Enzimi a prova di sale per i biocarburanti

La nuova generazione di biocombustibili vuole sganciarsi dall’utilizzo di risorse potenzialmente destinate all’alimentare, causa di sottrazione di terreni agricoli e aumento di prezzi delle derrate.
Una soluzione largamente esplorata in questi anni è l’utilizzo di prodotti di scarto dell’industria alimentare, del legno, rifiuti urbani, cioè scarti vegetali e lignei. Le piante hanno un’alta percentuale di massa fatta di cellulose, emicellulose, lignine. Questi materiali sono polimeri di zuccheri diversi, fortemente legati e intrecciati, molto difficili da “digerire”. Alcuni batteri e funghi ci riescono, rimettendo nel ciclo alimentare queste fonti ci carbonio, utilizzando enzimi specializzati, ad es. le cellulasi.

Il processo di estrazione attualmente in studio per l’utilizzo di queste risorse per la produzione di biofuel prevede, semplificando:
1) rottura delle fibre per “esplosione di vapore”;
2) trattamenti aggressivi con acidi e basi per rottura dei polimeri;
3) “digestione” dei polimeri con enzimi di origine batterica/funginea per liberare i monomeri degli zuccheri;
4) fermentazione con batteri/lieviti ingegnerizzati per metabolizzare zuccheri pentosi e per l’alta produzione di bioetanolo/biodiesel.

Recenti studi hanno dimostrato che utilizzando dei solventi denominati “ionic liquids” (liquidi ionici) aumenta la resa di estrazione degli zuccheri. Questi solventi contengono però alte concentrazioni di sali che inattivano gli enzimi come le cellulasi.

Ricercatori dello U.S. Department of Energy (DOE) Joint Genome Institute (JGI) e del Joint BioEnergy Institute (JBEI) del DOE’s Lawrence Berkeley National Laboratory stanno aggirando questo ostacolo sfruttando la naturale predisposizione dei microrganismi alofili a vivere in condizioni di altissimo stress osmotico (=alte concentrazioni di sale).
L'alofilo (dal greco halòs, “sale” e filòs, “amico”) in questione è l’archeobatterio Halorhabdus utahensis isolato dal Great Salt Lake. E’ stato sequenziato il suo genoma e i ricercatori hanno potuto facilmente identificare la sequenza della sua cellulasi che, una volta clonata e testata, si è rivelata funzionante anche ad alte concentrazioni saline, come nei solventi ionici che si vuole impiegare per la produzione di biocombustibili. E fin qui è un successo straordinario.
Ma c’è di più. L’enzima è anche resistente ad alte temperature. Poter scaldare i reattori permette di accelerare queste reazioni con enorme aumento di velocità di produzione degli impianti.

Questo è l’ennesimo esempio di come studi di biologia di base, apparentemente inutili ad occhi inesperti (che sono quelli che finanziano, purtroppo), possono portare, con costi irrisori e ricerche veramente di livello base, a brevetti del valore di milioni di $.

Nella foto potete ammirare le colonie tipicamente rosse di Halobacterium salinarum che crescono sui cristalli di sale!

Fonte: ScienceDaily

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