Sbilanciamenti economici globali

“E se produciamo eccesso?”
“Beh, venderemo l’eccedenza ai compratori esteri.”
“Come faranno per comprarla, i forestieri?”
“Come? Impresteremo loro il denaro.”
“Ho capito, – disse Alice. – Essi compreranno quello che cresce a noi col nostro proprio denaro. Naturalmente questi forestieri ci ripagheranno mandandoci delle merci!”
“Ma nient’affatto, – dice Humpty-Dumpty. – Noi stiamo seduti sul muro alto alto della Tariffa Doganale Hawley-Smoot.”
“Come farà allora l’estero per rifondere questi prestiti?”
“Quest’è facilissimo: hai mai sentito parlare di una moratoria?”

Dopo aver trattato la prima bolla speculativa si tratterà ora il più famoso squilibrio economico che che sia stato osservato nel 900.

Gli squilibri economici globali sono vecchi quanto la moderna economia globale. Il più famoso tra questi è quello che si è venuto a creare tra una potenza in continuo e crescente deficit (Germania) e una in crescente potere che ha finanziato tale deficit (USA).

Le conseguenze della Prima Guerra Mondiale in Europa

La Germania, si ritrovò in questa situazione di deficit al termine della Prima Guerra Mondiale, dove uscita perdente dal grande conflitto fu costretta con il trattato di Versailles al riconoscimento dei debiti di guerra e del pagamento delle riparazioni, nonché alla ricostruzione della propria economia.
Gravi conseguenze della guerra però investirono tutti gli stati europei, in particolare si osservò il collasso politico dell’Impero asburgico, con il sorgere dalle sue ceneri di numerosi altri stati, quali Jugoslavia, Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia, non avevano tardato a imboccare la strada di politiche protezionistiche, e quindi limitative per scambi internazionali, e la rivoluzione russa, con la conseguente esclusione dell’economia sovietica dai liberi traffici mondiali. La guerra aveva inoltre frantumato l’equilibrio monetario raggiunto negli anni precedenti alla prima guerra mondiale, le monete della maggior parte degli Stati occidentali erano state assai vicine alla loro parità legale, e i valori interni delle singole monete erano stati solidamente legati all’oro che era sempre stata considerata l’unità di misura internazionale. Durante la guerra gli Stati avevano ecceduto nelle emissioni di carta moneta ad eccezione degli Stati Uniti che riuscirono a mantenere inalterata la convertibilità in oro (Gold Standard) del dollaro. La misura del danno sofferto dalle altre monete emergeva dal loro cambio con il dollaro. Fino alla guerra la Gran Bretagna era stata il «banchiere del mondo» e la sua moneta – la sterlina – era stata il pilastro del sistema monetario internazionale (tutti i prodotti erano prezzati in sterline); era anche il principale centro assicurativo del mondo (i Lloyds di Londra).
Al termine della guerra l’Inghilterra era indebolita sia sul piano produttivo che su quello finanziario e monetario, mentre gli Stati Uniti erano cresciuti economicamente e finanziariamente e divenuti paese creditore dell’Europa.
Già nel 1920 la sterlina era svalutata rispetto al dollaro del 22%. Ma allo scopo di non affievolire il prestigio della City, l’Inghilterra, invece di riconoscere il mutato rapporto della sterlina col dollaro, e stabilizzare il valore della sterlina alla nuova parità determinatasi, adottò una politica deflazionistica che le permise di ripristinare nel 1925 il rapporto con il dollaro alla parità prebellica, segnando il ritorno alla convertibilità aurea, sia pure integrata dall’apporto di monete forti (Gold Exchange Standard). L’attuazione di questa politica deflazionistica, determinando una caduta dei prezzi interni e dei tassi di profitto e di interesse rispetto a quelli esteri, indebolì le esportazioni e favorì largamente le importazioni, contribuendo a precipitare l’economia britannica in una grave crisi.

La crescita economica statunitense

Gli Stati Uniti, viceversa, conobbero un boom della produzione che durò fino al 1929 e che fu trascinato dall’espansione dell’industria edilizia e delle industrie da questa indotte, da una serie di innovazioni, basate sullo sfruttamento di nuovi prodotti (l’automobile, grazie all’adozione di nuovi sistemi di produzione) e infine dallo sviluppo dell’industria elettrica, la cui produzione raddoppiò tra il 1923 e il 1929.
Il reddito nazionale aumentò, fra il 1923 e il 1929, del 23% in relazione ad un aumentò solo del 9% della popolazione e del 11% della forza lavoro. A livello di politica internazionale, negli USA la vittoria del repubblicano Harding nel 1920 comportò un’inversione di rotta rispetto a quanto fatto dal suo predecessore, il democratico Wilson, che aveva promosso la Società delle Nazioni. Il governo repubblicano osannò un isolamento degli Stati uniti per quanto riguarda trattati internazionali in materia economica. Ci fu un sostanziale disinteresse pubblico per la ricostruzione europea: sul piano interno, venne portata avanti una politica economica classicamente liberista: il potere politico doveva fare un passo indietro di fronte agli interessi privati. Per favorire gli investimenti vennero ridotte al minimo le imposte dirette (che colpiscono i redditi) e aumentate quelle indirette (che colpiscono i consumi); diminuì la spesa pubblica e si rinunciò ad avviare programmi di assistenza per le classi più povere; si praticò una politica di bassi tassi di interesse, che rende più facile l’accesso al credito e aumenta la liquidità del sistema.
I bassi tassi di interesse favorivano, come si è detto, la concessione di prestiti: prestiti al consumo (è l’epoca in cui prendono piede i pagamenti mediante rateizzazione), ma soprattutto prestiti all’estero. L’Europa è affamata di denaro per la ricostruzione: al disinteresse pubblico degli USA per questa vicenda corrisponde un fortissimo interesse dei banchieri e degli speculatori privati che prestano ai paesi e alle imprese europee impegnate nella ricostruzione. E’ un affare d’oro, e la vera spiegazione di come sia stata possibile l’eccezionale crescita americana del primo dopoguerra: con i prestiti delle banche USA gli europei acquistano infatti prodotti dell’industria USA, alimentando una domanda che il ristretto mercato interno non avrebbe potuto creare.

USA-Germania

Oppressa dal trattato di Versailles fu ovviamente la Germania la principale beneficiaria di questi prestiti grazie ai quali si riprese rapidamente dal collasso del marco del dopoguerra. La Germania utilizzò molti dei prestiti a breve termine per investimenti a lungo termine, confidando che, dato il ritmo e l’intensità dello sviluppo dell’economia statunitense, questi prestiti non sarebbero stati rapidamente ritirati. La Germania doveva fronteggiare anche la tariffa Fordney-McCumber, introdotta nel 1923 sempre dal governo repubblicano per mantenere le promesse fatte durante la campagna elettorale agli agricoltori. Questa imposta non era altro che un tassello in più imposto dagli Stati Uniti per raggiungere il proprio isolamento, infatti ne la Germania, ne gli altro paesi europei potevano sbarcare nel mercato americano con prodotti a prezzi competitivi rispetto a quelli nazionali, vedendo quindi chiusa una delle possibili vie per saldare il debito accumulato durante e dopo il conflitto. A seguito del boom economico seguente alla prima guerra mondiale che travolse l’America, la miglior piazza per gli investimenti passo dalla borsa valori di Londra a quella di Wall Street, che vide in quegli anni un aumento delle quotazioni non collegato però all’aumento dei dividendi delle azioni stesse, situazione determinata dall’afflusso del capitale europeo, che non era altro che il prestito concesso dagli Stati Uniti per la ricostruzione post-bellica, ricostruzione che però era conclusa.
La situazione appena presentata fu definita dal democratico Roosevelt come una situazione degna del mondo fantastico di “Alice nel paese delle meraviglie”. Questa formula della politica economica statunitense è stata portata avanti fino a quando la recessione non ha colpito in modo violento gli Stati Uniti stessi e anche l’Europa, nel 1929.

La recessione

Le reazioni di tutte le nazioni coinvolte furono molto simili, ossia si voltarono in modo vendicativo dal commercio internazionale, volgendosi verso il commercio interno. Gli Stati Uniti iniziarono a richiamare in modo sempre più spasmodico i capitali a breve termine concessi all’estero e emanarono una nuova tariffa doganale nel giugno 1930 (tariffa di Smoot-Hawley) che introdusse dazi doganali medi del 59 per cento su circa 25.000 prodotti importati, rendendo impossibile per gli stati europei saldare i propri debiti con i loro creditori.
In conseguenza di ciò, circa sessanta paesi attuarono rappresaglie, introducendo essi stessi dazi sui prodotti statunitensi. Nel 1933, il commercio mondiale era ridotto ad un terzo del livello del 1929. Una variazione di tendenza si ebbe a partire dal marzo del 1933 quando il democratico Franklin Roosevelt prese la presidenza degli Stati Uniti. Due furono le sue operazioni immediatamente attuate dopo la presa dell’incarico:

• ritirò il dollaro dal sistema monetario aureo
• organizzò una sostanziale svalutazione.

Lo sforzo di abbattere il prezzo dell’oro mirava a convincere il mondo che il dollaro fosse forte e
sicuro quanto l’oro. Ottenne così due risultati: impedire la convertibilità delle banconote in oro per i cittadini statunitensi, permettendo però ai paesi stranieri di convertire i loro dollari in oro in qualsiasi momento, e rendere illegale la proprietà privata di oro, con l’eccezione dei collezionisti di monete rare. In pratica, nel sistema finanziario statunitense ci fu un spostamento da uno sistema di rendiconto che prevedeva l’oro come barriera al debito in eccesso, ad un sistema nel quale non c’era nessun rendiconto.
Sul lato opposto la Germania fu anch’essa colpita molto duramente dalla recessione e nel giro di pochi mesi il paese crollò nel disordine sociale e politico. Quando i nazisti presero il potere con Hitler nel gennaio del ’33, dichiararono che non avrebbero mai pagato i debiti e attuarono una politica commerciale molto protezionistica, chiudendo quasi completamente il commercio con gli altri stati.

Ai lettori più attenti questa situazione potrebbe apparire familiare con le vicende attuali.

Fonti:
Working Paper di Frieden
La grande depressione, voce su wikipedia
La Germania salda i debiti, articolo su La Stampa

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