Una Nebbia Estiva – Parte 5

Non ho grandi ricordi del mio primo viaggio da Inumano. Partimmo dal campetto da basket che era stato teatro della mia incubazione nel Bozzolo pochi minuti dopo che da quest’ultimo ero uscito, tremante, nudo e completamente cambiato.

Non sapevo dove stessimo andando e, in un rigurgito di razionalità e coscienza civica, mi domandavo come avessero fatto i due Inumani che erano “venuti a prendermi” a convincere i medici e i militari umani a non seguirci e, anzi, a rimettere a posto quel gran casino fatto di slime verde che era rimasto al centro del playground.
(in realtà in seguito seppi che avevano lasciato degli automi a ripulire e che erano in costante contatto col Governo).

Ero tranquillizzato dal fatto che i due spilungoni in cabina di pilotaggio sembravano genuinamente rassicuranti e anche, forse soprattutto, dalla presenza della mia famiglia al completo seduta di fianco al lettino sul quale ero steso.
Eravamo a bordo di quello che, per mancanza di termini migliori, era definibile come uno shuttle cromato. La cabina di pilotaggio era a vista, non separata dal resto del velivolo e sembrava uscita da una puntata particolarmente ispirata di Star Trek (quello col tizio pelato col cognome francese però, non quello vecchio con gli effetti speciali ridicoli). Il resto dell’ambiente interno che potevo osservare era prevalentemente color bianco, con sprazzi di grigio e schermi ovunque scritti in una lingua strana, cuneiforme…che però riuscivo a leggere.

Non avevo mai visto quei caratteri, quell’alfabeto..eppure riuscivo senza fatica a leggere che stavamo procedendo a 1300 km/h ad un’altitudine di 14000 metri, che la pressurizzazione era perfettamente bilanciata e che in basso a destra c’era un distributore di acqua e “nutrienti”. Il distributore in questione sembrava il figlio illegittimo di una macchina del caffè di quelle che trovi nei bar di lusso e di Robocop.

Piano, calma,time out.

Come cazzo facevo a leggere quei caratteri?sembrava cirillico scritto da qualcuno col morbo di Parkinson, eppure era come se l’avessi sempre conosciuto.

Inoltre c’era un ultimo dato sugli schermi che aveva catturato la mia attenzione:
Destinazione standard: ATTILAN
Conoscevo Attila, il Re degli Unni, e mica perchè fossi particolarmente bravo in storia, lo conoscevo per il film di Abattantuono.
Quello dove si vedono le tette di Rita Rusic.
Ma questa Attilan non la conoscevo proprio. Era una persona?Era una nazione?Una città?ERA UN PIANETA?
Alternavo le domande urlate nella mia testa con dei pisolini che assomigliavano più a degli svenimenti. I miei famigliari sembravano tranquilli però, mio fratello si era anche addormentato su un piccolo divano grigio un paio di metri oltre il mio lettino.
Ero collegato ad una serie di macchinari che, verosimilmente, tenevano sotto controllo i miei parametri vitali. Quando uno di questi prese a lampeggiare di arancione uno dei due Inumani -la donna- si alzò e si sedette al mio fianco elargendo ai miei genitori ampi sorrisi e parole di conforto (che non riuscivo a sentire) e accarezzandomi la fronte.
Le sue mani erano fredde ma innaturalmente liscie e vellutate, osservandola così da vicino mi potei rendere conto che, al netto del suo aspetto alieno, era stranamente ed inspiegabilmente bella.
<<Non ti spaventare Matteo, la luce arancione dice solo che sei preda di un piccolo calo di zuccheri, uno scompenso comprensibile dato lo stress fisico che hai subito. Ora ti porto un ricostituente>> mi disse, con la già citata voce bassa e priva di inflessioni.
<<Gr..a..zie>> farfugliai
<<Prego, il mio nome è Ayura e sono il co-ufficiale medico sul campo di Attilan incaricato di sorvegliare ed accogliere i nuovi arrivati di quest’area>> disse porgendomi una tazza con un liquido rosso dolce e profumato al suo interno.
<<Il mio compagno di viaggio, che al momento sta pilotando, si chiama Athonas ed è felice come me di avervi a bordo. Ora bevi, ti farà bene.>>

Sarà anche stata strana ed aliena, ma di sicuro sapeva come essere rassicurante e convincente.
Trangugiai il contenuto della tazza in due sorsi, aveva un vago sapore di arance e limoni, più zuccheroso
Mi sentii subito meglio, ma la mia nuova amica mi consigliò di rimanere sdraiato, poichè <<Il viaggio è quasi terminato>>.

Dopo meno di un’ora infatti la scritta che recitava “Destinazione ATTILAN” si illuminò di verde e il velivolo rallentò.
L’atterraggio fu dolcissimo e molto veloce, come se l’aereo fosse atterrato verticalmente e non su di una vera e propria pista d’atterraggio.
E come se fossimo su una montagna di cuscini.

Ayura tornò da me e mi disse che eravamo arrivati, che di lì a poco avrei conosciuto i miei nuovi fratelli e sorelle, mi fece un’ultima carezza e si spostò verso i miei famigliari, accompagnando la loro discesa dal mezzo con ampi gesti e sorrisi.

Con me rimase Athonas, col quale non avevo ancora avuto nessun contatto.
Si occupò lui di farmi scendere dal lettino e farmi indossare gli abiti coi quali sarei stato presentato agli “altri”.
Era gentile e sorridente come Ayura ma molto, molto più meccanico nei movimenti e silenzioso. Le parole che mi disse si poterono contare sulle dita delle mani.
il discorso più lungo fu quello che mi rivolse mentre mi aiutava ad indossare i vestiti:

<<Vedi, oggi è un giorno importante. Per un giorno così importante ci vogliono vestiti importanti. Vedrai, starai comodo>>.

Comodo e super stiloso!
i “vestiti importanti” di cui parlava erano dei pantaloni neri attillati, di un materiale che non sembrava nè jeans nè stoffa, una camicia bianca dal collo alto e regale e quella che a tutti gli effetti pareva una tunica da prete.
Se il prete fosse stato un supereroe proveniente dallo Spazio profondo però.
Le spalline erano di un materiale simile alla fibra di carbonio ma più lucente, cadevano alla perfezione seguendo la linea delle mie “nuove” spalle muscolose, quasi come se fossero state prodotte al momento dopo aver misurato il mio rinnovato corpo.
Sul davanti della tunica da SpazioPrete un motivo in rilievo bianco e grigio si intricava in complessi disegni, alcuni dei quali però assomigliavano inequivocabilmente a dei fulmini.

<<Stai a vedere che adesso scopro che Flash esiste ed è un Inumano>>
Ero un grande fan del supereroe corridore della DC Comics, seguivo tutte le pubblicazioni della casa editrice statunitense.
D’altronde se volevi leggere di supereroi c’erano o loro o la Image.

Athonas interruppe i miei vaneggiamenti da nerd appoggiandomi la sua fredda e gigantesca mano sul capo, mentre con l’altra sfiorava un piccolo pannello sulla parete sinistra della parte finale dello shuttle.
Il pannello diventò da rosso a verde ed un grosso portellone si aprì davanti ai miei occhi. Degli scalini neri si manifestarono da una delle due paratie del portellone, attivati da complessi meccanismi idraulici.

Scesi per primo.
<<Un piccolo passo per un uomo…un grande passo per un Inumano!>> Esclamai, convinto di essere incredibilmente divertente.
Athonas non rise, nè mosse un muscolo facciale. Si limitò a fissarmi intensamente con un’espressione che -nonostante i suoi tratti somatici alieni- stava senza dubbio a significare: << Sei un coglione>>

 

Benvenuto ad Attilan Teo, hai già fatto la tua prima figura di merda.

continua

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