Dopo aver parlato dei sindacati dal punto di vista storicoveniamo oggi alla parte economica, vi avviso subito che sarà molto, molto più noiosa.

 

I Sindacati nell’Economia

Cosa ne pensa l’economia dei sindacati? Contrariamente ai malpensati la teoria economica non è avversa ai sindacati. Non è nemmeno pro ovviamente.

Ma questo perché l’economia è una serie di modellizzazioni e non ha valore di merito.
Compito dell’economia è modellizzare l’ambiente economico non dire cosa o cosa non fare, questo lo lascia fare a chi ne sa più di lei (poi ovviamente è suo compito rubarvi i soldi con il signoraggio e mostrare la pochezza delle idee sull’uscita dall’euro o sul reddito di cittadinanza ma questo lo fa for fun, a tutti piace prendere in giro le cazzate, anche all’economia).

Quindi andiamo a vederci un po’ di modelli.

 

 

Right to Manage

Il modello da cui partiremo è quello di Andrews e Nickell, formalizzato negli anni ’80.

Il modello da cui partiremo è quello di Andrews e Nickell, formalizzato negli anni ’80.
Questo modello introduce le diverse variabili in gioco e, pur con molte semplificazioni, spiega come funzionano i sindacati in economia.

Avviso già che non è semplicissimo e presuppone un paio di conoscenze pregresse, cercherò comunque di farla semplice e, per chi non fosse interessato alle formule, di metterla giù anche in maniera discorsiva.

Cosa teorizza il modello di Andrews e Nickell?
Iniziamo dalla versione base, in breve: raggiungere un equilibrio di Nash massimizzando l’utilità marginale del sindacato e quella dell’azienda modificando il salario (W), e mantenendo esogena la quantità di lavoro (L), in base al potere contrattuale delle due entità.

Aka

formula 1
Spesso mi chiedo se la spiegazione a parole sia più o meno complessa di quella numerica.

Vediamo di capire meglio.

Io sono un’azienda che ha bisogno di una certa quantità di lavoro (L) che voglio pagare un certo W, più pago questo L meno ne utilizzo (per quello si dice che L è esogeno perché è tenuto fuori dalla modellizzazione sebbene il suo valore sia collegato ad essa).
Però non sono solo io a scegliere, in quanto dall’altra parte ho il sindacato il quale non necessariamente sarà d’accordo con me su quale sia il W migliore.

Chiariamo intanto un paio di punti.

W (wage)

W è genericamente detto “salario” (wage) ma non è il mero salario in busta paga.

Per l’azienda W rappresenta il costo della forza lavoro, quindi il salario, ma anche le tasse, i benefici, le ferie, la mutua, qualsiasi cosa che deve pagare per avere a disposizione una certa quantità di lavoro L erogata da una certa forza lavoro, anche i diritti dei lavoratori.

Per lo stesso motivo nell’articolo userò “stipendio” ma lo intendo nel senso lato di cui sopra.

Notiamo inoltre che, sebbene spesso ci si polarizzi su idee preconcette, W non è necessariamente “basso per l’azienda, alto per i sindacati” ma è comunque diverso, ossia l’azienda cercherà di pagare un certo W che massimizza i suoi profitti e il sindacato cercherà di far pagare un certo W che massimizza i suoi di profitti (vedremo come, in certi casi, il W del sindacato potrebbe essere inferiore al W dell’azienda).

Nella formula P(W) è il profitto dell’azienda e V(W) è l’utilità del sindacato in funzione dello stipendio.

Ossia il sindacato ottiene utilità e l’azienda profitto ma, alla fine della fiera, entrambe puntano a un profitto sebbene considerino profitto cose differenti.
Mentre per l’azienda il profitto è facile da inquadrare, per il sindacato lo è meno (potrebbero essere stipendi più alti ma anche più occupazione, maggior prestigio, migliori condizioni di lavoro, protezione dai licenziamenti o anche solo potere politico o sociale).

Y (potere contrattuale)

Abbiamo quindi y.

Y rappresenta il potere contrattuale ossia la forza che hanno i due player di far valere le proprie ragioni.

Y è rappresentato in percentuale, nel senso che 1 è il potere assoluto e 0 è il potere nullo, se l’azienda ha, ad esempio, 0,7 allora il sindacato avrà solo 0,3 e va da se che, in questo caso, il sindacato avrà un profitto minore dell’azienda (sebbene anche l’azienda avrà un profitto minore in assoluto rispetto ad avere 1, situazione senza sindacato).

Utilità sindacale e outside option

Bene, fino a qui l’abbiamo fatta semplice, ma non è così semplice in quanto dobbiamo tener presenti anche altri 2 fattori:

a) l’utilità del sindacato è funzione della sindacalizzazione, ossia il sindacato ha vantaggio non in base a quanto riesce ad accaparrare (o meglio, non solo) ma anche in base a quante persone beneficiano di tale incremento: un sindacato che aumenta di 100 lo stipendio di 5 persone serve molto meno di uno che aumenta di 5 lo stipendio di 10.000 persone.

b) se la contrattazione fallisce l’azienda non produce (0 profitto in pratica perde tutto) ma questo non vale per i lavoratori, anche in caso di fallimento, gli operai percepiranno comunque un #W dato dagli ammortizzatori sociali (eg. Sussidio di disoccupazione).

Tenendo conto di questi due nuovi parametri cerchiamo di semplificare la nostra formuletta.

formula 2

Ahhh decisamente meglio! Andiamo ad analizzarla.

La prima parantesi quantifica l’utilità del sindacato, in pratica L/N rappresenta la forza lavoro occupata (persone che lavorano L sul totale dei lavoratori N, in pratica è il tasso di occupazione).

v(W) è l’utilità data dall’aver ottenuto un certo W per i lavoratori.

v(#W) è l’outside option ossia quanto guadagnerei comunque se non lavorassi quindi nel caso la contrattazione fallisse.

In pratica l’utilità del sindacato è data dal W che riesce a strappare pesato per il numero di lavoratori che ne usufruiscono (L/N) in misura di quanto questo W è maggiore della outside option.

Tutto questo elevato alla capacità del sindacato di ottenere risultati (y).

nota: L/N indica l’occupazione, non “Lega Nerd”.

La seconda formula rappresenta invece l’utilità per l’azienda.

In pratica si tratta di spacchettare P(W).

Ossia il profitto dell’azienda è dato da un certo F (guadagno ottenuto dalla quantità di lavoro L usata) per la quantità di lavoro L utilizzata meno il costo che pago per ognuna di queste L che uso.

Anche qui elevata in base alla sua capacità contrattuale (1-y).

Alcune note

Bene intanto chi mi ha seguito fin qui si sarà accorto di una cosa, L è usato sia nel tasso di occupazione che nella produttività, ebbene si, in economia un lavoratore è un “quantitativo di ore lavoro erogabili” o meglio “un quantitativo di lavoro erogabile”, in economia non esiste “uno vale uno!1!” ma uno vale in base alla sua capacità di erogare lavoro, se una azienda ha bisogno di un L pari a 24 ore potrebbe avere 2 operai da 12 ore o 3 da 8 ore, o 2 da 10 ore e uno da 4 ore.

Poi, nella fattispecie, c’è quasi sempre un modo per fare un equazione tra L e numero di persone necessarie, per quello si può usare in maniera indipendente in entrambe le equazioni, sebbene sia una semplificazione.

L’altra cosa, decisamente più importate, è che entrambe le equazioni possono andare in negativo, se W sale troppo il sindacato farà un buon guadagno ma l’azienda andrà in perdita, viceversa se W è talmente basso da scendere sotto l’outside option allora sarà il sindacato ad andare in perdita.

Ovviamente le cose possibili nella matematica non lo sono nella vita vera, nessuna azienda offrirà meno dell’outside option (se ci fosse un reddito di cittadinanza a 1000 euri per il solo fatto di esistere voi lavorereste per 800 euri? io nemmeno per 1.400) ne il sindacato chiederà un W tale per cui l’azienda vada in perdita (se no l’azienda chiude e la trattativa fallisce) o almeno non dovrebbe farlo.

 

 

Il Salario Ottimo

Esiste però un terzo punto al quale dobbiamo prestare attenzione.

Nella teoria economica W e L sono collegati nel continuo, questa è una presunzione abbastanza forte (nel mondo reale sono grandezze scalari) ma ricordiamoci che siamo in un modello matematico (inoltre con moli dati molto grandi, ad esempio a livello di nazione, è una assunzione corretta).

Questo significa che L è un bene e che quindi segue le leggi della domanda e dell’offerta: se il costo di L cresce se ne compra di meno aka se W sale troppo le aziende compreranno meno L assumendo meno.

Di conseguenza il W ottimo non è generalmente “alto” per il sindacato perché alla crescita di W corrisponde un abbassamento di L e, essendo che l’utilità del sindacato è pesata per il tasso di occupazione L/N potrebbe essere più vantaggioso un W basso che occupi molte persone che un W alto che ne occupi poche.

Prosaicamente: è meglio difendere i diritti di pochi o abbandonare tali diritti per permettere il lavoro di molti?

Non è una domanda retorica, fortunatamente c’è un modello per stabilirlo.
Eccolo qua.

grafico 1
Come al solito un’immagine dice più di mille parole.

Dove si pone il salario ottimo per i due contendenti?

Esattamente dove ce lo aspettiamo, dove le derivate prime sono equivalenti ossia dove il costo marginale è uguale al beneficio marginale.

Che in questo caso, corrisponde al massimo potere contrattuale raggiungibile dai due, c’è quindi un ottimo assoluto per il sindacato e uno per l’azienda.

Per il sindacato il costo marginale è una minore occupazione al crescere di W mentre il beneficio marginale è una maggiore utilità al crescere di W.
Per l’azienda il costo marginale è un minor profitto al crescere di W, il beneficio marginale non c’è (in quanto non siamo nel campo dei salari di efficienza e su quelli vi ci tedio un’altra volta o facciamo notte).

Osserviamo ora la figura.

Le due parabole sono due delle tante curve di indifferenza sindacale.
Una curva di indifferenza è il luogo dei punti dove il totale delle variabili coinvolte restituisce lo stesso risultato aka, nel nostro caso, il luogo dei punti dove il valore di W e quello di L danno la stessa utilità per il sindacato (ossia ho lo stesso vantaggio a occupare 10 persone a 20 euri che 20 persone a 10 euri).

Quindi su ogni punto della curva ho lo stesso vantaggio benchè varino W e L coinvolti.
Ogni curva di indifferenza però indica un valore totale diverso, nel senso, che la curva v2 da una utilità totale maggiore della curva v1: più una curva sta in alto, meglio è.

La retta invece è la retta della domanda di lavoro Ld(W) quindi quanto L sarà chiesto al variare del suo costo W.

Analizziamo ora i tre punti A, B e C.
Questi punti identificano le diverse situazioni in base la potere contrattuale dei due competitor.

Punto A, y = 0. (ottimo assoluto per l’azienda)
Il sindacato non ha potere, l’azienda stabilisce lo stipendio ottimo (ponendolo uguale al salario di riserva, il salario di riserva in economia è il minimo salario per il quale qualcuno lavora e, credetemi, è molto basso, a volte nullo come negli stage :troll:), di conseguenza assume tutti quelli che gli servono: L va al massimo possibile.
Se le aziende potessero scegliere vi darebbero 4 euri all’ora dopo una vita di stage e senza diritti ma assumerebbero tutti quelli che gli servono senza farsi problemi.

Punto C, y = 1. (ottimo assoluto per il sindacato)
Sindacato monopolista, decide lo stipendio ottimo ponendolo al massimo possibile, l’azienda non ha potere e subisce, può solo decidere quanto L assumere e ne assumerà il minimo possibile (nota: con minimo possibile intendo il minimo L che si può raggiungere nell’insieme degli L disponibili).
Quindi all’azienda converrà assumere pochissime persone che pagherà moltissimo e riempirà di diritti, alcune aziende potrebbero essere costrette ad assumere 0 e quindi a chiudere.

Punto B, 0 < y < 1.
Questi sono tutti i punti lungo la contrattazione, W e L saranno più alti o più bassi in base al potere contrattuale e a quanto le due entità riescono a tirare verso il loro punto di ottimo (A per l’azienda, C per il sindacato).

Come si può vedere i punti accessibili (ottimi generici) sono infiniti ma esiste per ogni curva di contrattazione un solo ottimo accettabile, ossia quello che rispetta il vincolo della domanda di lavoro (la retta inclinata).
Prendiamo il punto B, la curva di indifferenza è descritta da un certo y, quindi il sindacato ha un certo potere non assoluto.

Lungo questa curva ogni punto generato da un W e dal suo L è uguale per il sindacato ai fini dell’utilità ma non tutti i punti sono papabili, solo quelli in cui la curva tocca la retta della domanda di lavoro, che è il vincolo.

È ovvio che per me pagare 10 persone 20 euri o 20 persone 10 euri è uguale ma magari il mercato richiede solo 10 persone, le altre 10 non gli servono quindi prendo la prima scelta perché la seconda è impossibile.

I più accorti si staranno chiedendo perché non posso scegliere il punto più in alto ossia dove la curva v1 incrocia di nuovo al retta, bhe non posso per 2 motivi, il primo è che non cambia nulla per il sindacato (stessa curva –> stessa utilità), il secondo è che l’ottimo massimo raggiungibile è C, non posso andare oltre quel punto, non posso avere valori di W e di L maggiori di Wm o minori di Lm, sono limiti dettati dal sistema (non ha nulla a che fare con la vita reale ma solo con la matematica dove nessuno vieta di dire W = infinito).

Ovviamente ogni punto B non è un ottimo assoluto per il sindacato ma è il miglior valore raggiungibile data una certa retta di domanda del lavoro e una certa y di potere contrattuale.

Quando aziende e sindacati si scontrano lo fanno per accrescere il loro y così da imporre i loro W.

Queste sono le basi, nella prossima puntata: isoprofitto, contrattazione efficiente e curva dei contratti.

Vi lascio con una nota di Camo così magari non crollate addormentati sulla tastiera.

Nota di @camo
Ma nel concreto come possiamo innalzare, da una parte e dall’altra, il valore di y? Gli strumenti storici sono gli scioperi per i lavoratori e le serrate per gli imprenditori.
Almeno ufficialmente.

In realtà a mio parere quello che pesa come un macigno dietro questi strumenti è la situazione socio-politica che li circonda. Mi spiego meglio:
Le grosse conquiste sindacali sono concentrate, come visto nel mio articolo precedente, nei cosiddetti anni di piombo.

Questo non è un caso perchè proprio in questo periodo la cosiddetta “coscienza di classe” ha raggiunto il massimo storico.

Piaccia o meno, l’avanguardia della lotta operaia era in qualche maniera collegata al terrorismo rosso. Se contestualizziamo la cosa otteniamo un mix esplosivo (ok, pessima battuta….ma non sono riuscito a resistere) tale da farci dire che negli anni ‘70 uno sciopero non era, come oggi, una semplice manifestazione anacronistica con bandiere rosse qua e là.

Una manifestazione pubblica, in quegli anni, in difesa dei diritti dei più disagiati, ha quasi i contorni di una minaccia:

Io – sindacato – vi dico cosa vogliono i lavoratori. Se tu – Stato – non li ascolti, qualcun’altro avrà orecchie per farlo.

E lo Stato, temendo ripercussioni terroristiche, ha i giusti mezzi per spingere le aziende a concedere diritti (economici o sociali, questo non è importante) ai lavoratori.

Se pensiamo ad oggi paradossalmente succede il contrario:
La minaccia del terrorismo rosso è viva solo nei libri di storia e lo Stato ha altre gatte da pelare: La delocalizzazione del lavoro.

Il coltello dalla parte del manico lo hanno le aziende:

Io -[del]fiat[/del] azienda – vi do le mie condizioni contruattuali. Se tu – Stato- non mi ascolti ho tutto un terzo mondo dove andare a produrre a basso costo.

Sarà poi lo Stato a maneggiare la patata bollente con sindacati e lavoratori.

Tornando agli scioperi e alle serrate, non biasimo chi oggi giudica tutto questo anacronistico.

Ma non mi importa perchè questi strumenti rimangono, ad oggi, l’unico modo democratico per fare valere le proprie ragioni (e quindi, vedendolo dal punto di vista economico, alzare in proprio Y).