale, che abbassarono lo sguardo.
«E tu piantala di ridere» disse rivolto a Iena, al quale morì il sorriso sulle labbra «sono forse un pagliaccio, io?» continuò Lupo, facendo abbassare gli occhi, questa volta, all’altro compagno rimasto. «Comunque tu, Cinghiale, hai ragione,» disse sorridendo maliziosamente «la biondina merita una compagnia migliore di quella di adesso. Glielo spiegheremo bene quando ci imbatteremo per caso in lei sulla strada di casa» e con un gesto molto plateale guardò l’ora sul suo Rolex nuovo. «Fratelli, è ora di andare a prepararci per dopo» disse Lupo e condusse i suoi compagni lontano dal caos delle giostre che, come ogni anno, erano venute ad animare l’estate di quel paesello.

Intanto la ragazza aveva finito il suo giro sul calci in culo con l’amica, perdendo miseramente l’opportunità di conquistarne un altro gratis, ma ridendo di gusto per le disavventure che aveva vissuto mentre era sospesa a mezz’aria. Si ritrovò davanti all’amato proprio con quelle risate che l’accompagnavano e risuonavano nella notte del paesino illuminato dalle luci dei giostrai. La serata passò in fretta, i due, abbandonata con un pretesto qualsiasi l’amica di lei, gironzolarono tra tutto quello che offriva la festa del paese: mangiarono zucchero filato, cercarono, invano, di far entrare dei cerchietti troppo piccoli per i premi giranti in palio e infine vinsero una bambola dopo aver sparato alcuni colpi con il fucile ad aria compressa.

Arrivò l’ora di andarsene a casa e il figlio del Falco si offrì cavallerescamente di accompagnare la fanciulla fin davanti alla soglia del suo castello. Pur vagabondando sotto alla luce aranciastra dei lampioni per le vie deserte che portavano alla casa di lei, la strada sembrò troppo corta. Mentre si apprestavano a percorrere gli ultimi passi che avrebbero portato a imboccare il lungo viale buio, in fondo al quale si trovava la casa, la loro attenzione fu attirata da un urlo che non poteva provenire da un essere umano. I loro sensi si attivarono e di colpo si bloccarono sul posto come se fossero paralizzati. Un ululato squarciò la notte.

Dei passi riecheggiarono e spuntò fuori una nera figura incappucciata il cui viso era coperto da una maschera che agli occhi dei due ragazzi parve un lupo. I due innamorati indietreggiarono, sorpresi per la visione comparsa loro davanti.

«Vai da qualche parte, bellezza?» disse con voce stridula una figura allampanata, incappucciata e mascherata come la prima, che aveva sbarrato la loro ritirata. Il figlio del Falco capì quello che stava per succedere da lì a poco e serrò i pugni, preparandosi a una lotta dura e impari. Non passò molto, infatti, e una terza figura vestita in modo identico agli altri due gli si fece incontro, caricandolo frontalmente. Al ragazzo bastò schivare i due pugni che partirono dall’ultimo arrivato. Notò che la maschera di questo ricordava un bovino, proprio mentre le sue nocche impattavano contro le tempie dell’avversario. Per l’adrenalina dello scontro il ragazzo non notò le goccioline rubiconde che macchiarono l’asfalto dopo essere cadute dalla sua mano. Il primo avversario era steso a terra.

Arrivò il secondo e lo cinse alle spalle. In un batter d’occhio il ragazzo alzò l’anca e lo proiettò per terra e, vista lo posizione favorevole in cui era caduto, applicò al nemico una leva al braccio destro. Al ragazzo spuntò un sorriso quando sentì il “crac” dell’osso che si spezzò. Si alzò e si girò per affrontare quello con la maschera da lupo.

Bam. Non vide mai chi o cosa lo colpì. Si ritrovò disteso sull’asfalto, ansimando e cercando di prendere aria mentre un fiume caldo gli riempiva la bocca di un sapore metallico. La sua lingua schizzò come impazzita nel tentativo di individuare la fonte di tale flusso, e, con suo grande stupore, notò di avere un buco tra quelli che prima erano stati i suoi incisivi. Gli mancava un dente. O meglio, glielo aveva fatto mancare chiunque avesse sferrato il colpo.

Intanto, Lupo squadrò dalla testa ai piedi la ragazza bionda che tremava, soffermandosi sulle curve messe in risalto dai vestiti, e si leccò le labbra, ma visto che il suo viso era coperto dalla maschera nessuno lo notò. La ragazza, venuto meno il suo coraggio e il suo difensore, cominciò a correre verso casa. Nella corsa non si accorse che le era caduta la bambola vinta prima al tiro a segno, bambola che giaceva ora abbandonata al suo destino.

«Voglio darti l’estrema unzione prima di mandarti all’altro mondo» disse Lupo, mentre pisciava sulla faccia del ragazzo che giaceva ancora per terra, cercando di rimettere insieme i suoi pensieri. «Alza ‘sto sacco di merda, Cinghiale» e il suo compagno obbedì all’istante. La mano destra di quest’ultimo era gonfia oltre misura, deformata in seguito al colpo sferrato prima. Era micidiale quando arrivava a segno, ma richiedeva quasi sempre il suo pegno: probabilmente la mano era rotta e non era la prima volta che gli succedeva.

«Voglio proprio vedere la faccia che farà quello sbirro di merda di tuo padre quando gli manderò in una scatoletta le tue palle» continuò Lupo, ormai fuori di sé per l’odore del sangue e l’estasi del momento. «La prossima volta ci penserà su due volte prima di sparare, non credi? La prossima volta non sparerà e non mi porterà via mio fratello, non credi? Eh!» urlò in faccia al ragazzo che era sorretto in piedi a fatica da Cinghiale.
E poi lo colpì. Una, dieci, cento volte, finché quello che lo sorreggeva non riuscì più a farlo. Una volta caduto a terra continuò a colpirlo. Gomitate, ginocchiate in testa, finché il bersaglio non si mosse più. Lupo, non pago, lo fece sedere e gli cinse la gola in una morsa fatale che non mollò se non dopo alcuni interminabili minuti.

Si tolse la maschera e il suo viso era madido di sudore. Aveva il fiatone e il cuore gli martellava in petto. Non si era sentito tanto bene in tutta la sua vita. L’odore del sangue gli inebriava la mente e lo faceva sentire un dio. Un dio che aveva appena fatto giustizia. Andò a controllare le condizioni degli altri suoi compagni, assicurandosi che fossero in grado di proseguire. Notò che per terra c’era la bambola che aveva visto in mano alla bionda.

«Alzatevi, fratelli! La notte è ancora lunga! E poi, alla ragazza mancherà la sua bambola. Dobbiamo portagliela»

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