Festa!

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C’è una festa che nessuno ha organizzato e la musica giusta è solo nella tua testa. Qualcuno sta fumando dell’erba. Sei seduto su una sedia di vimini e l’ambiente ti è familiare. Sono le persone ad essere estranee. Quasi tutte.

Nel mobile di fronte a te ci sono bomboniere che si inseguono lungo il piano di cristallo e fissano momenti nell’eternità della tua vita. Comunioni, battesimi, matrimoni, lauree, compleanni importanti.

Sul soffitto è dipinto un grande fiore viola.

Dipinto è una parola grossa in realtà.

È solo carta da parati. Tappezzeria. Come te in questo momento.

Comunque la stanza è solo contorno. Sfondo sbiadito per il tuo sguardo che si focalizza su un singolo elemento del caos.

Lei.

Capelli mossi castano che si perdono nel biondo della cenere di un qualche trattamento dal nome impronunciabile le incorniciano il viso e due occhi stanchi indicano una settimana di lavoro e studio ed un weekend di alcool.

È domenica sera.

Non la vedi da quattro giorni. Sì. Esattamente. Conti il tempo dall’ultima volta che l’hai vista.

C’è tutta una razionalità dietro quello che provi che ti spinge a cercarla in determinati momenti del giorno, in determinati giorni della settimana.

Indossa un completo nero ed una cintura con un rilievo. Nera pure quella.

È casa sua, ma ha l’aria di non capire bene come ci sia arrivata lì tutta quella gente.

Provi a concentrarti sul tizio seduto al tavolo che è troppo ubriaco per riuscire a chiudere la canna ed un suo amico lo insulta in una lingua di neologismi insulsi che lo rendono fastidiosamente alternativo.

Decidi di non volerti perdere in riflessioni morali sulla deriva dei tuoi coetanei.

Guardi l’orologio.

Mezzanotte.

Tecnicamente è lunedì.

Tecnicamente fra sei ore devi alzarti per andare a lavorare.

Tecnicamente lei è nella stessa situazione.

Ti chiedi a che ora se ne andrà quella gente e a che ora potrà andare a dormire.

Non vale la pena chiederselo.

Ti alzi borbottando che è tardi e che domani devi lavorare, ma nessuno sente, a nessuno importa.

Il tizio ha acceso la canna.

Lei ti accompagna alla porta.

Ti abbraccia e ti guarda attraversare il viale ed entrare in macchina.

Non puoi portarla via da tutto questo.

Perché lei non vuole.

Dovresti tornare a casa, ma non ti va.

Così bruci benzina e giri a vuoto.

Mentre miriadi di luci ti si confondono sul parabrezza lasci entrare il freddo dell’inverno dal finestrino.

La strada è bagnata.

Nessuno esce in questa periferia di domenica sera.

Figurarsi quando piove.

Vorresti tornare indietro.

Suonare al citofono, attraversare il vialetto a passo svelto mentre i viticci della pianta che ricopre il pergolato ti fanno cadere le piccole gocce di pioggia superstiti sul viso.

Lei ti aspetterebbe sulla soglia guardandoti con un misto di curiosità e preoccupazione.

Baciarla lì, nell’ingresso, davanti a tutti.

Affondare la mano nei suoi capelli ed appoggiare le labbra sulle sue.

Respirare la sua anima e scambiarvi colonie di batteri.

Con il fiore viola sul soffitto che sembra rifiorire e  sguardi sconosciuti che vi fissano.

Poi all’improvviso ti ritrovi sulla poltrona di vimini.

Lei è ancora là tra la folla.

“Si è fatto tardi”, mormori alzandoti.

Ti accompagna alla porta.

“Devo andare. Vieni?” le chiedi tendendole la mano.

Infinite stelle punteggiano una notte di novembre.

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