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Oggi ho deciso di portarvi un altro articolo leggero e spassoso, ma non preoccupatevi, gli articoli seri ritorneranno a breve. Oggi parliamo dell’apporto della schiavitù nell’economia moderna.
Lasciate da parte i proclami etici: qui si parla di economia non di filosofia.
Detto questo, andiamo a incominciare.
Avviso che l’articolo è un po’ lunghetto nonostante abbia stretto al minimo e diviso in 2 parti, sapevatelo.
[title]Introduzione: la schiavitù moderna.[/title]
Iniziamo con il precisare un concetto fondamentale, che cosa è la schiavitù?
Con schiavitù si intende la situazione in cui una persona è privata di ogni libertà e costretta a cedere il suo lavoro senza un compenso.
Non affronteremo il tema di lavoro sottopagato, sfruttamento (minorile e non) o altre forme di sfruttamento, sei schiavo se vieni pagato 0 per il lavoro che fai e sopratutto se non hai la libertà di cambiare la tua situazione.
Ad oggi le stime su quanti schiavi ci siano al mondo sono nebulose (la schiavitù è illegale ovunque), le associazioni per i diritti umani che si occupano del problema dichiarano circa 200.000.000 di persone ridotte in schiavitù, ma comprendono anche, in alcuni casi, lo sfruttamento minorile e il lavoro pagato a livello di sussistenza. Ricerche più recenti tendono ad abbassare questo numero e ad attestarsi su 30.000.000 individui schiavi a tutti gli effetti.
30.000.000 di schiavi significa che la nostra epoca è quella con il maggior numero di schiavi rispetto a qualunque altro periodo storico.
I nuovi schiavi sono ovunque, si stima che a Londra ci siano circa 3000 persone ridotte in schiavitù, idem per Parigi e NY.
Per esserci (nuova) schiavitù deve esserci un rapporto di forza sproporzionato, qualcuno che ha tutto il potere e qualcuno che non ne ha, altre condizioni sono: un sistema di governo corrotto, un abbondanza di persone disperate e una crescita economica vertiginosa che ne rende conveniente lo sfruttamento.
Ovviamente questo è più complesso nelle democrazie avanzate dove le leggi a tutela degli individui danno potere a ogni categoria, i nuovi schiavi si concentrano fondamentalmente in 4 aree:
sud est asiatico, Mauritania, sub-continente indiano e Brasile.
[title]Vecchia e nuova schiavitù.[/title]
Altro punto importante che ci accompagnerà per tutto l’articolo è la differenza tra la schiavitù odierna e quella “classica” (tipo quella dei neri in America).
Ad oggi è illegale ovunque possedere schiavi e in effetti questa schiavitù è praticamente scomparsa, nessuno possiede più nessun altro nel senso che non ha carte o contratti che attestano questa situazione (come invece accadeva in passato), la nuova schiavitù si basa sul controllo ottenuto tramite la violenza (di vario genere) e sulla frode.
Ma non è l’unica differenza, le altre sono:
– Costo di acquisto: nella schiavitù classica il costo d’acquisto è elevato, uno schiavo nero nel 1850 costava l’equivalente attuale di 50.000 – 100.000 dollari, nella nuova schiavitù il costo di acquisto è bassissimo (circa 200 – 2000$ per una prostituta thailandese, 20-30$ per uno schiavo in India o in Pakistan).
Il costo è funzione della domanda è dell’offerta, il che ci porta al secondo punto.
– Disponibilità: nella schiavitù classica gli schiavi erano pochi rispetto alle esigenze e dovevano essere importati, con alti costi, da altri paesi, nella nuova schiavitù l’offerta di potenziali schiavi è amplissima e sono disponibili in loco o poco distanti abbattendo i costi di approvvigionamento.
– Durata/tipologia del rapporto: la differenza di prezzo genera anche una differenza di rapporto, nella vecchia schiavitù era utile per il padrone aver cura delle proprie risorse visto il costo elevato e la difficoltà a rimpiazzarle, da cui si generava una “migliore” condizione di vita e il un rapporto di lavoro che durava l’intera vita dello schiavo.
Nella nuova schiavitù, a causa dei prezzi ridotti e della disponibilità di materia prima è più conveniente liberarsi di uno schiavo e acquistarne un altro piuttosto che mantenere in efficienza il primo in caso di malattie o altri problemi, la durata di un rapporto di schiavitù odierno si aggira sui 2-3 anni per il sud est asiatico fino a un minimo di 3 mesi per gli schiavi brasiliani.
– Profitti: a causa dell’alto costo di avviamento e della necessità di conservare la risorsa, unita al fatto che la proprietà legale rende comunque il padrone in qualche misura responsabile dello schiavo anche quando non è più produttivo fa si che i profitti della schiavitù classica siano poco vantaggiosi (le stime affermano che uno schiavo nero negli Stati Uniti avesse un ROI del 5% circa su base annua).
Viceversa il basso costo di acquisto e di mantenimento unito a un ricircolo appena la risorsa viene meno in termini di produttività e all’assenza di responsabilità fa si che i nuovi schiavi siano un affare estremamente vantaggioso, il picco è nel sud est asiatico dove una prostituta schiava rende tranquillamente l’800% annuo sull’investimento.
– Differenze etniche: da ultimo analizziamo le motivazioni etniche.
Nella schiavitù classica gli schiavi sono di un etnia/religione/società differente e questo “giustifica” lo schiavista (“questi neri sono stupidi, morirebbero di fame se non ce ne prendessimo cura noi”), la nuova schiavitù cerca schiavi in loco, spesso della stessa lingua/paese degli schiavisti e l’unica motivazione è il profitto che se ne può guadagnare.
Detto questo passiamo a una breve analisi di come si perpetra la schiavitù nelle varie zone del mondo.
[title]Sud – est asiatico.[/title]
Il sud est asiatico, e la Thailandia in particolare, è il luogo dove la nuova schiavitù si espleta nella sua forma migliore.
Le motivazioni che portano al prosperare di questa forma di sfruttamento economico sono:
– boom demografico: la cescita vertiginosa della popolazione ha portato intere aree a essere sovrapopolate e quindi ricche di persone molto povere.
– crescita economica: la Thailandia ha sperimentato una crescita del Pil seconda solo alle 4 Tigri il che ha aumentato la ricchezze di una parte della popolazione (aumentando di conseguenza gli squilibri).
– colonizzazione capitalistica: l’arrivo delle multinazionali Giapponesi e delle 4 Tigri ha imposto un nuovo modo di generare ricchezza e ha inondato il paese di beni e di “mode” per cui il consumismo ha spinto i thailandesi a ricercare il profitto come nelle economie occidentali.
– apparato politico debole e corrotto: in Thailandia la corruzione è endemica e accettata, la polizia e la criminalità organizzata sono spesso la stessa cosa.
– cultura estremamente maschilista per gli uomini (per un uomo è normale andare al bordello anche se sposato) e estremamente remissiva per le donne (il buddismo crede che nascere donna sia una colpa per i peccati commessi nelle vite precedenti e spinge all’accettazione di una vita misera).
Queste cause hanno ovviamente peso differente, basterebbe la corruzione dell’apparato statale e la ricchezza dei profitti generati per avere la schiavitù.
La schiavitù in Thailandia è fondamentalmente schiavitù sessuale, la disponibilità di molte ragazze povere sopratutto nelle regioni montagnose del nord alimenta un giro di prostituzione senza pari nel paese.
Mentre l’economia iniziava a crescere sotto gli investimenti dei giapponesi (periodo delle “oche miliardarie”) e delle 4 Tigri (periodo delle “tigri milionarie”) si sviluppava un industria parallela per soddisfare la domanda dei nuovi ricchi.
Giapponesi, taiwanesi, sud coreani e compagnia bella sono molto ricchi per gli standard locali di conseguenza rispondono a un offerta di alto livello, in questo campo non c’è quasi schiavitù ma solo prostituzione.
La schiavitù è rivolta ai thailandesi dai thailandesi, la crescita di ricchezza ha permesso a nuove fasce di popolazione (operai, piccoli impiegati, studenti) di potersi permettere i passatempi delle caste più alte, le schiave sono destinate a questi consumatori, gente che può spendere 5$ per una mezz’ora di sesso.
Le ragazze vengono acquistate nel nord da intermediari che pagano alla famiglia tra i 200$ e i 2000$, alcune ricerche hanno messo in luce il fatto che i 3/4 di queste famiglie non avrebbero necessità di vendere una figlia, lo fanno non per sopravvivere ma per migliorare il loro stile di vita.
In misura molto minore le ragazze vengono semplicemente rapite da bande preposte allo scopo.
Le ragazze vengono quindi violentate e costette a prostituirsi con ritmi da catena di montaggio (15-20 prestazioni al giorno), i soldi che guadagnano vanno a ripagare il “debito” ossia il prezzo d’acquisto.
Va da se che questo debito non scompare mai essendo il padrone l’unico che ne gestisce l’ammontare.
Vivono rinchiuse nei bordelli dai quali non possono uscire e sottomesse con la violenza, in caso di fuga, verrebbero arrestate dalla polizia per vagabondaggio e la polizia si premurerebbe di restituirle al bordello da cui sono scappate (dopo detenzione di diversi giorni, abusi e violenze).
A questi ritmi le ragazze durano poco (2 – 3 anni ma sovente meno), quando sopraggiunge un evento incapacitante (ossia quasi sempre l’Aids che in Thailandia è un’emergenza sanitaria, circa il 45% delle prostitute thailandesi è sieropositiva) la risorsa viene sostituita: la ragazza viene gettata in strada, quasi sempre ritorna al paese d’origine per morire, e ne viene acquistata un’altra.
La situazione in Thailandia sta evolvendo, nel senso che man mano che la ricchezza cresce e cresce la consapevolezza delle ragazze, diventa più difficile procurarle e questo alza i costi, per questo motivo le tratte si stanno spostando verso la Birmania e il Laos come bacini di materia prima.
[title]Brasile.[/title]
In Brasile la schiavitù riguarda sopratutto gli uomini.
I campi sono molteplici benchè siano tutti lavori pesanti: miniere, ranch e, sopratutto, la produzione di carbone.
L’industria pesante brasiliana ha una gran fame di carbone, il carbone viene prodotto nella foresta pluviale, gli alberi vengono tagliati e fatti bruciare in quasi totale assenza di ossigeno, trasformando il legno in carbone.
Il lavoro è estremamente pesante e pericoloso in quanto si è sempre a stretto contatto con forni incandescenti.
Benché il Brasile sia una nazione “moderna” intere aree sono praticamente scollegate dalla società.
Qui il potere centrale è lontano e la corruzione alta, inoltre la richiesta di risorse rende vantaggioso l’impiego di schiavi.
Inoltre il Brasile ha avuto una crescita economica estrema a partire dal 1980 e un eccesso di popolazione legato allo spostamento dei poveri verso le grandi città.
Il processo è quasi sempre lo stesso, un intermediario (“gato”) raggiunge una favelas e promette un buon lavoro e un buono stipendio a chi vuole lavorare il carbone.
Caricati gli operai che necessita essi vengono portati nella foresta, spesso lontani decine di miglia da qualunque altro insediamento umano.
Qui ai lavoratori viene detto che devono ripagare il viaggio e sono costretti a lavorare per farlo.
Anche qui ovviamente il debito non sarà mai estinto.
I campi sono a volte presidiati da guardie armate, ma sovente basta la loro posizione per impedire la fuga dei lavoratori.
I lavoratori recalcitranti subiscono violenze di vario genere, non ultimo l’omicidio.
Inoltre, appena arrivati, vengono privati del documento di identità e del libretto di lavoro, il che ne fa dei vagabondi nel caso raggiungessero un insediamento e sarebbero arrestati.
Per dirla con le parole di un attivista “Da quel momento scompaiono come uomini e rinascono come schiavi”.
Sono costretti a lavorare finchè la fornace non esaurisce il combustibile (ossia non ci sono più alberi da tagliare) le fornaci hanno vita breve, spesso 3-6 mesi, quindi vengono spostate, i lavoratori di solito no, vengono abbandonati a migliaia di chilometri dai loro paesi natii, sovente diventano vagabondi e non di rado vengono reclutati per nuove fornaci.
Rispetto alla schiavitù thailandese qui i profitti sono bassi per lo schiavista, paradossalmente se i lavoratori venissero pagati il loro costo inciderebbe per un 1% sulle spese.
Però qui lo schiavista lavora in appalto, la fonderia chiede carbone, l’industria del carbone assume dei capi-fornace pagandoli un tot a carico, questi a loro volta pagano i gatos un tot a consegna, via via che si arriva in fondo alla scala il profitto crolla al punto che i gatos non avrebbero guadagno se non ricorrendo alla schiavitù e quindi al lavoro gratuito.
Come prima puntata finiamo qui, nella prossima analizzaremo la situazione in India e Pakistan, Mauritania nonchè le conclusioni.
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