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Breaking the Euro: Si può uscire dall’Euro?

Breaking the Euro

L’altro giorno discutevo con un tizio ignorante come una capra buono manco a spaccare le pietre con la testa grillino a proposito di un’eventuale uscita dell’Italia dagli euri.
Tralasciando gli svariati “!!!” e l’essermi beccato un “servo delle banche”, l’unica cosa sensata che ho sentito è stata “Si ma alla fine tu non puoi sapere come andrà, nessuno lo ha mai fatto”.

Questo è vero, o almeno non è stato fatto in tempi recenti; ci sarebbe la de-rublizzazione a seguito della caduta dell’Urss ma si trattava di economie povere, poco integrate e scarsamente finanziarizzate, ci sarebbe ovviamente anche la de-sesterziarizzazione seguita alla caduta dell’Impero Romano ma non è un buon study case.

Ovviamente la discussione era già in vacca da un po’ quindi non ci ho prestato troppa attenzione.

Poi però mi sono chiesto: possibile che nessuno abbia seriamente preso in considerazione questa possibilità è l’abbia modellizzata? Non mi sembra una cosa credibile in un mondo dove si modellizza anche a che punto della catena produttiva in cui un laureato in psicologia mette l’insalata in un panino.

Infatti gli articoli abbondano.

Il problema è che molti sono settoriali (cosa succede al settore dell’economia X in caso di uscita dagli Euri), però ci sono anche buone analisi, ne ho guardate un paio e una valida che ho trovato è questa.

Me la sono letta e pur non condividendola punto per punto ve la riporto in forma di articolo (tradotta, riassunta, con qualche aggiunta, commento e soprattutto esemplificazione di passaggi magari astrusi) per 5 buoni motivi:

  1. è esaustiva ma di “alto livello” nel senso che il discorso è generale
  2. è stata fatta in tempi non sospetti (2007)
  3. è stata fatta da un economista esperto di politica monetaria
  4. quattro
  5. è fatta da un americano quindi da un osservatore esterno

L’analisi inoltre, al contrario di quelle apertamente schierate, ha il pregio di essere possibilista ma di evidenziare altresì le azioni di contorno che sarebbero da intraprendere.
L’autore è Barry Eichengreen, se volete leggetevi la wiki, in breve: è uno che ne sa.
Andiamo a iniziare.

Nota: prenderò in considerazione solo gli effetti economici, gli effetti politici non li capisco perché sono ignorante non mi interessano.

 

 

Uscire dagli Euri

La possibilità di buttare giù la moneta unica è stata analizzata fondamentalmente in 3 periodi della storia moderna: la prima volta quando gli Euri ancora non esistevano ma ovviamente si discuteva di cosa sarebbe potuto andare storto.

C’è stata una recrudescenza verso il 2005 – 06 a causa del sostanziale apprezzamento della moneta rispetto al dollaro e delle scarse performance economiche europee in parte legate alla politica monetaria della BCE e infine, ai giorni nostri in cui l’uscita dagli Euri è stata paventata da diversi partiti politici un po’ in tutta Europa.

Uscire dagli Euri pone il paese che facesse tale scelta davanti a delle difficoltà implicita sia di ordine politico che economico e non è così scontato che tale decisioni porti dei vantaggi apprezzabili automaticamente, sebbene tale possibilità non possa essere scartata a priori.

Curiosità: ci sarebbero grossi problemi anche di ordine tecnologico ad esempio riprogrammare tutti i software di gestione delle banche e di ogni sistema che gestisce denaro, nonché tutti i bancomat e le carte di credito.

Quello che deve essere chiaro fin da subito è che uscire dagli Euri non è una cosa che si fa dall’oggi al domani, richiede una serie di analisi che possono durare anni (più di una legislatura insomma) e la programmazione di una serie di misure complementari atte ad evitare l’incremento del debito, la perdita di potere d’acquisto, il rischio di collasso del sistema creditizio e la speculazione esterna o interna.

 

 

La Tenuta Generale

Chiariamo intanto questo concetto: il valore dell’Euro rispetta poco il valore che avrebbero le normali valute nazionali ma è frutto di decisioni economiche volte a rendere stabile la moneta e frenare l’inflazione, questo ha una serie di impatti alcuni positivi altri meno ma fondamentalmente un euro forte significa un’inflazione più controllata e maggiore facilità di import rispetto all’export.

Breaking the Euro

Chi esce dagli Euri?

Ovviamente gli scenari sono diversi a seconda della nazione che vorrebbe percorrere questa strada (c’è differenza tra il Portogallo e la Germania), contro intuitivamente l’uscita di nazioni sfigate (Portogallo, Grecia, Italia, Spagna) ha un effetto più negativo sulla tenuta della moneta rispetto all’uscita di nazioni forti (aka Germania e Francia).

Una nazione povera che esce dalla moneta unica e attua una potente azione di deprezzamento puntando a massimizzare gli export e a raggiungere la piena occupazione danneggia le nazioni con un’economia simile ma vincolate a una moneta forte, se ad esempio la Spagna mollasse gli Euri e deprezzasse le Pesete surclasserebbe le esportazioni portoghesi di prodotti simili ma vincolati all’Euro e invoglierebbe il Portogallo a mollare pure lui.

Viceversa se la Germania mollasse gli Euri per i Marci avendo un’economia potente e un’occupazione decisamente maggiore non sarebbe costretta a ricorrere al deprezzamento (anzi, sarebbe svantaggioso) e paradossalmente l’area Euro ne sarebbe avvantaggiata in termini di competitività (è possibile che il Marco cresca di valore).

Come detto l’Euro è “tenuto alto” per una serie di motivazioni economiche (è un po’ il prezzo di avere un mercato unico, forte e credibile), ed anche è probabile che, in uno scenario di abbandono da parte di diverse economie povere, le economie rimanenti potrebbero attuare una politica di deprezzamento per tornare concorrenziali rispetto alle altre monete nazionali e questo eroderebbe i vantaggi di essere usciti e aver deprezzato al moneta (oltre che aver perso i vantaggi impliciti di far parte della moneta unica).

C’è anche un corollario politico, se una nazione abbandona gli Euri non ha più voce in capitolo sulle politiche economiche della BCE e quindi le altre nazioni ne sono avvantaggiate per promuovere le loro scelte, se una nazione grande uscisse dalla moneta unica l’incentivo a rimanere per gli altri sarebbe maggiore perché vedrebbero accrescere la loro influenza politica sulle scelte economiche.

Depotenziare l’area Euro però va a detrimento di uno dei principali vantaggi della moneta unica, ossia la credibilità.

Se l’area di influenza dell’Euro decrescesse sensibilmente (ad esempio con l’uscita della Germania che da sola fa circa un quarto del mercato) il mercato europeo perderebbe gran parte suo valore rendendo meno appetibile l’intera area Euro per le economie straniere, appetibilità dettata dalla stabilità e dalla trasparenza.

 

Insomma, finche le nazioni sono unite possono dire “ci copriamo le spalle, venite pure qui a investire/comprare” se l’area Euro si riducesse tale beneficio inizierebbe a farsi meno importante.

 

 

Barriere Economiche all’Uscita

Veniamo al core dell’articolo, gli effetti economici di smollare gli Euri.
La domanda a cui dobbiamo rispondere è “Uscire dalla moneta unica e attuare un forte deprezzamento della valuta nazionale risolverà i problemi di competitività e di deficit della Nazione che persegue tale strada?”.

 

Effetti

I dati non sono così positivi.
Stati in cui la crescita economica è lenta e il rapporto deficit/PIL alto (aka l’Italia) potrebbero essere tentati dal fatto che, deprezzando la loro moneta nazionale e perseguendo una politica inflazionistica (aka stampare denaro), abbasserebbero il livello del debito.
Questo però si paga con un downgrade del rating e una crescita dello spread e dei tassi di interesse.

Per chi vuole qui sotto esemplifico il concetto.

[more]
Nonostante “le banche sono cattive e ci comandano con il debito1!1!!” spesso si tende a dimenticare come funziona il libero mercato.
Libero mercato significa che il mercato è libero (colpo di scema! Tautologie FTW :res:), il che significa che quando io Stato piazzo i miei titoli di stato sul mercato chiunque li può comprare, comprese le banche cattive.
Le banche cattive (e i tanti altri agenti tra cui fondi speculativi, assicurazioni, fondi di investimento, fondi sovrani, privati cittadini etc.) comprano in base a 2 parametri: rischio e ritorno.
Se uno Stato è a rischio insolvenza non compreranno i suoi titoli a meno che tali titoli non garantiscano un ritorno tale da rendere appetibile il rischio.

E’ il principio della roulette se io punto sul colore ho 50% di vincere, il rischio di perdere i soldi è basso (per un gioco d’azzardo) e la vincita è quindi bassa (diciamo 2x non vado al casinò spesso quindi non sono esperto), se io punto sul numero singolo il rischio di perdere i soldi è molto alto (diciamo 98%) quindi perché io sia disposto ad affrontarlo devo avere un incentivo alto (diciamo vincere 30x), se il casinò mi dicesse “rosso o nero 2x, numero singolo 3x” nessuno giocherebbe il numero singolo.
Devo invogliare l’acquisto del numero singolo promettendo premi alti.

Lo stesso funziona nell’economia, se io stato sono a rischio insolvenza o default significa che c’è il rischio che non ti ridia i tuoi soldi, con la differenza che se tu sei un mio debitore e non mi paghi io ti posso pignorare la Playstation, mentre con gli stati non va così, se uno stato si rifiuta di pagare fine li, non paga.
E con l’ulteriore differenza che lo stato emette titoli per tonnellate di moneta e quindi le perdite possono essere mostruose.

Di conseguenza se io stato a rischio default emetto titoli nessuno me li comprerà a meno che io non renda gustosa la faccenda mettendo degli altissimi tassi di interesse: “senti forse se mi dai 100 euri non te li ridò più, ma ehi, se me li presti ti do un 20% di interessi su quei soldi!”.
E cosa mi dice se uno stato è a rischio o meno?
Rating e spread.

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Quindi benché possa esserci un marginale vantaggio sul debito esso sarebbe compensato da una crescita dei tassi di interesse soprattutto sui nuovi titoli emessi, quindi si pagherebbero gli interessi sul debito molto di più.
Una nazione che non ha “le spalle coperte” è una nazione pericolosa che per invogliare i creditori esterni deve offrire tassi molto alti, soprattutto se è una nazione con un’economia fiacca (tutto questo discorso ad esempio non varrebbe per la Germania se uscisse dagli Euri).

Quindi la via di uscire dagli Euri per abbattere il debito non è vantaggiosa per nazioni che abbiano un debito alto, una forte dipendenza dal credito esterno e\o un’economia debole e un alto tasso di disoccupazione.

 

Possibili Soluzioni

E’ comunque una via percorribile?
Teoricamente si.

Questo però a patto che il paese diventi estremamente interessante dal punto di vista degli investimenti, e competitivo sui mercati principalmente a causa del basso costo del lavoro e del deprezzamento della moneta.
Il che significa però abbassare gli stipendi reali.
Una parte del perdita di valore degli stipendi è assorbibile tramite il deprezzamento (se io pago un operaio 100 lire o 100 euri e se il cambio lire/dollaro è 2/1 e quello euri/dollaro 1/1 c’è vantaggio per uno statunitense aprire una fabbrica in Italia), ma fino a un certo punto, il resto va fatto abbassando realmente gli stipendi o comunque erodendone il potere di acquisto a causa delle politiche inflattive.

Anche per quanto riguarda la credibilità sui mercati si può rimediare.
La letteratura economia ci dice che uno stato poco credibile, anche qualora facesse default, presto o tardi può riconquistare la fiducia dei mercati, a patto che attui una serie di riforme volte a favorire l’economia di scambio (riforme liberiste quindi improntate alla privatizzazione e alla liberalizzazione).

Quindi la strada è percorribile ci dicono i modelli, ma non è una strada in discesa tutta rose e fiori come qualcuno sembra credere.

Ci sono però alcune presunzioni molto forti.
La prima è che stipendi alti a causa di una distorsione del mercato (ad esempio dovuti a sindacati estremamente combattivi) e non legati al reale valore dell’economia, possano comunque rimanere alti frenando la competitività e non favorendo quindi la piena occupazione, rendendo labili i vantaggi del deprezzamento, o meglio facendo pagare i sacrifici in maniera diversa a seconda delle diversa forza contrattuale dei lavoratori.

La seconda è che gli stati membri dell’UE stiano a guardare.
Se uno stato uscisse dalla UE abbassasse il costo del lavoro di un 20% è probabile che la UE si difenderebbe imponendo dazi all’ingresso per le merci di quel paese al 20% o peggio, questo perché in economia non è visto di buon occhio risolversi i propri problemi interni alle spalle dei vicini.
E’ vero che ci sono stati membri dell’UE che si tengono la loro moneta ma è anche vero che le regole vincolano la loro moneta all’euro (non sono liberi di svalutare e rivalutare a piacimento ma solo entro certi margini) il che limita la loro possibilità di approfittare di eventuali deprezzamenti.
Eichengreen si spinge anche oltre, sostenendo che in una situazione simile, la necessità di imporre nuovamente dogane e dazi potrebbe portare a limitare anche lo spostamento delle persone oltre che delle merci.

Ossia la decisione va pesata anche in base alle reazioni degli altri.

 

 

Conclusione

L’analisi contiene anche un po’ di problematiche legate al diritto dei contratti: in caso di swap i contratti e i debiti pendenti in che moneta andrebbero contabilizzati?
Inoltre, se io ho fatto un debito in euri (ad esempio un mutuo) e la lira si deprezzasse, io mi troverei di colpo a dover pagare molto di più, mentre se prima avvenisse la conversione e poi il deprezzamento mi troverei a pagare di meno, ma questo andrebbe a detrimento di chi mi ha fatto il prestito (se io fossi furbo convertirei i miei euri in un’altra moneta forte prima dello swap per poi godermi il deprezzamento).
Ugual discorso per i titoli di stato posseduti da privati o banche.
Uno swap di questo genere darebbe di sicuro il via a una forte azione speculativa e potrebbe, nelle ipotesi peggiori, stroncare un sistema bancario già in crisi.
In economia è dura far apparire dei soldi da una parte senza farli sparire dall’altra, la domanda diventa quindi: il vantaggio di un’economia europea integrata valgono il prezzo di una politica monetaria sub-ottimale?
Ma soprattutto: chi pagherà il prezzo di uscire dagli Euri?

Sono domande che richiedono un’analisi molto attenta, e che non possono avere una risposta basata sulla demagogia qualunquista del si stava meglio quando si stava peggio.
Bisogna prendere in considerazione fattori esterni alle economie delle singole nazioni e considerare che ogni scelta ha ripercussioni e che le altre economie non stanno a guardare.
Questo vale sia in un senso che nell’altro.

Eichegreen riassume molto bene il concetto:

How formidable are the obstacles to withdrawing? Economically, it is not clear which way the arguments cut.

L’argomento economico non è un vincolo insormontabile.
Una nazione che uscisse dagli euri e che avesse una crescita lenta e una forte disoccupazione potrebbe perdere rapidamente i vantaggi di una politica monetaria basata sul deprezzamento della moneta: bassi salari, inflazione e crescita del costo del debito.
Eichegreen ci dice anche che questi effetti negativi potrebbero venir attenuati attraverso una reale indipendenza della banca centrale e una efficace politica fiscale.
Quindi attraverso un reale volontà politica di riforma del fiscal gain e di gestione indipendente della banca centrale.

Poi si chiede è davvero questa la soluzione?
C’è un bel parallelismo che vi riporto per intero.

Notwithstanding the fact that it experienced a very severe asymmetric shock in the form of Hurricane Katrina and was disappointed by the assistance it then received from its partners in the U.S. currency union, the State of Louisiana did not contemplate abandoning the dollar and introducing its own currency, even though a sharp depreciation might have helped to resolve some of its economic problems.

Eichegreen conclude dicendo “È improbabile che qualche nazione lasci l’euro nei prossimi anni ed è ancora più improbabile che l’euro crolli per questo”.

Qui finiscono le conclusioni di Eichegreen.
Io non sono proprio d’accordissimo con tutto quello che dice questa analisi, ma lui è un’economista vero, io sono uno sfigato coglione (cit.) e in ogni caso la trovo una buona analisi.
Il messaggio più importante, al di là dei tecnicismi (che qui tra l’altro sono molto blandi) è che uscire dagli euri è una cosa seria, non una cazzata.
Che richiede un’analisi seria non degli slogan ad minchiam.

E’ una decisione che richiede uno studio di anni, che richiede di mettere in piedi sistemi efficaci per reggere lo shock che ne deriva, che richiede di ripensare il mercato, le leggi, il sistema fiscale e le impostazioni del sistema economico (liberalizzazioni, privatizzazioni, welfare per reggere la perdita del potere di acquisto degli stipendi etc.), che espone maggiormente ai rischi impliciti dell’economia mondiale integrata e che fa perdere una valida rete di sostegno e i vantaggi innegabili di un’unione economica e politica per quanto imperfetta.
E che, in ultima analisi, potrebbe anche non essere la soluzione.

Questo è quello che mi preme che venga sottolineato, perché Eichegreen è positivista e ci dice che a mente fredda e senza un ottimo piano una nazione non considererebbe nemmeno di lasciare l’euro per capriccio, perchè senza un solido piano sarebbe un suicidio economico.
Io invece non sono così fiducioso nella razionalità delle persone.

La prossima volta che discuterete di abbandonare l’euro con qualche grillino ignorante tirate fuori questa analisi, sono 50 paginette.
Arrotolatela e dategliela sul naso finché non la smette di sparare cazzate.

Spero che l’articolo sia risultato chiaro per tutti, in caso di dubbi, benchè non sia il mio core di conoscenze, cercherò di dare risposta.
Per i grillini… TLAK-CLAK …ci vediamo nei commenti :sni:

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