Blumhouse è sempre sul pezzo (anche fin troppo) e quindi ha colto subito la palla al balzo quando ha adocchiato l’uscita di Speak No Evil di Christian Tafdrup nel 2022. Il film danese raccontava la storia di due coppie con figli (una delle due olandese) che si ritrovavano a passare insieme un weekend da incubo dopo essersi conosciuti in vacanza in Italia. Due soli anni dopo, arriva il remake statunitense diretto da James Watkins, dall’11 settembre al cinema con Universal Pictures. Questa volta le famiglie sono una inglese e una americana: il plot rimane lo stesso ma lo sviluppo differisce. Ne abbiamo parlato proprio con il regista per capire il processo creativo dietro la realizzazione della pellicola.

Speak No Evil: fare un remake così presto

Abbiamo iniziato la nostra video intervista a James Watkins chiedendogli come mai realizzare un remake a soli due anni dall’originale. Lui convintissimo: “Perché ho amato molto quel film, ho amato il tema e ho visto un’opportunità da cogliere e penso che amplifichi l’originale e cambi il ritmo. Non aveva senso rifare esattamente lo stesso film, che è brillante. Si può notare che il mio film e quello di Christian Tafdrup possono parlarsi tra loro ma ho pensato di cambiare la location, inserirci personaggi americani ed esplorare qualcosa di leggermente diverso. Il film è tutto sulle convenzioni sociali e su come proviamo e a volte riusciamo e su come a volte siamo costretti da esse”.

Poi continua: “Volevo anche mostrare quando le regole sociali cadono e si ritorna all’età della pietra. Molti di noi non sono bravi coi confronti e questa era un’opportunità per cast e personaggi americani per dire ‘Come reagirebbero?’ e chiedersi in un certo senso ‘Fuggirebbero o si nasconderebbero Cosa proverebbero a fare?’ Sono molto volontari e abbastanza inetti, non sono bravi in questo. In particolare Ben che segue le regole di Paddy sulla mascolinità e cerca di essere quel tipo di uomo, o almeno vorrebbe esserlo, e realizza che non lo è, e che in realtà lo è sua moglie. Quindi ho pensato di far parlare tra loro i due film ma esplorarne gli aspetti con una chiave di lettura leggermente diversa. Il film di Christian è brillantemente spoglio e quindi ho pensato che c’era spazio per esplorare l’umorismo in quella situazione”.

Un film per James McAvoy

Questo remake dà più tempo alla caratterizzazione dei personaggi, in modo da comprendere meglio le loro azioni, rispetto al precedente volutamente spoglio come diceva Watkins. Sembra concentrarsi quasi di più sul personaggio di James McAvoy, complice il nome conosciuto e apprezzato, forse per il suo carisma come villain già dimostrato in Split? “Ovviamente conosco il suo lavoro incredibilmente bene. È stata la prima ed unica scelta. Per fortuna ha accettato altrimenti sarei rimasto fregato (ride). Lo avevo visto in un film intitolato Filth qualche anno fa e interpretava un personaggio davvero respingente. Non conosco nessun altro che avrebbe potuto fare quella parte e rimanere così magnetico. Quasi simpatico da portarti dalla sua parte”.

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Un altro ruolo da villain per James McAvoy dopo Split.

Continua le lodi sull’interprete: “È così sottile, c’è così tanto dentro James, tante piccole sfaccettature, ed è per questo che su di lui vado di primi piani rispetto al film di Christian; per le micro espressioni e micro aggressioni facciali, quelle piccole cose che succedono dentro i suoi occhi. Per me il cinema è leggere i pensieri dei personaggi attraverso gli occhi degli attori. Quello che McAvoy fa, quello che Mackenzie fa guardando McAvoy, quello che Scoot fa finendo nel mezzo. Diventa come una partita di tennis tra questi attori che cercano di negoziare questi strani problemi sociali”.

Speak No Evil: James McAvoy protagonista del film Blumhouse Speak No Evil: James McAvoy protagonista del film Blumhouse

Speak No Evil: un epilogo diverso

Ovviamente non faremo spoiler in questo articolo ma data la direzione diversa presa da James Watkins per il suo remake, abbiamo voluto chiedergli le motivazioni di questa scelta. “È sempre stato lì fin dalla prima stesura. Ho modificato dei piccoli elementi all’interno. Volevo fin dall’inizio andare in una direzione diversa. Non è facile senza spoilerare, ma c’è un momento in cui Paddy dice ‘Perché lo avete permesso’. Ho pensato una volta che si è raggiunto quel punto e le carte sono tutte scoperte, anche quel viaggio di convenzioni e costrizioni sociali è finito. Bisogna andare da un’altra parte. Non ho creduto che i miei personaggi potessero continuare in quella direzione dopo essersi confrontati con lo scenario peggiore. Volevo esplorare il loro comportamento in un contesto diverso”.

Un film horror o un film thriller?

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James Watkins sul set con McAvoy.

Chiudiamo la nostra intervista chiedendo a Watkins, già dietro la macchina da presa in thriller come McMafia e Harry Palmer – Il Caso Ipcress chiedendogli come mai secondo lui gli horror degli ultimi anni – questo remake compreso – ci dicono che il vero orrore viene dall’umanità e non ha bisogno di forze soprannaturali. Forse perché il mondo sta andando a rotoli? “Questo è il tipo di horror che preferisco. Se guardi film come Scappa – Get Out ti accorgi che parla dell’orrore e dell’ansia che proviamo ogni giorno nel mondo in cui viviamo”.

Conclude: “Trovo più interessante l’orrore sociale perché riguarda le nostre ansie quotidiane piuttosto che creare jump scare e corridoi bui. Si tratta di uno specchio della nostra società. Come negoziamo nel mondo in cui viviamo. Si tratta di uno spazio ansioso dove tentare di prendere il controllo in un film horror. Ci siamo trovati tutti in quella situazione, abbiamo tutti avuto difficoltà ad una festa dove qualcuno si comporta in un certo modo e noi non sappiamo se incalzarlo o meno. Ci possiamo immedesimare. Penso che quell’immedesimazione sia la forza del racconto”.